SUA MAESTA’ IL TARTUFO BIANCO PREGIATO
DELLA SERIE : “LE INTERVISTE IMPOSSIBILI” di Gianluigi Ciamarra.................................................-----------
A Tokyo, in uno dei più prestigiosi ristoranti della città, fui ospite del mio amico Remo, che vive lì da anni, il quale, pur apprezzando la sana cucina giapponese, ricorda con nostalgia i prodotti italiani e in particolare il re della tavola, Sua Maestà il Tartufo bianco pregiato, di cui è un appassionato cultore.
Remo scelse quel lussuoso locale dove venivano proposte le nostre migliori ricette, anche perché - meraviglia delle meraviglie! – sapemmo che lì era da poco tempo sbarcato, ed esposto in bella mostra, un magnifico esemplare di Tuber magnatum Pico, provenienza Italia, Molise.
Il mio amico, piemontese di Alba, terra di tartufi, non poteva sottrarsi alla tentazione di ammirarne la tortuosa bellezza e godere del suo inebriante profumo. Sua Maestà, però, questa volta non era originario del Piemonte, ma giungeva dalla mia terra: un pezzo della mia piccola regione signoreggiava in un altro Continente!
L’occasione fu per me ghiotta per intervistare il bell’esemplare che ci avrebbe allietato la vista e l’olfatto, arricchendo – speravamo - i piatti del menu da noi scelti, tutti serviti con deliziose scaglie di tartufo bianco: carpaccio di carne all’albese, antico risotto con salsiccia e rhum, fesa di vitello ai funghi e cardi gratinati. Ma non sarebbe stato lui, ci dissero, a sacrificarsi per il nostro pasto, bensì un altro tartufo, molto più piccolo, anch’esso dal profumo eccelso: il pezzo da novanta, il “molisano”, era, invece, destinato ad un’asta di beneficenza.
« Maestà – esordii, scoperchiando la campana di vetro che lo proteggeva –, un lungo viaggio il Suo. Dal Molise al Giappone ……. Mi racconti la sua storia».
«Un storia lunga e tormentata. Mi presento, innanzitutto: sono un fungo (ipogeo, perché, a differenza degli altri funghi, noi tartufi viviamo sotto terra) e non un tubero come comunemente ci si ostina a chiamarci; sono nato in Molise, ai margini di un boschetto di querce e pioppi, nel mese di settembre, dopo un’estate abbastanza piovosa e non eccessivamente calda. A fine ottobre ho cominciato a maturare e ad emanare il mio profumo. Fortunatamente mi trovavo ad una certa profondità nel terreno, a circa 80 centimetri, ragion per cui i tanti cani addestrati alla ricerca non avvertirono subito la mia presenza».
«Era da solo in quella zona?».
«No, eravamo una famiglia – quattro esemplari uno accanto all’altro in un ristretto spazio –, tutti alimentati dallo stesso pioppo che allungava di molto le sue radici. A differenza di me, gli altri hanno avuto vita breve, perché presenti pressoché in superficie e già nella prima giornata di raccolta furono individuati ed estratti. Ancora più in là erano aggregati alcuni esemplari di Tuber macrosporum (tartufo nero liscio): tra noi bianchi e loro neri si è instaurato un ottimo rapporto di convivenza, nel reciproco rispetto delle proprie aree di crescita e delle proprie esigenze».
«Quindi?»
«La mia naturale difesa contro il pericolo dei cavatori consisteva nell’emettere solo a intermittenza il mio profumo, nella speranza che non si avvicinasse un esperto cercatore accompagnato da un buon cane dal fiuto finissimo. Resistetti per molti giorni, fin quando, a metà dicembre, dopo una nottata insonne per il via vai di tartufai che anche di notte, contro le regole stabilite, percorrevano il bosco in lungo e in largo, avvertii un rumore sordo e continuo, tipico del raspare di un cane. Ci siamo, pensai. Temo che a breve vedrò la luce, e sarà la mia fine.
Un autentico terremoto il frenetico scavo di quel cane lagotto che si affannava sopra di me, nei piani superiori, alla mia ricerca: radici strappate, terra rimossa con veemenza. Una inarrestabile voglia, la sua, di arrivare alla “preda”. Sentivo la voce del padrone invogliarlo incessantemente: “Dai, dai, Luna; dov’è, dov’è? Dai, che ti do il contentino. Brava, Luna, brava, dai, dai”. Capii che non c’era più scampo nonostante vivessi in profondità, come ho detto; ma d'altronde, prima o poi sarebbe dovuto accadere. Fortuna volle che incappai in un vero ed esperto cercatore di tartufi, ossequioso delle regole,di quelli che è raro oggi incontrare, il che mi permetterà di rigenerarmi ».
