LA DIGITALIZZAZIONE DELLA SCUOLA E L’EDUCAZIONE DEI SENTIMENTI
…i sentimenti si imparano.
U. Galimberti
Gli insegnanti
dovrebbero aprire il cuore agli studenti che accudiscono perché non si
apre mente se prima non si è aperto il
cuore.
Vittorio Stano
…solo il sapere ha
potenza sul dolore.
Eschilo
Le prove INVALSI 2021 sono state le prime prove standardizzate rivolte a tutti gli studenti dopo lo scoppio della pandemia. Esse rappresentano la prima misurazione su larga scala degli effetti sugli apprendimenti di base conseguiti (Italiano, Matematica e Inglese), dopo lunghi periodi di sospensione delle lezioni in presenza a causa dell’elevato numero dei contagi.
Le rilevazioni effettuate hanno fatto emergere che a causa della pandemia c’è un ritardo dell’apprendimento. Non tanto per quanto riguarda le elementari ma soprattutto per gli studenti di terza media e della maturità. Due 14enni su 5 sono fermi alle competenze da quinta elementare. Uno studente su 3 tra quelli che hanno affrontato la maturità sembra essere fermo al livello della terza media.
Le considerazioni fatte sui dati dalla ONG Save the Children Italia rilevano che gli effetti della pandemia sono stati pesanti sugli studenti italiani, dopo un anno e mezzo di DAD. Questi fanno registrare una grave perdita di apprendimento con una “dispersione implicita” che sale di 2,5 punti nella media nazionale, con importanti disparità territoriali e una drammatica ricaduta nel Mezzogiorno. La percentuale di “dispersione scolastica”, ovvero di quanti alla fine del percorso scolastico non raggiungono sufficienze sia in Italiano che in Matematica e Inglese è aumentata dal 7 al9,5% su base nazionale. Altissimo il divario territoriale: nel Nord è in “dispersione implicita” il 2,6% dei diplomandi, al Centro l’8,8% e al Sud il 14,8%.
I problemi strutturali che affliggevano la scuola italiana prima della pandemia erano noti a tutti. La pandemia li ha resi drammatici. Il “governo dei migliori” ha affidato al ministro Bianchi il gravoso compito di porvi rimedio. Il neo ministro ha lanciato subito il programma di dotare di un computer ogni studente, lasciando credere che questo potesse bastare. L’educazione è una cosa assai diversa e molto più seria dell’alfabetizzazione informatica. La scuola e il futuro della società sono troppo importanti per essere affidati ai fanatici delle neotecnologie e ai fabbricanti di computer e software. I ministri che si avvicendano alla Pubblica Istruzione, i dirigenti scolastici e i docenti che vogliono essere “al passo coi tempi” e che si danno da fare per riempire di cavi le scuole, dovrebbero riflettere e rispondere a domande ineludibili:
1. Che cosa si perde quando si adotta una nuova tecnologia?
2. Chi viene emarginato?
3. Quali preziosi aspetti della realtà rischiano di venire calpestati?
4. Che differenza c’è tra l’avere accesso all’informazione e possedere il buon senso e la saggezza necessari per interpretarla?
5. Mancando loro senso critico, a cui l’informatizzazione non prepara, i ragazzi non rischiano di confondere la forma con il contenuto, la sensazione con la sensibilità, la massa dei dati disponibili con i pensieri di qualità?
6. Un computer non può sostituire un buon insegnante. Cinquanta minuti di lezione non possono venire liofilizzati in 15 minuti multimediali. Quindi, quali problemi vengono risolti introducendo internet in ogni scuola?
7. E quali problemi possono crearsi dedicando sempre più il nostro tempo a strumenti elettronici?
Questo si chiede Clifford Stoll, pioniere di Internet, che dal 1975 ha aiutato la rete a diventare un fenomeno planetario. Dopo 30 anni di dedizione al progetto, Stoll è diventato uno dei commentatori più critici. Bill Gates lo chiama “l’avvocato del diavolo”.
