La concezione del potere

di Umberto Berardo
Che l’Italia come tanti altri Paesi viva un’involuzione democratica e al suo interno una crisi del sistema di rappresentanza mi pare del tutto evidente. Il ricorso sempre più comune ormai da anni ai decreti legge e al voto di fiducia ma anche il ridimensionamento del Parlamento ci dicono che esiste la ricerca di un accentramento del potere che rifugge sempre più dalla necessità di un confronto allargato nella soluzione di questioni che riguardano gli assetti fondamentali della struttura dello Stato e dell’organizzazione della società. Le ragioni per cui le destre stanno guadagnando consensi e da noi sono poi arrivate al potere risiedono sicuramente nella sempre più diffusa cultura dell’autoritarismo come nella crisi della politica, ormai staccata dal confronto di base e incapace di elaborazioni programmatiche reali come di soluzioni concrete ai problemi dei cittadini, ma anche nella rassegnazione di chi, piuttosto che lottare per una democrazia partecipata, rinuncia all’impegno e diserta il voto e la lotta o peggio ancora cerca protezione tra gli incantatori di serpenti delle forze populiste. Da due anni il Governo Meloni, che non rappresenta certo la maggioranza dell’elettorato essendo stato votato dal 44,27% di quel 63,91% degli aventi diritto che si è recato ai seggi, sta cercando di portare avanti riforme molto contrastate nel Paese. La legge di bilancio 2025, incapace ancora una volta di arrivare a una tassa sui grandi patrimoni, tutela i ricchi e offre un aumento di tre euro mensili alle pensioni minime che arriveranno a 617,9 euro dai 614,77 attuali. Con una sanità pubblica allo sbando che purtroppo pochi sono ancora disposti a difendere è difficile pensare che con tali cifre un pensionato possa curarsi, ma anche mangiare decentemente e riscaldarsi in modo adeguato. Si dice che la coperta è corta, ma occorre avere il coraggio di scegliere da quale parte tirarla! Il disegno di legge sull’autonomia differenziata pone seriamente in crisi l’unità del Paese, mette in discussione il principio di solidarietà e l’uguaglianza dei cittadini rispetto alla prestazione dei servizi perciò ha suscitato profonda contrarietà nella collettività al punto che 1.300.000 firme ne hanno chiesto l’abrogazione totale attraverso un referendum. Sta procedendo nel suo iter parlamentare la legge sul premierato che mira fondamentalmente al rafforzamento del potere esecutivo rispetto a quello del Parlamento. La riforma della giustizia prevede la separazione delle carriere tra membri inquirenti e parte giudicante, due Consigli Superiori anziché uno con tre membri di diritto e trenta non più eletti ma sorteggiati, un’Alta Corte per procedimenti disciplinari di cui oggi si occupa il Consiglio Superiore della Magistratura sempre con membri sorteggiati. Nella separazione delle carriere c’è chi non solo tra i magistrati vede il tentativo di porre i pubblici ministeri alla mercé del potere esecutivo. Molto contrastata è altresì la decisione di voler ridimensionare le intercettazioni che si sono rivelate uno strumento utile alle indagini per la ricerca della verità. La manifestazione della Lega inscenata in Piazza Politeama a Palermo per sostenere Matteo Salvini accusato di sequestro di persona nel processo Open Arms è sembrata a molti una forma di intimidazione verso la magistratura mai registrata prima d’ora in quelle forme e dalla quale nessun membro del governo si è dissociato. Ora si delinea con il DDL 1660 di Piantedosi un tentativo molto pesante di eliminazione del dissenso attraverso pene sproporzionate e assurde comprensibili solo a chi vuole cancellare ogni forma di opposizione attiva verso provvedimenti giudicati inaccettabili. Il governo Meloni cancella l’abuso di ufficio, ma nel disegno di legge sulla sicurezza, che il giurista Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, ha definito “il più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana”, si introducono venti nuovi reati estendendo all’inverosimile sanzioni e aggravanti. Per il blocco stradale si prevedono condanne fino a due anni di carcere, fino a quindici