COME FERMARE L’OROLOGIO DELL’APOCALISSE?

E'il titolo di uno scritto del Prof. Piero Carelli, diviso in tre pati, inotratoci da un amico caro Emilio D'Ambrosio, un larinese come me, che, da bambino, si è trasferito a Pioltello (MI) con tutta la famiglia. Da sempre impegnato nella lotta politica e sociale, in fabbrica e nellle piazze, vale leggere ed ascoltare, oggi più che mai, visto il vuoto della politica e la disattenzione per il sociale. Mi scrive: Ti giro, l’ultima eleborazione del prof. PIERO CARELLI, nata dalla richiesta della testata giornalistica, di ispirazione cristiana “IL TORRAZZO” di CREMA. E’ lo sviluppo sul mezzo di comunicazione cartaceo dell’argomento “UNA GUERRA CHE CI INTERROGA” sullo sfondo della guerra in UCRAINA. Con coraggio e determinazione PIERO s’inoltra nei meandri della complessità per evidenziare la faticosa ricerca della verità oltre gli schemi manichei e le semplificazioni. Vere e prorie manipolazioni a servizio di interessati poteri. Responsabilità ed omissioni. Così, nasce e si sviluppa la tragedia della guerra in UCRAINA. Nella forza della ricerca, svolta con il metodo filosofico si coglie lo sforzo di individuare percorsi, mobilitazione delle coscienze e proposte per andare “oltre”. POLITICA e DIPLOMAZIA per definire una nuova e rinnovata costruzione della SICUREZZA PLANETARIA. Oltre alla delega alle forze politiche, una sovranità riscoperta e praticata, visione e mobilitazione dei popoli in cammino, senza guerre un altro mondo è possibile! Il prof. Carelli è impegnato da anni sul tema della promozione di conoscenza e cittadinanza attiva, attraverso molteplici iniziative formative, sociali, culturali e politiche. A tal proposito c’è la creazione del blog, “CREMAscolta, dalla protesta la proposta”. Https://www.cremascolta.it. Inoltre, all’UNI-Crema Libera Università per l’Età adulta, nel mese di gennaio 2023, in 4 incontri ha presentato la sua elaborazione “UNA GUERRA CHE CI INTERROGA”. Https://uni-crema.it. E’ presente su fb. Https://facebook.com/pierocarelli43.
Come fermare l'orologio dell'Apocalisse? .......................In timore e tremore (1a parte)- di Piero Carelli La guerra è un sacrilegio, che fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra, la vita umana, l’innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato (papa Francesco)------------------------------------------------------------------------------------------------------ Un tema caldo. Anzi, scottante. Un tema che scuote le coscienze e divide. È possibile parlarne senza le semplificazioni care ai politici e a certa stampa e senza le letture manichee tanto di moda? Io, col mio testo “Una guerra che ci interroga” ci ho provato. Ho provato a liberarmi dalla trappola del “presupposto di conferma”, la tendenza cioè di selezionare le informazioni che confermano le nostre convinzioni. Ho provato a scrollarmi di dosso la “cultura del frammento” e a optare per un approccio “globale”. Ho provato a sfidare il mantra del “there is no alternative” ricorrendo all’arma del dubbio. Le mie credenziali? Nessuna: sono solo un cittadino che non si accontenta del mainstream e vuole capire o, almeno, provarci. Le mie letture? Ho privilegiato libri di carattere storico: come potrebbe essere comprensibile la guerra senza ricostruire le dinamiche che l’hanno provocata? Il conflitto in corso, probabilmente, segnerà il destino non solo dell’Europa, ma anche della stessa globalizzazione (si tornerà agli Stati nazionali gli uni contro gli altri armati?) e, addirittura, del pianeta. Affrontarla è un’impresa che fa… tremare le vene e i polsi. Ecco perché mi accingo a parlarne con… timore e tremore. Non ho verità né ricette da vendere, ma solo tanti interrogativi da porre (è la guerra che ci interroga). Il mio – ci tengo a chiarirlo subito – è soltanto un percorso possibile o, meglio, il suggerimento di un metodo di ricerca. Magari, il lettore, applicando il mio metodo o affinandolo, aprirà nuove finestre, scoprirà nuovi punti di osservazione. E, magari, troverà il bisogno di confrontarsi con gli altri, di dialogare: non è proprio il dialogo