Il futuro della politica e della democrazia

di Umberto Berardo
Sia che la politica venga considerata una scienza di governo dello Stato o un’arte per regolare nella collettività globale il modo di vivere orientandolo verso un’accettabile qualità dell’esistenza per tutti, non vi è alcun dubbio che i provvedimenti e le attività che si occupano degli affari pubblici destano oggi grandi perplessità circa la loro efficienza sia a livello locale che mondiale. Secondo un’indagine condotta dal Centro Studi 50&Più in Italia l’80% dei cittadini manca totalmente di fiducia nelle istituzioni. Tale opinione viene chiaramente dalle difficoltà che gli Stati, l’ONU, l’Unione Europea e gli altri organismi internazionali manifestano nella soluzione dei tanti problemi aperti che riguardano ad esempio il commercio sconsiderato delle armi, i conflitti armati in grande escalation, la mancata regolamentazione del fenomeno delle migrazioni o la totale assenza di un’equa redistribuzione della ricchezza nel mondo. Anche il percorso di definizione dei modelli delle strutture statali, che pure parevano aver maturato una forma abbastanza democratica, sembra registrare una battuta d’arresto piuttosto preoccupante con un rafforzamento sempre più deciso del potere esecutivo rispetto a quello del Parlamento. Nell’indice di democrazia per il 2022, elaborato dal settimanale britannico “Economist”, i 167 Paesi mondiali presi in considerazione sono stati divisi in democrazie piene e imperfette, regimi ibridi e autoritarismi secondo parametri che riguardano processo elettorale, pluralismo, funzionamento del governo, libertà civili, partecipazione alla vita sociale e cultura politica. Il rapporto tra i sistemi politici e gli abitanti è il seguente: le democrazie complete sarebbero appena 24 interessando l’8% della popolazione mondiale, quelle imperfette 48 con il 37,3%, i regimi ibridi 36 con il 17,9% mentre quelli autoritari sarebbero 59 con il 36,9%. La Norvegia è al primo posto nel mondo tra i sistemi democratici con una valutazione di 9.81 su 10. L’Italia compare nel secondo gruppo dove occupa la trentaquattresima posizione globale con un punteggio di 7.69 su 10. Secondo l’Economist il nostro Paese avrebbe un adeguato sistema elettorale e un pluralismo accettabile, ma problematicità nel funzionamento del governo, nella partecipazione politica, nell’informazione e nelle libertà civili. È un giudizio che a me pare inaccettabile per ciò che riguarda il primo aspetto essendosi progressivamente ridotta la sovranità popolare e la scelta della propria classe dirigente da parte dei cittadini, impossibilitati come sono ad avere un qualche ruolo nella designazione dei candidati. Consiglio vivamente di leggere nella sua integralità questa classifica del settimanale britannico dove si potrà vedere come alcuni Stati sono in pieno declino democratico precipitando di ben ventidue posizioni. La crisi della politica e quella della democrazia pluralistica sono naturalmente fenomeni paralleli ma anche interconnessi. Il primo elemento di tale fenomeno va ricercato anzitutto in quella forma di potere plutocratico nato nel sistema neoliberista, ma anche in Stati pseudo comunisti dove le decisioni non appartengono più realmente al popolo, chiamato alle urne con leggi elettorali senza più alcuna garanzia di libertà di scelta vera della propria rappresentanza, ma a lobbies finanziarie ed economiche talora perfino con la connivenza di soggetti appartenenti alla malavita organizzata. Sono questi gruppi che hanno la gestione del potere attraverso ristrette classi dirigenti o autocrati inseriti in partiti politici autoreferenziali che operano al servizio d’interessi privati e per la propria legittimazione tra l’altro anche con finanziamenti pubblici oggi definiti indiretti per aggirare il referendum del 1993. Si tratta di sovvenzioni che in Italia sono talmente elevate da essere diventate tra le voci più consistenti della spesa pubblica.
Non mancano in più di un Paese momenti nei quali si sospende il ricorso alle urne in caso di crisi per affidare il governo a tecnici che spesso non hanno alcun mandato popolare neppure come parlamentari. Nel sistema politico poi si annidano la corruzione, la concussione e il trasformismo camaleontico e opportunista di cui alcuni si servono senza scrupoli per gestire il potere personale, quello del partito di appartenenza e delle lobbies di riferimento. Molti cittadini sanno chiaramente che i candidati non provengono dal confronto e dalla partecipazione di base, essendo selezionati raramente in modo adeguato dalle segreterie dei partiti, ma si illudono ancora di avere nelle urne la scelta della rappresentanza delle proprie istanze; ci sono poi quelli rassegnati che hanno perso ogni speranza nelle istituzioni e nella loro efficienza. Dubito fortemente al riguardo che la maggioranza del popolo italiano consideri oggi prioritarie questioni dell’agenda di governo come il premierato o l’autonomia differenziata piuttosto che la riduzione del debito pubblico, la riforma equa del fisco, la piena occupazione e la garanzia di servizi essenziali adeguati come la sanità e l’istruzione. Per la verità, come ho già scritto enucleandone le ragioni, sono convinto che la proposta di elezione diretta del premier nelle modalità con cui viene avanzata rappresenti un pericolo per la democrazia nella divisione dei poteri e penso che il disegno di legge sull’autonomia differenziata sia non solo una sciagura per il Mezzogiorno, ma la negazione del principio della solidarietà che dovrebbe essere uno dei fondamenti essenziali per una convivenza equa e pacifica all’interno di uno Stato. Purtroppo la popolazione non ha più né la libertà di scelta nel voto e tantomeno quella della proposta delle questioni prioritarie da risolvere rinunciando a sottoporle nei casi più importanti al giudizio della cittadinanza attraverso consultazioni o referendum.
