La pace non è solo un concetto ma una condizione di vita

di Umberto Berardo
Abbiamo impiegato secoli, ma ancora non riusciamo a superare la nozione generale di guerra né quella di “guerra giusta” teorizzata quest’ultima, nonostante il Discorso della Montagna, tra gli altri da Agostino di Ippona e da Tommaso d’Aquino sia pure circoscritta a casi del tutto limitati. La Pacem in Terris di Giovanni XXIII del 1963 ha finalmente affermato che “è del tutto irragionevole pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”. Viviamo un’epoca in cui purtroppo la ragione, come ha affermato papa Francesco, si mette ancora al servizio della follia di chi pone il potere, il prestigio e l’espansione territoriale al di sopra del valore della persona e della sua vita. Da anni il mondo sembra invocare la pace ed è mia convinzione che la maggior parte della popolazione che abita il nostro pianeta davvero la desideri anche se la connotazione che se ne dà è riferita essenzialmente all’assenza di conflitti armati e dunque senza prevedere una reale eliminazione dei motivi di ostilità, violenze e iniquità. I giorni che viviamo nelle loro atrocità di distruzioni materiali e di tragedie umane sembrano testimoniare che nell’opinione pubblica fondamentalmente ci sarebbe un’opposizione di fondo alla guerra; se però abbiamo circa centosessantanove teatri di scontri militarizzati, evidentemente c’è chi questi li pensa, li provoca, li pone in essere e lo fa con una protervia e una malvagità che davvero sconvolgono il comune sentire e la stessa convivenza umana. Se taluni conflitti sembrano incancreniti, la mia paura è che ci stiamo rassegnando all’esistenza della violenza. So che è sconvolgente ammetterlo, ma è difficile smentire l’assuefazione ormai palese nei confronti della devastazione del territorio e dei diritti umani rispetto a cui il movimento non violento sta esprimendo davvero assai poco di fronte alla follia umana che si manifesta attraverso l’aggressività, la prepotenza e la negazione della democrazia, della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale che sono le idee e le forme esistenziali rappresentanti il meglio che l’umanità è riuscita ad esprimere nei secoli. La confusione tra le opposte fazioni che si fronteggiano nella definizione delle responsabilità sui conflitti armati oggi esistenti e in particolare su quelli cui si è più direttamente interessati è davvero molto grande soprattutto perché guidata in molti casi da ideologismi preconcetti o da un’enorme carenza di reale confronto aperto nel sistema dell’informazione. Per convenienze di carattere economico abbiamo e continuiamo ad accettare ogni forma di egocentrismo, ma anche l’imperialismo di tanti Paesi definiti democratici e, peggio ancora, le dittature e l’espansionismo manifesto di autocrati con i quali abbiamo preteso di fare solo affari nascondendo le loro politiche antidemocratiche e la repressione violenta degli oppositori come Alexander Litvinenko o Alexei Navalny o l’annullamento della libertà espressiva in esponenti del mondo dell’informazione come Julian Assange . C’è ora perfino chi aspira in determinate situazioni ad una pace ad ogni costo calpestando i diritti fondamentali di intere popolazioni offese nella libertà e nella dignità pur di difendere il tornaconto personale o gli interessi nazionali. Questo sarebbe solo un armistizio, mentre noi tutti abbiamo bisogno di un’armonia di rapporti tra i popoli come bene collettivo e mondiale difficile da costruire, ma necessario e dunque da perseguire a tutti i costi. La pace non può coniugarsi con le giustificazioni propagandistiche di chi scatena le guerre per motivi di dominio e di potere né con le ragioni di chi si finge pacifista ed attrezza tavoli diplomatici ingannevoli e finti, ma deve al contrario soddisfare le ragioni di chi subisce ingiustamente la violenza o il sopruso e soprattutto costruire lo stato di diritto, la giustizia sociale, l’equità nei rapporti, una vera democrazia partecipata, rifondare i valori della libertà, della condivisione dei beni, dell’uguaglianza senza la cui realizzazione piena potremo ridurre qualche follia tetra di odio, di potere, d’imperialismo, ma non elimineremo le condizioni che possono scatenare nuove guerre che torneranno a sconvolgere la nostra vita generando rabbia, indignazione, frustrazione nelle persone più sensibili e perfino rassegnazione e indifferenza in quanti hanno come orizzonte unicamente il proprio quieto vivere. Ho scritto più volte che, insieme alla malattia, la guerra è il male peggiore per l’umanità perché toglie la serenità psicofisica generando paura, ansia, angoscia, distrugge ogni opera o attività costruite in tanti anni con fatica, crea inflazione e disoccupazione determinando crisi economica e disoccupazione, genera emergenze allarmanti per scarsezza di materie prime e prodotti agroalimentari, distrugge, come abbiamo visto in tante circostanze soprattutto in Medio Oriente, cultura, storia, tradizioni e perfino lingue pretendendo l’omologazione ai vincitori, riporta gli esseri umani a comportamenti