Un popolo rassegnato
di UMBERTO BERARDO
Il quadro economico e sociale dell’Italia è caratterizzato da una situazione a dir poco
preoccupante in diversi settori.
La crisi, dovuta non solo ai problemi creati dalla pandemia e dalle guerre ma soprattutto alla
ricerca iniqua e talora perfino selvaggia di profitti sul piano commerciale e finanziario, sta
producendo effetti insostenibili non certo alle classi sociali agiate ma sicuramente alla maggioranza
della popolazione.
All’orizzonte non s’intravvede alcuna seria ripresa produttiva e ciò da anni ormai penalizza il
mercato del lavoro con contratti sempre più precari e un tasso di disoccupazione totale al 7,6% che
tuttavia nel settore giovanile tocca il 21,3%.
L’iniquità nella gestione della spesa pubblica, negli errori politici e nello sperpero intollerabile su
salari, pensioni ed emolumenti per incarichi pubblici ha determinato un debito che al momento è in
forte aumento e ha raggiunto 2.859 miliardi di euro che in rapporto al PIL è stimato al 143,5%.
Tale situazione debitoria, nel silenzio di un’informazione deviata sui mezzi di distrazione di
massa, sta determinando un allontanamento degli investitori internazionali non solo dal mercato
borsistico italiano, ma soprattutto dall’acquisto dei titoli di Stato il cui valore è in continua discesa
non solo per quelli a lunga scadenza ma anche per i decennali.
Il potere di acquisto dei salari si è ridotto al punto che il carrello della spesa è salito del 21%.
La stessa recessione economica e inflattiva che vive l’intera Europa non contribuirà certo a
migliorare i servizi ai cittadini.
Non più adeguatamente finanziata da uno Stato che è palesemente indirizzato a sviluppare quella
privata, la sanità pubblica, ormai indirizzata ad una mercificazione palese del servizio, da anni
manifesta difficoltà pesanti sia nel sistema della prevenzione delle malattie che nelle prestazioni di
cura che penalizzano soprattutto i ceti sociali meno abbienti che ovviamente nel futuro vedranno la
loro salute meno tutelata.
Non è vero, come vorrebbero farci credere, che la rete scolastica e il sistema dell’istruzione
abbiano la stessa efficienza in tutte le aree geografiche soprattutto per il livello universitario come
dimostra il continuo aumento delle iscrizioni di studenti di famiglie agiate provenienti dal
Meridione nelle facoltà dell’Italia settentrionale.
Il sistema dei trasporti e della viabilità penalizza pesantemente il Sud e in particolare le aree
interne.
Abbiamo ancora il fenomeno dell’immigrazione che sta facendo registrare numeri elevati e talora
non più sostenibili in fase di prima accoglienza mentre la vita di persone disperate è spesso alla
mercè di calcoli economici e politici che non solo sono senza senso, ma a volte rasentano proprio la
disumanità.
Su tale questione il conflitto con Francia e Germania rende l’orizzonte ancora più cupo.
Alle società petrolifere ed energetiche si è permesso di speculare nell’aumento dei prezzi creando
situazioni disperate soprattutto per le famiglie monoreddito.
È notizia recente che il prezzo dell’energia elettrica e del gas saliranno rispettivamente del 12% e
del 9% mentre il prezzo del gasolio e della benzina hanno superato i due euro al litro.
Il tasso di povertà interessa ormai più di un quarto della popolazione.
I dati davvero drammatici ci dicono che cinque milioni e mezzo di persone vivono in povertà
assoluta mentre otto in povertà relativa senza sostegni economici accettabili dopo l’abolizione del
reddito di cittadinanza e soprattutto privi al momento di qualsiasi possibilità di accesso al mondo
del lavoro.
La crescita del PIL nel 2024 pare non andrà oltre lo 0,8%.
L’effetto più preoccupante secondo l’ISTAT è il futuro demografico dell’Italia la cui popolazione
decrescerà per denatalità ed emigrazione dagli attuali 59 milioni per giungere a 58,1 nel 2030, a
54,4 mln nel 2050 fino a 45,8 mln nel 2080.
In tale congiuntura economica e sociale la manovra di bilancio che sta preparando il governo
Meloni pare non possa disporre se non di venti miliardi in gran parte ancora in deficit che sono
davvero pochi per i bisogni del Paese.
Oltre al taglio del cuneo fiscale, al sostegno della natalità e a stanziamenti per il rinnovo dei
contratti pubblici, le cui misure sono tutte da definire, è davvero difficile pensare che in un simile
documento di programmazione economica possano esserci risorse per sanare la difficile condizione
che vive il Paese.
Sicuramente anche per gli oneri di un superbonus concepito senza equità e razionalità il governo
non solo è lontano dagli impegni presi con gli elettori lo scorso anno, ma dovrà fare i conti con
l’Unione Europea sul deficit programmato che è superiore al 3% attualmente previsto come soglia,
ma soprattutto con l’aumento dello spread avrà seri problemi a rassicurare i mercati finanziari che,
come accennavamo sopra, stanno tenendo sotto pressione in particolare i titoli di Stato.
Un eventuale probabile ritorno del Patto di Stabilità e Crescita complicherebbe ulteriormente il
quadro economico e finanziario.
Da anni la classe dirigente italiana appare davvero inadeguata nella soluzione dei problemi dei
cittadini, assai attenta a cercare spesso demagogicamente il consenso elettorale, ma davvero
incapace di rintracciare risorse con una politica fiscale fondata sull’equità e quindi su una
progressività in relazione ai redditi come previsto dalla Costituzione mentre la spending review
rimane eternamente solo una promessa.
Con una situazione come quella descritta, che non crediamo sia lontana dalla realtà, non ci si può
nemmeno permettere di sperperare risorse economiche su megaprogetti senza reali utilità per i
cittadini e buoni solo magari per creare feudi elettorali in talune regioni.
Abbiamo ora a disposizione i fondi del PNRR che non possiamo assolutamente dirottare in opere
inutili e forme di assistenzialismo, ma che sono assolutamente da impegnare negli investimenti e
nello sviluppo di consumi relativi a prodotti alimentari, industriali e tecnologici di eccellenza.
Non si risolvono i problemi sul tappeto con un sussidio risibile sui carburanti o con il patto
trimestrale antinflazione firmato solo da trentadue associazioni d’impresa nel settore alimentare per
prodotti di prima necessità.
Ciò che manca da decenni è un’efficace competenza nella programmazione economica e sociale
che permetta all’Italia di sviluppare la sua capacità produttiva e di ridare fiducia ai mercati
finanziari.
La cosa preoccupante è che il popolo italiano appare completamente rassegnato all’hic et nunc
ovvero alla condizione di vita esistente come fosse anestetizzato e dunque assente da ogni forma di
impegno nella rivendicazione di diritti negati e, negli ultimi anni, perfino rifluito pesantemente
nell’astensionismo elettorale.
L’informazione e soprattutto il web credo abbiano grandi colpe in merito perché spingono ormai
milioni di persone a vivere in una dimensione virtuale e comunque estranea alla realtà nella quale
muoiono sempre più i principi base delle relazioni con la società che sono quelli dello spirito
critico, della cittadinanza attiva e di un’elaborazione culturale libera e non assuefatta al potere.
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