«In che senso? Cosa vuole dire?»
«Nel senso che il mio trovatore dopo avermi estratto con molta fatica (l’ho fatto dannare, però, modestia a parte), ebbe molta cura nel ricoprire la profonda buca con la stessa terra cavata, così permettendo che alcune mie spore rimanessero nel terreno e che le radici da cui ho preso nutrimento non si seccassero. In modo tale, vale a dire, da permettermi di riprodurmi nella successiva stagione».
«Poi che successe?».
«Paradossalmente, dopo aver sentito gli entusiastici apprezzamenti fatti su di me all’atto dell’estrazione, non mi dispiacque di essere stato raccolto (d’altronde, il più delle volte è il nostro destino). Il tartufaio mi prese con molta delicatezza, carezzandomi e compiacendosi del mio profumo e del mio peso (1 chilo e duecentotrenta grammi), riponendomi con leggerezza nel suo sacchetto di panno dopo che mi ebbe fatto annusare da Luna per condividere con lei il piacere di quella emozionante cattura. Fui successivamente portato presso alcuni raccoglitori, nel tentativo di essere venduto al prezzo più alto possibile; venni adagiato più volte su varie bilance, fin quando il mio rinvenitore si prese cura di me. E così, “sotto protezione” (ossia con tutti gli accorgimenti del caso, relativi alla temperatura del contenitore che mi trasportava per evitare possibili deterioramenti del mio corpo), iniziai un lungo viaggio che mi ha portato in varie località: Alba, Acqualagna ed infine, oggi, qui a Tokyo dove fui acquistato per essere battuto all’asta, in questo ristorante dove mi trovo momentaneamente esposto in vetrina, in attesa di essere venduto questa sera, in beneficenza, in occasione di una elegante serata di gala.
Credo di aver fatto trascorrere un buon Natale a chi mi ha trovato, considerando che, per quanto ho potuto capire, al mio cavatore ho fruttato ben 40.000 euro, mentre il prezzo finale, per l’asta di beneficenza, presumo che si aggirerà intorno ai 200 mila dollari».
«Quali conclusioni, allora, sulla Sua (breve) esperienza terrena, pardon, sub-terrena?»
«Nel comune interesse della mia specie (per la nostra sopravvivenza) e di quello dei cercatori, mi sento di dover consigliare la massima tutela ed il massimo rispetto per le zone in cui viviamo, ossia nelle aree incolte, nei boschi e nelle loro adiacenze, lungo i fossati alberati: in tali luoghi la nostra presenza è assicurata, naturalmente con le favorevoli condizioni climatiche e meteorologiche e in presenza di altri fattori. Non a caso si dice che siamo le “sentinelle dell’ambiente”, nel senso che lì dove cresciamo noi, la Natura è incontaminata.
Particolare attenzione va prestata per il taglio degli alberi, le cui radici sono il nostro nutrimento: un disboscamento indiscriminato, senza una preventiva mappatura delle piante tartufigene rischia di compromettere definitivamente la fecondità di vaste zone, poiché così facendo, per dirla come voi umani, ci tagliereste i viveri …
Un grave problema riguarda, poi, i nostri amici neri estivi, volgarmente detti “scorzoni”: essi, per il fatto di vivere in superficie e di lasciare segnali della loro presenza: i cosiddetti pianelli (dove l’erba si secca formando un cerchio sotto la chioma dell’albero), che rendono facilmente individuabile la loro zona di crescita. Qui i nostri cugini “scorzoni” sono spesso oggetto di raccolta operata con mezzi illeciti (zappe, rastrelli) che danneggiano irrimediabilmente il loro habitat. Per fortuna noi bianchi non abbiamo di questi problemi, perché viviamo abbastanza in profondità e non lasciamo segni visibili della nostra esistenza».
«Bene, La ringrazio per la disponibilità, Maestà, e Le auguro un buon successo per l’asta di domani»
«Sono io a doverLa ringraziare per aver avermi dato la possibilità di far conoscere meglio il nostro magico e misterioso mondo. Per quanto riguarda l’evento di questa sera, farò del mio meglio per stupire i presenti, inebriandoli del mio profumo. Mi saluti i boschi del Molise».
Commenti
Posta un commento