la marcia in più degli umani? Non sono i tanti monologhi dei politici che, alla fine, hanno lasciato parlare le armi? Il mortale scintillio dell’Occidente Veniamo ai “fatti”. I fatti non esistono perché esistono solo le “interpretazioni” come sostengono certi intellettuali? Ma è proprio così? Oggi la Federazione russa (la Russia di Putin, di Kirill, di Dugin…) odia visceralmente l’Occidente, ma - è il caso di sottolinearlo - per oltre un decennio non è stato così: vedeva l’Europa e, in generale, l’Occidente come un “modello” non solo in ambito economico, ma anche in quello politico e considerava la democrazia liberale non come un semplice prodotto dell’Occidente, ma come un punto di riferimento universale per l’intera umanità. Ricostruiamo. La Russia sperimenta il “libero mercato” come sperimenta il pluripartitismo e la stessa libertà di dissenso. Una stagione per certi versi esaltante. Ma… qualcosa presto si inceppa: Eltsin, mal consigliato, importa il peggio dell’Occidente, in primis, il liberismo selvaggio (senza regole) che fa letteralmente saltare un sistema che, nonostante i suoi limiti strutturali, garantiva a tutti i diritti sociali e la stabilità dei prezzi. La conseguenza? Un decennio di caos: un’inflazione alle stelle che polverizza il potere di acquisto di salari e di pensioni, una disoccupazione dilagante… Un decennio anche di instabilità politica (Eltsin giunge a bombardare la sede dello stesso parlamento!), ma anche un decennio di speranze sia sul fronte occidentale che russo. Un’occasione imperdibile, quella, per una transizione “graduale” (come quella delle altre ex repubbliche sovietiche) da un regime comunista a uno liberal-democratico. Un’occasione, purtroppo, perduta: troppi gli errori compiuti (le liberalizzazioni accelerate volute da Eltsin, l’insensibilità dell’Unione europea nei confronti del travaglio russo...). Ed ecco, allora, dopo che Mosca ha coltivato a lungo il sogno di una “integrazione” nel mondo occidentale, la metamorfosi: fiutando l’opinione pubblica, Putin si propone di incarnare il bisogno di ordine e di stabilità (tanto più in seguito alla guerra al terrorismo ceceno) e la diffusa volontà di riscatto di un popolo orgoglioso della sua storia e ora mortalmente ferito dopo l’implosione dell’Urss. Una mission che lo zar persegue con tenacia in tutto l’ultimo ventennio fino al fatidico febbraio 2022, ergendosi a protettore del “mondo russo”. Di qui una serie di iniziative militari: dalla guerra dei cinque giorni a fianco dell’Ossezia del Sud contro il presidente filo-occidentale della Georgia all’annessione della Crimea, dal sostegno militare ai separatisti del Donbass fino alla barbara aggressione dell’Ucraina nel febbraio scorso. “Fatti” e “fatti” anche le bandiere ideologiche. Un forte avvertimento all’Occidente Una inversione a U di Mosca: la Russia, dopo avere ammirato tutto ciò che è occidentale, vede l’Occidente (tanto più l’Occidente pagano, l’Occidente che ha benedetto i rapporti tra omosessuali) come il Nemico, la fonte dei propri guai. Ed ecco la chiusura in se stessa, il ritorno alle gloriose tradizioni e l’esaltazione di una democrazia “illiberale”, l’unico regime capace di salvaguardare la “stabilità” e il più congeniale con la storia del popolo russo. Solo “interne” le ragioni della svolta? Ricostruiamo. Reagan, in cambio dell’OK di Gorbačëv alla riunificazione tedesca (con la conseguenza del passaggio sotto la Nato dell’ex Germania comunista) promette verbalmente al leader russo che la Nato non si espanderà a Est. Bush padre segue la linea della prudenza, la linea cioè della non interferenza negli affari interni all’ex mondo comunista, una linea che il nuovo presidente “democratico” Clinton abbandona (secondo certe fonti per ragioni elettorali: raccogliere il consenso tra i cittadini americani provenienti da ex repubbliche sovietiche particolarmente ostili a Mosca) a favore di una politica interventista. È sotto la presidenza Clinton che la Nato inizia a espandersi a Est, in barba alla promessa di Reagan ed è sotto la stessa presidenza che l’Alleanza atlantica, a trazione