Compito della scuola è fornire metodi di ricerca e capacità di giudizio, a partire dai quali i dati e le risposte sono facilmente ottenibili. Oggi, osserva Stoll, grazie all’elettronica digitale, gli studenti sfornano risposte senza elaborare concetti. La soluzione di problemi diventa la pressione di tasti. Le calcolatrici sfornano risposte senza richiedere il minimo pensiero. Di fronte a un problema matematico gli studenti scelgono l’elettronica piuttosto che l’esperienza. Da strumento adottato per rafforzare la comprensione della matematica è diventato la stampella che causa l’analfabetismo numerico. Questo spiega perché gli studenti svezzati dalla calcolatrice non sappiano fare a mente né una moltiplicazione né una divisione. Pigiano sui tasti, guardano i risultati e accettano ciò che la macchina dice loro. Una volta i ragazzi imparavano i fondamenti dell’aritmetica a partire dalla prima elementare. Le macchine digitali sono diventate oramai protesi tecnologiche, ma siamo meno autosufficienti. Lo stesso vale per la scrittura a mano. Calligrafia e grammatica non vengono considerate degne di insegnamento, vengono messe da parte a favore del word processing. Risultato: pochissimi studenti universitari sanno scrivere in modo chiaro, con periodi che stiano in piedi e quindi in grado di rendere la consequenzialità dell’argomentazione, posto che ci sia.
I giovani di oggi hanno imparato a ragionare dal computer con il codice binario 0/1 , quindi sanno dire solo sì/no. Invitati ad esprimere un loro giudizio su questioni importanti, si limitano a dichiararsi favorevoli o contrari senza zone intermedie, senza immaginare risposte più complesse, vie più intrecciate di quelle suggerite dalle autostrade della rete. Queste fanno vedere agli utenti solo le risposte programmate, da altri, a monte. Una scuola inondata di computer, difficilmente li allenerà ad altro. Questo dà l’illusione della libertà, crea, nei fatti, individui singolarmente massificati perché a tutti è stato fornito lo stesso mondo da consumare, senza favorire la formazione nell’individuo di un giudizio personale. La scuola informatizzata sembra non adatta a fornire gli strumenti per formarsene uno.
Non sono prevenuto nei confronti della tecnologia, il computer lo utilizzo dal lontano 1982 e ho insegnato per 41 anni nella scuola pubblica in Germania, vorrei solo far riflettere chi nutre quell’entusiasmo senza riserve per l’informatizzazione delle scuole.
Per pensare e ragionare, ma anche solo per parlare, serve molto di più che saper usare il codice binario. Quindi niente censura della rete, che stabilisce contatti e relazioni, ma avvertire che la rete può allontanarci dalle nostre emozioni, sostituendo il mondo reale con quello virtuale. Spesso anche a nostra insaputa.
ISTRUZIONE E EDUCAZIONE
La scuola italiana istruisce, ma non educa. L’istruzione è una trasmissione di contenuti culturali e scientifici da chi li possiede (gli insegnanti) a chi non li possiede (gli studenti). L’educazione prevede che si individui la specificità dell’intelligenza dei singoli studenti, e ci si prenda cura della loro condizione emotiva. Non si dà apprendimento senza gratificazione emotiva e l’incuria dell’emotività è il rischio che oggi corre ogni studente andando a scuola. Gli insegnanti nei loro sbiaditi colloqui con i genitori, ricorrono alla “buona volontà” degli studenti come a una formula magica. La volontà non esiste al di fuori dell’interesse e l’interesse non esiste separato da un legame emotivo. Se tra insegnante e studente c’è un rapporto di reciproca diffidenza o incomprensione, non si evita la demotivazione che spegne in giovani vite la propria autostima, il rispetto di sé, fino alla crisi della propria identità. Il passo successivo è l’abbandono scolastico. Nel 2020 543mila giovani hanno abbandonato la scuola dopo la licenza media: 13,1% di dispersione scolastica, 3° posto in Europa; 8 volte superiore ai cervelli in fuga (dati videotext 17.7.2021).
L’identità non la si possiede solo perché si è al mondo. L’identità si costruisce a partire dal riconoscimento che riceviamo dagli altri. L’identità è un dono sociale. Se il riconoscimento manca, e agli studenti che vanno male a scuola manca, l’identità, che è un bisogno assoluto per tutti, si costruisce altrove. Se la scuola è esclusa, sarà la strada a concederli. Sesso e droga sono certamente forme esasperate del bisogno di riconoscimento quando altre forme più adeguate non sono state offerte. Quindi, non si può istruire se prima non si è provveduto alla costruzione dell’identità, se non si sono fatti i conti con i problemi connessi alla frustrazione e alla rimozione che sono dinamiche abituali in ciascuno di noi.
I SENTIMENTI SI IMPARANO
A differenza degli animali, gli esseri umani non hanno istinti, ma solo pulsioni senza determinazione. A una pulsione aggressiva possiamo assegnare una mèta che sfocia nella violenza, così come possiamo assegnargliene una che porta a una decisa presa di posizione che la esclude; a una pulsione erotica possiamo assegnare una mèta sessuale, ma, sublimandola, possiamo immaginare e scrivere una bella poesia piena di sentimento o realizzare un’opera d’arte. La differenza sta nell’educazione delle pulsioni. La mancata educazione delle pulsioni relega i ragazzi, fin dalla tenera età, a esprimersi unicamente con i gesti, invece che con le parole e i ragionamenti. Un esempio sono i “bulli” che compiono azioni riprovevoli senza la minima consapevolezza della gravità delle loro azioni. Nel bullo il “sentire”, il “provare” è deficitario perché non ha ricevuto attenzioni educative capaci di far avvertire quella risonanza emotiva che di solito accompagna i nostri comportamenti.