anni per resistenza attiva a pubblico ufficiale, fino a quattro anni per resistenza passiva; è previsto il carcere anche per le donne incinte o per quelle con figli di età inferiore a un anno; si cerca infine di vietare ai migranti irregolari l’utilizzo del cellulare bloccando l’acquisto della sim telefonica a chi non è in possesso del permesso di soggiorno. Si tratta di condanne talmente esagerate che nulla hanno a che vedere con sistemi di deterrenza sicuramente necessari, ma umani e utili a impedire linee di condotta che ledono l’interesse collettivo e i diritti altrui. Il 6 novembre 2023 è stato firmato a Roma il protocollo Italia-Albania per il “rafforzamento della collaborazione in materia migratoria”. Si è ripetuto il provvedimento fallimentare di Minniti attraverso gli accordi da lui intrapresi allora con la Libia. L’operazione propagandistica della Meloni sembrava inizialmente carpire l’interesse di alcuni nell’Unione Europea compresa la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Invece che operare per giungere finalmente alla prevenzione dei processi migratori e alla regolamentazione dei flussi combattendo i trafficanti di esseri umani che gestiscono il fenomeno dell’emigrazione clandestina, non certo invisa anche a chi se ne serve per alimentare il lavoro in nero, si cerca di creare deterrenza in chi emigra con la creazione in Albania di centri di prima accoglienza per il successivo rimpatrio nei paesi di origine. È comprensibile che essi in gran parte dell’opinione pubblica lascino ancora chiaramente pensare a forme di emarginazione e deportazione. I costi della costruzione e gestione delle strutture sono notevoli, ma era già molto chiaro fin dall’inizio che esse avrebbero creato ingenti problemi di natura legale che poi sono stati subito messi a nudo dal Tribunale di Roma che ha imposto il trasferimento in Italia dei migranti trasportati in pompa magna dal governo italiano con una nave militare in Albania poiché un eventuale rimpatrio verso l’Egitto o il Bangladesh da cui essi provenivano non sarebbe stato possibile trattandosi di Paesi non sicuri. Di fronte ai distinguo della Meloni e di altri esponenti del governo che si sono sentiti osteggiati nelle politiche sulle migrazioni da una decisione a loro dire impropria dei giudici occorre precisare che nessuna Costituzione o organismo internazionale come la Corte di Lussemburgo permettono sia pure a una maggioranza di definire i principi in materia di diritti fondamentali. Dunque nessuno può impedire ai giudici di adottare autonomamente atti in materia di accoglienza di migranti come essi hanno fatto in questo caso definendo nello specifico una normativa europea e applicando quanto di seguito è affermato nell’art. 10 della Costituzione Italiana “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. È per tale ragione che risultano davvero inaccettabili le dichiarazioni del ministro ed ex magistrato Nordio che parla di “decisioni abnormi di magistrati che esondano”. Credo di non sbagliarmi poi affermando che il decreto legge emanato poi dal Consiglio dei Ministri per una definizione autonoma di “Paesi sicuri” da parte del Governo italiano rischi di essere una pezza molto più piccola del buco perché le regole fissate sono diverse dalle normative europee attualmente vigenti e dunque sarebbero nuovamente considerate inapplicabili dai giudici. Oltretutto che nella lista dei Paesi sicuri si possano mettere Egitto e Bangladesh, come è stato fatto, appare davvero paradossale vista la negazione di molti diritti esistente in quegli Stati. Più che esasperare lo scontro frontale con i giudici per massimizzare il consenso elettorale, la Meloni avrebbe fatto bene a riconoscere una scelta politica sbagliata come tante se ne stanno facendo da parte di una classe politica che molto spesso non si dimostra proprio all’altezza della situazione. Al contrario il presidente del Senato Ignazio La Russa interviene addirittura a chiedere di fare maggiore chiarezza nel rapporto tra politica e magistratura rivedendo il Titolo IV della Carta Costituzionale per ridisegnare gli ambiti della politica e della