Come fermare l'orologio dell'Apocalisse? (3a e ultima puntata)

LA SFIDA DEL SECOLO E LA BUSSOLA PER LE TRATTATIVE DI PACE------------------------------------------------------------------------------------------------------di Piero Carelli
Foto di P. Di Lena---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- La sola opzione realistica è di fare ciò che appare impossibile all’interno del sistema (Slavoj Žižek)-------------------------------------------------------- Un’altra Resistenza--------------------------------------------------------------------------------------------------- Un’altra storia, senza la guerra, sarebbe stata possibile. Sarebbe stata possibile anche una Resistenza disarmata all’invasore? Un fatto è certo: non ne esistevano le condizioni perché americani e inglesi stavano armando e addestrando l’esercito ucraino giusto per una reazione armata fin dal 2014 e perché la guerra (armata) nel Donbass era già in corso da otto anni. Ma alcune domande sono più che opportune. L’Ucraina, il Paese aggredito, aveva tutte le sacrosante ragioni per difendersi, ma davvero non vi era alcuna alternativa al ricorso alle armi, ricorso che inevitabilmente - com’è accaduto grazie all’invio di armi sempre più potenti e sofisticate da parte dell’Occidente - era destinato ad alimentare la spirale della violenza e a immolare sempre nuove vittime innocenti? Nessuna possibilità di coniugare il diritto a una sovranità nazionale e il diritto alla vita di tanti (troppi!) civili e militari? L’opzione non violenta è solo un cimelio del passato, applicata con successo solo nell’indipendenza dell’India e in poche altre occasioni, e che non ha più nulla da dire a noi oggi? Domande impegnative che non possiamo permetterci di liquidare tout court come utopiche. È stata l’opzione delle armi che ha contribuito in modo determinante a spostare le lancette dell’orologio dell’Apocalisse verso la fatidica Mezzanotte. La strategia della non violenza, poi, ha funzionato durante la “rivoluzione arancione” del 2004, come ha funzionato nella prima fase di quello straordinario laboratorio politico che è stato “Piazza Europa”. È stata, al contrario, l’irruzione della violenza ad opera del “Settore Destro” che ha riempito di nuvole minacciose il cielo dell’Ucraina e della stessa Europa. È stata quella violenza (incoraggiata, pare, dagli americani) che ha creato l’occasione per un “bagno di sangue” e che ha dato origine alla leggenda (ma fu proprio una leggenda?) del “colpo di Stato” che ha fornito a Mosca il pretesto per l’annessione della Crimea e per l’appoggio militare ai separatisti del Donbass. È stata quella violenza, infine, che ha impedito la nascita di un “governo di unità nazionale” e “libere elezioni”, come era previsto dagli accordi firmati dal presidente e dall’opposizione la notte del 21-22 febbraio 2014! Un’altra storia mancata Sarebbe stata davvero un atto di codardia una Resistenza senz’armi? Ipotizziamo un esperimento mentale del tipo “supponiamo che…”, di galileiana memoria. Supponiamo che i carri armati russi avessero incontrato una marcia di centinaia di migliaia di cittadini inermi: Mosca avrebbe osato compiere il più grande massacro della storia? Non sarebbe stata tale Resistenza un atto di straordinario eroismo che avrebbe attirato una simpatia internazionale ben più convinta di quella che ha raccolto oggi? E non sarebbe stata proprio questa simpatia internazionale un’arma potente di pressione per una soluzione diplomatica della crisi? Un tale atto di eroismo, inoltre (ma soprattutto), non avrebbe risparmiato migliaia e migliaia di vite umane, civili e non? Uno scenario, questo, troppo roseo per essere realistico? Il successo della strategia, di sicuro, non sarebbe stato garantito, ma non è stato un errore non averla presa a suo tempo in considerazione? Non è lo stesso Gandhi (che non era tout court pacifista) a dirci che, se vogliamo far fare un passo in avanti all’umanità, non dobbiamo ripetere la storia, ma “fare una storia nuova”? La guerra in corso in Ucraina è stata un’occasione perduta per costruire una storia nuova, ma non è da tale occasione che possiamo trarre una lezione per il futuro? La strategia della non violenza, se tradotta in iniziative collettive, può funzionare meglio di quanto i più immaginano e ha funzionato in qualche misura perfino sotto la più efferata delle dittature, quella nazista (dalla Norvegia alla Polonia e alla stessa Germania) costringendo il regime a fare retromarcia su diversi fronti (dalla nazificazione della scuola fino allo sterminio totale dei malati di mente). L’investimento senza il quale la democrazia sarebbe un simulacro di se stessa Domande. Una miriade di domande. È la guerra che ci interroga. Ci interroga sul destino dell’uomo: è questi destinato a non diventare mai “del tutto uomo”, a non liberarsi definitivamente, in altre parole, dalla condizione di animale da cui proviene? Ci interroga sui rischi insiti nei nostri sistemi democratici. Non è l’opinione pubblica che ha applaudito, sia a Est che a Ovest, tutte le politiche “muscolari”, tutte le letture manichee dei fatti, tutti i monologhi dei nostri politici che hanno fatto crescere a dismisura i sospetti reciproci? Non sono state benedette dall’opinione pubblica americana tutte le scelte di muovere la Nato sempre più a Est verso i confini con la Russia? Rischi destinati inevitabilmente