La crisi in questo sistema ipercapitalistico, in cui gli interessi di pochi prevalgono sui bisogni dell’intera collettività, tocca sempre più anche il welfare con una privatizzazione selvaggia di servizi essenziali quali la sanità, l’istruzione, i trasporti, le pensioni e perfino in qualche Stato il sistema carcerario. Con un’informazione sempre più controllata nei mass media ma anche su internet e un sistema di sondaggi utilizzati per manipolare il consenso piuttosto che per leggere e analizzare il pensiero dell’opinione pubblica la capacità degli elettori di valutare i programmi elettorali e di scegliere persone capaci e meritevoli per governare il Paese si va sempre più impoverendo. Da una democrazia basata sul principio della sovranità popolare, sia pure per via rappresentativa, siamo giunti alla neutralizzazione del ruolo decisionale dei cittadini per dare sempre più spazio a risoluzioni verticistiche di oligarchie elitarie di tipo finanziario, economico o tecnocratico che stanno dando vita alla cosiddetta postdemocrazia costituita da regimi sempre più illiberali che ormai rappresentano la stragrande maggioranza degli Stati del mondo dove le forze politiche reazionarie riescono a gestire demagogicamente il consenso e i sistemi di alleanza. Si crea in continuazione un profondo disallineamento tra le necessità dei cittadini e i provvedimenti avanzati dalla classe dirigente che spesso generano conflitti sociali acuti come nel caso delle modifiche al sistema pensionistico in Francia o della recente ondata di scioperi in Germania di fronte all’implosione dell’economia. La politica lavora dunque per gli interessi delle classi sociali dominanti allargando le disuguaglianze economiche e sociali, riducendo i diritti e privatizzando le prestazioni sociali. Dal diritto a un lavoro certo che sembrava garantire sicurezza e dignità alle persone siamo passati con la flessibilità a una sua precarizzazione senza precedenti né siamo capaci di continuare a immaginare un progetto per la piena occupazione portato avanti già dal movimento studentesco sin dall’autunno caldo del 1968 preferendo lasciare gran parte della popolazione nella povertà assoluta o tacitandola con sussidi diversamente definiti, ma che comunque sono la negazione di una vera identità e cittadinanza.
La crisi più grande in questo sistema globalizzato riguarda l’affermarsi crescente di regimi autoritari e nazionalisti, il moltiplicarsi dei conflitti armati nel mondo, il collasso dell’equilibrio ecologico, la scarsità di acqua e di fonti energetiche, la stagflazione, la paventata scissione tra intelligenza e coscienza nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e soprattutto la disuguaglianza. Ci illudiamo di avere sempre più libertà di pensiero e di scelte, ma in realtà siamo estremamente monitorati attraverso i nuovi sistemi tecnologici e controllati perfino nelle azioni. I nemici della democrazia sono gli autocrati che raggiungono e gestiscono il potere con la dissacrazione della verità, i guerrafondai che calpestano il diritto alla vita, i politici senza competenze, etica e responsabilità, i burocrati, i tecnici e i managers al servizio di un neoliberismo selvaggio, i populisti che cercano di vendere nuove forme di ideologismi mistificando talora perfino forme di partecipazione che, pur senza ancora serie garanzie obiettive di controllo, chiamano “sistemi di democrazia diretta”. Come salvare allora ciò che rimane delle democrazie parlamentari e disegnare regimi adeguati all’epoca in cui stiamo vivendo? Anzitutto dobbiamo convincerci che i problemi che abbiamo all’orizzonte per la loro complessità non sono più risolvibili a livello nazionale; dunque la politica e la democrazia hanno bisogno di una dimensione globale attraverso organizzazioni sovranazionali che non possono occuparsi d’interessi economici e finanziari particolari, ma siano capaci di disegnare un modello di sviluppo alternativo a questo capitalismo decadente fondato su un consumismo esasperato e di proporre una geopolitica che ci guidi a un internazionalismo di collaborazione, di giustizia e di pace. Il primo obiettivo è quello di costruire e consolidare regimi in grado di garantire a tutti i diritti fondamentali della persona che devono essere anzitutto quelli alla vita, alla salute, alla pace, alla libertà di pensiero, di espressione e di azione, all’istruzione, alla decisione partecipata sulle questioni riguardanti la vita collettiva locale e mondiale. Definire un’idea di riorganizzazione della politica su basi reali di partecipazione popolare significa evitare ogni forma di verticismo nelle scelte che sta allontanando sempre più i cittadini da un diritto di voto che con le attuali leggi elettorali diventa in pratica una pura finzione. Forme di democrazia effettiva devono prevedere anzitutto il potenziamento dell’istruzione di un popolo perché si possa acquisire autonomia cognitiva nella lettura della realtà e spirito critico nelle scelte liberandosi dalle manipolazioni della verità, evitando processi di autolegittimazione ed errori macroscopici di elites politiche talora non all’altezza del compito, ma anche le tante forme di populismo sempre più in ascesa che stanno creando più problemi che soluzioni per gli stessi.