magistratura. Nella fattispecie La Russa non vuole assolutamente riconoscere che chi “esonda” dal proprio ruolo non è la magistratura ma proprio il Governo. Nei giorni scorsi la contrapposizione dell’esecutivo ai giudici, sfociata in un clima di odio, ha portato prima a messaggi intimidatori anonimi e poi addirittura a minacce di morte verso Silvia Albano, presidente di Magistratura Democratica e della sezione specializzata in immigrazione del Tribunale di Roma. Ci troviamo di fronte a uno scontro tra poteri dello Stato mai registrato finora se siamo arrivati a mettere in discussione la divisione dei poteri che risale a Montesquieu il quale affermava: “non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo”. In merito è intervenuto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con la seguente dichiarazione: "Vi sono dei momenti nella vita di ogni istituzione in cui non è possibile limitarsi ad affermare la propria visione delle cose approfondendo solchi e contrapposizioni, ma occorre saper esercitare capacità di mediazione e di sintesi. Tra le istituzioni e all'interno delle istituzioni la collaborazione, la ricerca di punti comuni, la condivisione delle scelte sono essenziali per il loro buon funzionamento e per il servizio da rendere alla comunità perché le istituzioni appartengono e rispondono all'intera collettività e tutti devono potersi riconoscere in esse". Questo attacco del Governo alla magistratura che dura fin dai tempi di Berlusconi chiarisce a mio avviso qual è il collante che unisce i partiti dell’attuale esecutivo e ci permette di entrare nella concezione del potere di Giorgia Meloni che ne prevede l’accentramento verticistico e la scarsa propensione al confronto. L’invito di Mattarella al dialogo e alla collaborazione chiarisce che la Costituzione va rispettata e che non si può pensare di aggirarla immaginando che con singoli disegni di legge si possa costruire anche in Italia quel tipo di democrazia illiberale cui purtroppo guardano molti oggi in Europa. Questo governo deve convincersi che i cambiamenti istituzionali non sono possibili a colpi di voti di maggioranza e senza un largo consenso in Parlamento e soprattutto nel Paese. Per tenerci lontani dai pericoli per la democrazia non mi stancherò mai di ripetere che occorre lavorare per l’elaborazione di una legge elettorale che permetta realmente la rappresentanza e faccia tornare al voto i cittadini cercando così di affidare le sorti della collettività a persone oneste, democratiche e competenti. Disegnare una società diversa da quella definita nella Costituzione Italiana non sarà possibile almeno fino a quando il popolo manterrà attiva la sua sovranità attraverso la lotta non violenta e gli altri strumenti come la partecipazione al voto e ai referendum. L’Italia vive una situazione difficile! Con regioni allagate per l’esondazione dei fiumi, una sanità pubblica senza fondi adeguati al suo rilancio, un pesante debito pubblico e una povertà molto diffusa credo che gli obiettivi immediati di un governo non siano tanto o solo le riforme istituzionali, ma la ricerca di soluzione alla precarietà del lavoro e dei servizi che in alcuni territori hanno raggiunto un livello non più sostenibile. Se la destra manifesta non poche difficoltà a scegliere la sua classe dirigente per risolvere i problemi che vive la popolazione, non si può dire neppure che nell’opposizione, che vive contrasti continui per la leadership, ci siano elaborazioni politiche degne di nota. Le file dei poveri per i pasti alle mense della Caritas o delle altre organizzazioni di volontariato ci dicono di necessità urgenti che richiedono provvedimenti immediati. L’Italia ha bisogno a mio avviso che tutti, maggioranza e opposizione, all’interno della loro funzione decisa dagli elettori, guardino con attenzione le questioni aperte nel Paese e cerchino di affrontarle non con la contrapposizione pregiudiziale ma con un lavoro razionale fatto di proposte concrete e ispirato da un pensiero libero ma anche disposto al confronto e alle sintesi talora difficili e tuttavia necessarie.

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