a corrodere dall’interno le nostre democrazie? Non pochi dittatori del Novecento - è un fatto - sono stati incoronati dai popoli, ma questo significa che dobbiamo rassegnarci o, al contrario, attivarci perché detti rischi siano sempre più contenuti? Non avremmo bisogno, a tal fine, di investire massicciamente nella “formazione politica”, una formazione che fornisca gli attrezzi per andare oltre le narrazioni contrapposte e che maturi la capacità di prevedere gli effetti delle decisioni (o non decisioni) politiche nel medio e nel lungo termine? Non avremmo bisogno di una formazione politica che sia anche una sorta di palestra in cui ci si eserciti ad andare oltre la logica del partito (necessariamente “di parte”), ad ascoltare le ragioni degli altri, a risolvere i problemi col dialogo cercando insieme un punto di mediazione, a vigilare con senso critico e costruttivo sull’operato dei politici da noi eletti…? Senza tale formazione non rischieremmo continuamente di cadere nelle insidie insite nelle nostre strutture democratiche? E poi una democrazia in cui il popolo (o, almeno, i più) non sia nelle condizioni di esercitare la sua sovranità, non sarebbe un simulacro di democrazia, in altri termini, un’oligarchia? Un summit che spiani la strada alle trattative La guerra ci interroga sulla nostra capacità di costruire la pace, una pace che duri nel tempo e non sia foriera di nuovi conflitti. Una schiacciante “vittoria” dell’Occidente costituirebbe davvero una garanzia di pace o, al contrario, alimenterebbe la voglia di riscatto e di rivincita di un popolo ancora più ferito nel suo orgoglio? L’Europa ha “esportato” due spaventose guerre mondiali che hanno provocato svariate decine di milioni di morti: non potrebbe essere questa l’occasione, anche a mo’ di riparazione morale, per esportare la pace dove divampano i conflitti? La Ue non avrebbe tutte le carte in regola avendo costruito sulle macerie della seconda guerra mondiale un vero e proprio “capolavoro”, ricorrendo all’arte più nobile inventata dall’uomo che è la politica? Non è questa “politica” che avremmo ora il dovere di esportare? Non potremo svolgere il ruolo di mediazione nel conflitto in corso, essendoci noi schierati, più che doverosamente, a fianco del popolo aggredito contro l’invasore, ma non potremmo prendere l’iniziativa di promuovere un summit internazionale dei Grandi della Terra finalizzato alla comune sottoscrizione di una nuova architettura di sicurezza che faccia sì che nessuno si senta minacciato? Non si tratterebbe di… esportare l’arte della democrazia con le armi, ma l’arte di costruire la pace. E non si tratterebbe di scavalcare l’Onu, ma al contrario di renderla più efficace: non cadrebbero tanti veti incrociati che oggi paralizzano la più alta assise mondiale se in Grandi dovessero trovare un’intesa tra loro? Tale intesa, poi, non farebbe venire meno le ragioni dello stesso conflitto tra Mosca e Kiev e quindi spianare la strada alla firma di una pace durevole? Un’Europa 2.0 L’Europa, infine, non potrebbe ambire a mete ancor più alte? Perché non iniziare già ora, a partire dalla lezione che ci proviene dalla guerra in Ucraina, a costruire il sogno di un’Europa che respiri con due polmoni (se vogliamo rubare l’espressione di Giovanni Paolo II), ovvero un’Europa che si allarghi alla Russia “europea” e che, di conseguenza, rimuova alla radice le cause di nuovi possibili conflitti? Un’impresa titanica, di sicuro: ingenti, infatti sarebbero i costi che comporterebbe. La Russia dovrebbe rinunciare ai territori asiatici (in gran parte, tuttavia, scarsamente popolati): se un’Europa da Lisbona a Vladivostok, il sogno di Gorbačëv, è decisamente irrealistico, un’Europa da Lisbona agli Urali, il sogno di de Gaulle, non potrebbe essere realisticamente perseguito? Ma anche l’Europa occidentale dovrebbe pagare un conto piuttosto elevato: già l’Ucraina, da sempre sull’orlo del fallimento, rappresenterebbe un onere pesante per l’Unione, un onere che si moltiplicherebbe a dismisura con l’ingresso di centoquarantatré milioni di cittadini russi più poveri della media dell’attuale Unione europea. Non assisteremmo, poi, a un esodo massiccio di tali cittadini verso i Paesi più ricchi dell’Europa occidentale, se il flusso non fosse “governato” con saggezza e con la necessaria gradualità per non sconvolgere bruscamente gli equilibri sociali esistenti? Sacrifici pesantissimi, ma non sarebbero di gran lunga superiori i benefici? Non sarebbe questo il capolavoro politico del XXI secolo? Buia è la notte, ma buia era anche la notte che incombeva sull’isola di Ventotene, eppure là tre visionari hanno coltivato un grande sogno: rimuovere le cause dei conflitti costruendo una casa comune proprio laddove erano divampate due guerre che avevano fatto scorrere fiumi di sangue su tutto il pianeta. Un sogno che statisti saggi e illuminati hanno passo dopo passo concretizzato. Non abbiamo bisogno oggi di nuovi “visionari” che sappiano coltivare il grande sogno di un’Europa 2.0, un sogno che possa fungere da bussola per le trattative di pace? (3 – fine)

Commenti

  1. Bellissimo testo. Lucido e metti la dita in là ferita con gli questioni che non vogliono rispondere. Si l'Europa mai possa capire che la Russia è l'Europa, il suo destino será finire come una semplice provincia degli EUA

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