Occorrono dunque leggi elettorali che assicurino partecipazione e rappresentanza reali e permettano la possibilità di scegliere i migliori piuttosto che i fedeli al potere premiati ora con un’elezione sicura nelle liste bloccate. Visto che nel 2024 si andrà al voto in ben settantasei Paesi ma anche per il Parlamento Europeo e ciò potrebbe avere risvolti per il quadro geopolitico mondiale, per questi obiettivi occorre mobilitarsi con urgenza piuttosto che astenersi dal voto o boicottarlo come è accaduto di recente in Bangladesh. La Costituzione Italiana non regola il sistema del voto, ma in talune parti lascia chiaramente pensare a un sistema proporzionale che crei un rapporto tra cittadini ed eletti attraverso l’espressione delle preferenze e sia privo di sbarramenti o premialità, attribuite queste ultime talora senza alcuna soglia minima di consensi; pertanto le criticità da eliminare assolutamente al riguardo sono i premi di maggioranza senza soglia, i capilista, la pluricandidabilità, la diversità di normativa tra i due rami del Parlamento, le cosiddette elezioni di secondo livello e nuove candidabilità senza preventive dimissioni da ruoli di rappresentanza o di governo già occupati. Gli attuali modelli di democrazia esprimono una visione molto povera della politica riducendo il legame tra cittadino e istituzioni neppure più attraverso i rappresentanti ma unicamente con i partiti e i loro leaders nel solo momento elettorale in una semplificazione divenuta addirittura banale. Oltre ai referendum il popolo deve assolutamente esprimere parere vincolante sulle priorità riguardanti l’agenda delle questioni da trattare a livello di governo perché il confronto con i propri rappresentanti non può ridursi all’esercizio del voto. È possibile ottenere questo coinvolgimento allargato, continuo e dinamico dei cittadini nelle decisioni utilizzando i nuovi strumenti di partecipazione consentiti dalla tecnologia purché essi siano tutelati da ogni forma di manipolazione. Va bene pensare alla stabilità del governo, ma in un sistema di vera democrazia sostanziale sulla velocità decisionista occorre far prevalere il pluralismo, il confronto, la mediazione tra le diversità e la sintesi razionale in provvedimenti che guardino unicamente al bene della collettività.
L’incapacità dell’Unione Europea e dell’ONU di giocare un ruolo efficace nella soluzione dei tanti conflitti aperti dalla follia umana e in particolare di quelli in Ucraina e a Gaza ci dice che i loro organismi, come ho più volte sottolineato, hanno bisogno di riforme urgenti a partire dall’eliminazione dell’unanimismo o del diritto di veto nelle risoluzioni. Le Nazioni Unite con 193 Stati aderenti hanno ottenuto qualche successo per il mantenimento della pace nel mondo, ma ultimamente in alcune missioni hanno segnato il passo soprattutto per mancanza di risorse, per le limitazioni nelle azioni dei Caschi Blu e per inefficienza nell’aggiornamento dell’intelligence rispetto alle sfide del terrorismo. Gli organismi internazionali possono avere un ruolo importante per il rafforzamento della democrazia nel mondo, per garantire i diritti e la convivenza pacifica tra i popoli come per risolvere i problemi più assillanti per l’umanità purché essi stessi diano pari dignità a tutti i Paesi aderenti e si dotino di regole condivise. La politica e la democrazia nel mondo vivono un momento di grande difficoltà. Non possiamo lasciare la prima alla mercé dei potentati oligarchici e della tecnocrazia e far scivolare la seconda nell’autoritarismo illiberale e populista. Per garantire la loro indispensabile sopravvivenza occorre un impegno concreto nella definizione di forme operative fondate sui diritti dei cittadini e la responsabilità collettiva, ma soprattutto di chi sceglie di dedicarsi al governo di un Paese. È superfluo rammentare che i risultati in politica si ottengono con l’elaborazione di idee, con il voto, ma anche con la lotta per l’affermazione delle idealità in cui si crede.

Commenti

Post popolari in questo blog

La Biodiversità, valore e risorsa da preservare