Il Museo Etnografico di Bonefro " Michele Colabella "

di Nicola Picchione
Il museo è un luogo di cultura dedicato inizialmente alle Muse che sovrintendevano appunto alle arti e alle scienze, figlie di Giove e di Mnemosine- la memoria- che era figlia del Cielo (Urano) e della Terra(Gea). Un museo etnografico è definito da De Mauro un luogo di esposizione di manufatti risalenti a civiltà primitive o antiche o di oggetti relativi alle arti e alle tradizioni popolari. Vorrei aggiungere che è soprattutto un legame fondamentale col passato. Racconta Marco Follini che a chi gli chiedeva il futuro della musica sovietica Scostakovich (il grande musicista; tutti avrete sentito come sottofondo centinaia di volte in TV il suo Valzer 2) rispondeva che è nel passato. Conclude Follini: è nel passato che si tende a cercare la chiave del nostro futuro. Visitando il museo di Bonefro si ha l’impressione che quegli oggetti risalgano a una remota antichità invece erano gli strumenti dei nostri padri e nonni e i più anziani di noi li ricordano bene in mano ai contadini, agli artigiani, ai commercianti oppure nelle case, nelle botteghe, nelle campagne. Molti di quegli attrezzi avevano accompagnato per secoli il lavoro dell’uomo. Si guarda con curiosità, senza soffermarsi o si tende a guardare con aria di superiorità come chi ha fatto un gran salto in avanti e quel passato non gli interessa più e forse se ne vergogna. Si dovrebbe guardare, invece, con interesse con amore e con riconoscenza. Magari con una goccia di rimpianto. Non per quella gran fatica che costava vivere (e spesso vivere in miseria) ma per quel cibo pieno di sapore (forse anche perché condito con la fame), per quelle opere artigianali del falegname, del sarto, del calzolaio che oggi nel mondo del tutto in serie e tutto in fretta è considerato un lusso. E’ davvero un essere strano l’uomo: ieri considerava un lusso ciò che oggi è banale oggi consideriamo un lusso ciò che ieri era normale. Non si tratta di nostalgia, nessuno vorrebbe tornare indietro, ma di conoscenza, della consapevolezza che l’attuale benessere deriva anche da quel lavoro, da quegli attrezzi. Fatica e impegno per sopravvivere ma anche per progredire. Si tratta anche di ammonimento: si può tornare indietro e non siamo preparati come allora, ci sono diventate necessarie cose allora ritenute inutili e chiamiamo sacrifici ciò che allora era la norma. Vedere la lavagna, il banco, la piccola cattedra significa anche rapportarsi con una scuola materialmente povera ma che insegnava il rispetto delle regole, l’autorevolezza del maestro. Vedere gli attrezzi per gli animali da soma significa ripensare al ruolo fondamentale degli animali domestici. Oggi tutto è meccanizzato ed è una fortuna ma tendiamo a dimenticare il legame con gli animali e che siamo figli della terra. La scuola dovrebbe considerare la visita al museo strumento educativo importante in un mondo nel quale i bambini possono pensare che il latte non lo fa la mucca ma qualche strumento del supermercato. La rottura del rapporto tra uomo terra ed esseri viventi è una delle cause dell’attuale pandemia: la terra non più vista come risorsa da coltivare con cura e rispettare ma come deposito di risorse da depredare perché la nostra fame di energia ci ha trasformato come quei mostri voraci che esigevano sacrifici anche umani e dei quali solo un eroe (Teseo o S. Giorgio) poteva liberarci. Oggi non ci sono eroi che ci possano salvare, dobbiamo farlo da noi. Gli oggetti che sono conservati in un museo come quello di Bonefro ci richiamano al legame con la natura, al valore del lavoro manuale, alla capacità dell’uomo di inventare strumenti. C’è un altro motivo per il quale dovremmo guardare quegli oggetti con grande rispetto e osservarli con attenzione: non sono copie ma originali, ognuno è impregnato del sudore e del lavoro di chi lo ha usato per anni. Quell’aratro che vedi appoggiato sul pavimento ha solcato infinite volte la terra, è stato stretto dalla mano del contadino e tirato dal mulo o dall’asino, ha ascoltato le imprecazioni e le parole di sconforto, si è consumato a fare solchi. Quel martello ha battuto migliaia di volte; su quel banco hanno imparato a leggere e scrivere tanti ragazzi per emanciparsi e rendersi liberi. Un museo etnologico non è una semplice raccolta, unisce un popolo, un territorio molto più vasto di quanto non si pensi: basterebbe girare per vari musei, confrontarli. Si scoprirebbe che cosa significa popolo e cultura popolare. Si vedrebbero molti oggetti simili tra loro in tanti piccoli paesi del Sud e si capirebbe quanti legami li tengono uniti nelle tradizioni e finanche nelle parole. Si potrebbe pensare che quando erano scarsi i mezzi di comunicazione paesi e genti rimanevano quasi isolati invece circolavano idee, modi di vivere, parole, tradizioni. Chi ricorda Bonefro del passato e rilegge Cristo si è fermato a Eboli si meraviglia di tanta comunanza. Carlo Levi descrive luoghi e persone tanto simili a Bonefro del passato, riporta credenze e parole dette nel piccolo paese lucano che si ritrovavano a Bonefro: l’itterizia chiamata male dell’arco; cra, p-srà, p-scrill ( da noi si continuava con p-scroll e p-scrllon): le stesse che si ritrovavano anche in Basilicata, in Calabria e in altri luoghi. Ci rimandano a un passato ancora più lontano quando si parlava latino magari adattato e distorto. Questi piccoli musei etnologici formano come una rete, una sorta di primitivo Internet che accomuna la gente del passato, racconta storie simili, gli stessi lavori, le stesse tradizioni e credenze. Sono l’orma della vita di chi ci ha preceduto, un’orma che racconta. Mnomosine, la memoria figlia del cielo e della terra. Sottovalutiamo i musei, soprattutto quelli di provincia e quelli etnologici. Ci sembra un mondo morto, imbalsamato. Spesso le amministrazioni locali li sopportano (non è il caso di Bonefro dove amministrazione e un attento e attivo assessorato alla cultura non dimentica l’importanza del museo). L’idea di dare spazio su FB al museo di Bonefro ravviva l’interesse e magari serve a fare considerazioni, raccogliere notizie. Michele Colabella che da uomo di cultura attento ebbe l’idea di fondarlo, di collezionare manufatti con pazienza e perseveranza, di organizzarlo (una fatica lunga spesso compensata con incomprensione e non adeguato apprezzamento che gli procurò anche amarezze e delusioni) vorrà sicuramente seguire questa sua creatura, informare. Non si vive di passato ma il passato aiuta a capire il presente. Anche a gustare meglio le mete raggiunte, il benessere, a capire quanto è costato il progresso e i motivi che ancora accomunano le parti del nostro il Sud e che lo tengono imprigionato

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