dettati dall’istintualità facendo prevalere la malvagità, la perversione e la ferocia. La spietatezza disumana di chi, mettendo al primo posto la ricerca assurda del potere, dell’egemonia e della dominazione sugli altri, usa le armi senza più alcuna considerazione del valore della vita delle persone va davvero cancellata dal consesso umano. Chi subisce le conseguenze di una tale insensatezza sono sempre e solo i poveri e gli indifesi verso i quali dovrebbe dirigersi l’attenzione di quanti hanno davvero voglia di lottare contro il pensiero unico e dominante del neoliberismo e delle plutocrazie pseudo-comuniste che propagandano la competizione, il profitto, il nazionalismo, l’imperialismo e la definizione delle zone d’influenza che rischiano di generare continue catastrofi. La guerra, sia chiaro, non può mai avere alcuna forma di giustificazione e in ogni caso non si cancella dalla storia né con manifestazioni occasionali o sporadiche né tantomeno sventolando bandiere. Ciò che continua ad accadere nel mondo con la devastazione della dignità di popolazioni inermi non è più tollerabile. Occorre riappropriarsi come popolo delle decisioni perché chi gestisce il potere a qualsiasi livello sta chiaramente dimostrando di non avere nel suo orizzonte l’equità e il bene comune. Chiedere un cessate il fuoco generalizzato per tutte le guerre in atto è sicuramente il primo passo da fare, ma, attraverso i pochi strumenti e le organizzazioni deliberative affidate alla sovranità popolare di cui ancora disponiamo, abbiamo la necessità impellente di rivedere e rafforzare i criteri organizzativi democratici dell’ONU per dirimere in maniera pacifica i conflitti. È il primo obiettivo per arrivare ad una distensione nei rapporti internazionali eliminando le logiche dei blocchi territoriali contrapposti e riportando a un’etica della responsabilità autocrati che rappresentano un vero pericolo per la convivenza. Per questo abbiamo bisogno assoluto di organizzazioni internazionali decenti in grado d’interporsi ai tentativi d’invasioni e sottomissioni di popoli come al tentativo di negazione dei diritti umani. Sono le cosiddette operazioni di polizia internazionale il cui scopo dev’essere quello di proteggere le vittime di ogni forma di sopraffazione neutralizzando la violenza degli aggressori. L’obiettivo ulteriore è quello di cancellare dalla storia il concetto di militarizzazione degli Stati o delle loro alleanze non solo sul piano degli armamenti ma anche su quello del pensiero, del linguaggio della politica e delle organizzazioni istituzionali iniziando con l’annullare le tante parate militari che davvero sono fuori luogo in Stati come il nostro il quale nella sua Costituzione all’art. 11 ha dichiarato che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Dovrebbe essere il percorso di ogni movimento orientato al pacifismo che voglia muoversi verso le finalità della smilitarizzazione multilaterale e della difesa popolare non violenta perseguendo in maniera concreta la loro realizzazione a livello sempre più allargato. Per questo c’è bisogno di un lavoro di elaborazione di idee e proposte che ancora non si fanno strada pienamente come di persone impegnate che le facciano filtrare nelle istituzioni attualmente appiattite sullo status quo ante (situazione precedente o attuale). Costruire una cultura della pace significa adottare le logiche del diritto alla resistenza attraverso le forme della non violenza attiva fondate sulla disobbedienza civile, l’obiezione di coscienza all’uso delle armi e le pratiche della difesa popolare non violenta che si sono fatte strada già con Gandhi e Martin Luther King, ma che oggi sono pressoché sconosciute grazie all’enorme deficit d’informazione. Solo in tal modo costruiremo una pace duratura che, come ho scritto nel titolo di queste riflessioni, non sarà finalmente solo un concetto ma una condizione di vita.

Commenti

  1. Ho avuto il piacere di leggere e rileggere questo bell'articolo del Prof. Berardo e sono d'accordo, perchè l'ho sempre pensato, "la pace deve essere una condizione di vita".
    Sono convinto che il concetto alberga in tutte le persone: in quelle colte perchè è l'affermazione dello sviluppo intellettuale, e in quelle meno colte, semplicemente perchè mette al riparo dalla "paura".
    Temo però che ci sia un elemento "scappato" al controllo intellettuale (e non voglio dire sfuggito). Troppe bombe atomiche rendono oggi impossibile qualsiasi speranza di pace.
    Mi piacerebbe sapere se qualcuno possa affermare che come raggiungere un accordo di distruzione delle armi e soprattutto delle bombe atomiche.
    Io temo che, ed in fondo "cinicamente" ma dolorosamente lo affermo, al punto in cui siamo ci toccherà solo osservare (per chi resterà) l'uso di una atomica per sperare di distruggere, sotto controllo, tutte le altre e rifondare quindi un nuovo ordine internazionale mettendo al bando per almeno altri 100 anni le armi atomiche che abbiamo fatto proliferare solo per ignavia.
    Carmine Lucarelli

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