Inorridisco
di Piero Carelli
“La guerra in corso potrebbe durare anni, forse decenni” (Lucio Caracciolo).
Inorridisco. Inorridisco a leggere che sarebbe sufficiente un incidente a Kaliningrad per scatenare la terza guerra mondiale (addirittura, un’apocalisse nucleare).
Com’è stato possibile?
Tutta colpa del mostro del Cremlino (criminale di guerra, sanguinario), oppure quel mostro – come scrive Domenico Quirico – è una nostra creatura che oggi, dopo che “ci siamo visti riflessi nel suo specchio e abbiamo avuto orrore […] cerchiamo di mandare in frantumi lo specchio sperando che con l’immagine sparisca anche ogni traccia di quella somiglianza”?
Siamo precipitati in un abisso.
Non c’entriamo nulla noi europei? Che cosa abbiamo fatto quando i nostri amici, i vincitori della guerra fredda, soffiavano sul fuoco (fin dal 2004)? Abbiamo finto di non vedere e di non udire, illusi di vivere in una bolla iper-protetta!
Eppure, forse, sarebbe bastato poco (secondo Jean Dufourcq, anche solo la reiterazione del no di Francia e Germania all’ingresso dell’Ucraina nella Nato).
E ora si sta materializzando di giorno in giorno l’incubo di uno scontro tra le due superpotenze mondiali.
Non ci illuda la distanza: sconvolgerà ancora di più le nostre vite.
E noi europei, eredi di un immenso patrimonio di valori, continueremo a vivere beati nell’isola che non c’è (dando, magari, del rincoglionito al vecchio, ma saggio Kissinger che, inascoltato da tutti, continua a dire che la Russia è un fattore decisivo per la stabilità dell’Europa)?---------------------------------------------------
UN NUOVO KISSINGER CERCASI
“Se Henry Kissinger fosse ancora al timone della politica estera americana, Washington e Mosca avrebbero già fatto pace. Anzi, la guerra non sarebbe nemmeno cominciata”.
Così l’editorialista dell’ultimo numero di “Limes”.
Che può dire un semplice cittadino come me, del tutto privo degli strumenti sofisticati degli analisti di geopolitica e animato solo dalla volontà (o velleità?) di capire qualcosa?
Può solo soltanto porre delle domande.
Non esiste più, né a Washington né a Bruxelles, una classe politica all’altezza delle tremende sfide del nostro tempo?
È venuto meno l’approccio “razionale” (realistico, capace di guardare ai tempi lunghi) e, al contrario, sta prevalendo l’approccio “emotivo”, prigioniero del presente?
Uno sprovveduto l’editorialista di “Limes” o sprovveduti sono i tanti atlantisti puri e duri, magari dell’ultima ora, che a loro insaputa vivono (rilancio la metafora) in un’isola che non c’è?
Una tragica guerra in corso, una guerra incombente dagli effetti forse ancora più sconvolgenti, un mondo sempre più multipolare (molto differente da quello che è emerso dopo l’eutanasia dell’Urss), non obbligano noi umani - ma lo siamo ancora? - ad aprire un negoziato al fine di riscrivere “insieme” le regole di un nuovo ordine mondiale che, senza alcuna cessione territoriale a favore dell’aggressore di turno, dia la possibilità a tutti, piccoli e grandi (dalla Lituania alla Federazione russa, da Taiwan alla Cina) di sentirsi al sicuro?
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