americana, registra una mutazione genetica che viene inaugurata col bombardamento della Serbia: iniziative che non possono non preoccupare Mosca. Nel 2003 in Georgia la “rivoluzione delle rose”, finanziata da fondazioni americane, scaccia il presidente Shevardnadze, già Ministro degli Esteri di Gorbačëv: un altro campanello d’allarme per Putin. Il 2004 è l’anno della “rivoluzione arancione” che riesce a bloccare l’elezione di Janukovič, l’uomo di Mosca, risultato vincente grazie a brogli elettorali. Nel 2007 Putin fa sentire alta la sua voce contro la progressiva espansione della Nato. L’anno dopo gli Usa caldeggiano l’adesione dell’Ucraina e della Georgia alla Nato, le due linee rosse invalicabili per Mosca. Il presidente russo reagisce intervenendo militarmente nella Georgia a fianco dell’Ossezia del Sud bombardata dal presidente filo-americano. Un forte avvertimento: Mosca non si farà intimidire dall’Occidente. Un laboratorio politico finito in un bagno di sangue Nel frattempo gli occidentali intensificano i loro finanziamenti a delle ONG ucraine. In prima fila americani e inglesi. Un fiume di dollari e di sterline con un obiettivo preciso: staccare Kiev da Mosca. L’occasione: la mancata firma da parte del presidente Janukovič del Protocollo di accordo di associazione con la Ue (siamo verso la fine del 2013). Piazza Indipendenza, già teatro della rivoluzione arancione, torna ad essere il centro della contestazione: centinaia di migliaia i manifestanti (in tutto un milione). Siamo di fronte a un laboratorio politico straordinario che sperimenta con successo la strategia della non violenza. Ma, la situazione presto precipita: più il movimento viene represso, più si radicalizza. Ecco le barricate. Ecco le prime molotov. Ecco i primi morti. Alla fine, mentre i rivoltosi si dirigono verso il parlamento, vengono accolti dal fuoco dei cecchini. È un bagno di sangue: un centinaio di morti tra manifestanti e forze dell’ordine. Una conclusione tragica per “Piazza Europa”. Janukovič, in extremis, prova a giocare la carta della riconciliazione e convoca l’opposizione. È la notte tra il 21 e il 22 febbraio 2014, una notte magica, Dopo i tumulti, finalmente la pace: viene firmato un accordo che prevede tra l’altro un governo provvisorio di unità nazionale e libere elezioni politiche. Ma… la pace dura solo poche ore: il “Settore Destro” (la componente ultra-nazionalista), il mattino, si rifiuta di deporre le armi e dà l’assalto al parlamento e al palazzo presidenziale. Janukovič, avvertito il pericolo, fugge in Crimea e da lì raggiunge Mosca. Una Via Crucis interminabile Una vittoria amara per i filo-europei. La cacciata di Janukovič non è l’alba della liberazione. Sotto il cielo di Kiev, anzi, il tempo si mette a correre. All’impazzata. E in discesa. Putin tuona contro il “colpo di Stato” perpetrato ai danni di un presidente legittimato dal popolo e passa subito all’azione: l’annessione della Crimea - giustificata con un referendum che viene disertato dagli osservatori dell’Osce perché considerato illegittimo - e il sostegno finanziario e militare dei separatisti del Donbass. Così l’Ucraina si trova a essere amputata e lacerata da un conflitto - reso ancora più acuto dall’accorrere di foreign fighters - che provoca in otto anni ben 14.000 morti. Una lunga Via Crucis, quella dell’Ucraina. Un Paese in ginocchio. Ma il peggio deve ancora venire: il 24 febbraio 2022 viene barbaramente aggredito da Mosca. È la guerra in corso, con i suoi massacri, i suoi orrori, le tante (troppe) vittime civili, i suoi milioni e milioni di profughi, le distruzioni, l’escalation della violenza… Una miscela esplosiva di fattori “interni” e di fattori “esterni” (le… attenzioni interessate dell’Occidente): questi i “fatti” nella loro essenzialità. Come potremmo prescinderne se vogliamo “comprendere” davvero le dinamiche che hanno condotto alla guerra? Come potremmo prescinderne se intendiamo costruire una pace che duri nel tempo e che non faccia la fine degli accordi di Minsk per il Donbass? (1 – continua)

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