La risonanza emotiva la provavamo quando la mamma ci raccontava le fiabe, anche truci, perché i bambini non vanno esonerati dalla conoscenza del male e neppure del lutto, che capiranno nei limiti della loro età, ma non ne saranno sorpresi, senza sapere come reagire quando la vita li farà confrontare con avvenimenti del genere. Ascoltando quelle fiabe imparavamo, più per via emotiva che mentale, la differenza tra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto , il buono e il cattivo, acquisendo in questo modo un regolatore emotivo che ci consentiva di “sentire”, di “provare” quando le nostre azioni erano buone o cattive, giuste o ingiuste. Senza un’educazione emotiva, oltre a non avere consapevolezza del sentimento benevolo o meno delle nostre azioni, si rimane a livello pulsionale, con la pericolosità sociale susseguente che giornali, televisione e social media ci illustrano quotidianamente. I “bulli” sono quei ragazzi il cui sviluppo psichico si è arrestato a livello pulsionale. La scuola al posto di sospenderli dalle lezioni, dovrebbe creare percorsi che li portino alla loro emancipazione e passare dal livello pulsionale al livello emotivo. Dovrebbero essere più accuditi, meglio curati affinchè possano acquisire la consapevolezza delle loro azioni, per “sentirle” palpitare dentro di loro come buone o cattive, gravi o lievi. Le pulsioni sono naturali e le emozioni lo sono in parte, l’altra parte è orientata dall’educazione che si riceve in famiglia.
“…I sentimenti non li abbiamo per natura, ma per cultura. I sentimenti si imparano. Ogni comunità, ogni società, ogni cultura ha creato schemi d’ordine capaci di orientare i propri membri nei comportamenti. Gli antichi Greci avevano rappresentato nell’Olimpo a modo di modello e di orientamento, tutti i sentimenti, le passioni e le virtù umane. Oggi , per apprendere i sentimenti, non possiamo più ricorrere ai miti, però abbiamo quel grandioso repertorio costituito dalla letteratura che ci insegna cos’è l’amore in tutte le sue declinazioni, che cos’è il dolore in tutte le sue manifestazioni, che cosa sono la gioia e la tristezza, l’entusiasmo, la noia, la tragedia, la speranza, l’illusione, la malinconia, l’esaltazione” (cit. Umberto Galimberti, “Il libro delle emozioni”).
I libri, le pagine letterarie educano creando mappe mentali che, in presenza del dolore, ad esempio, ci indicano le modalità per reggerlo, se non proprio le vie d’uscita. “…solo il sapere ha potenza sul dolore” diceva il grande Eschilo.
Tutte le scuole, dagli istituti tecnici ai licei classici e scientifici, sono scuole di formazione. Fino a 18 anni devono formare l’uomo. Studenti formati acquisiranno le competenze, in seguito, all’università. Non è un uomo chi è competente ma non ha alle spalle la formazione che gli consentirà di svolgere con giudizio la professione che sceglierà in seguito. Quindi, più tempo a scuola e niente scuola-lavoro. Scuola a tempo pieno, meno computer e più libri di arte, storia, scienze, matematica, filosofia, letteratura, in tutti gli ordini scolastici.
La scuola italiana è sempre stata caratterizzata dall’indirizzo “umanistico”. Questo nell’età della tecnica va mantenuto e incrementato e non sostituito con un indirizzo tecnico, perché solo l’indirizzo umanistico può portare lo studente alla “maturità” e la maturità è il fine ultimo della scuola.
PER UNA BUONA SCUOLA
La scuola italiana istruisce ma non educa. Le ragioni sono diverse ma semplici da capire e… attuare. Finchè le classi saranno composte da 25-30 alunni, l’educazione sarà impossibile. In tali condizioni, l’insegnante non ha in alcun modo la possibilità d’individuare la qualità dell’intelligenza di ciascuno, né tantomeno seguirlo nel suo percorso emotivo e sentimentale, così importante per l’apprendimento e, soprattutto, per la sua formazione.
La pandemia, col distanziamento sociale, ha creato le condizioni per costruire scuole con classi di 12-15 alunni. Questo darebbe ai docenti la possibilità di seguirli tutti, in ordine alla qualità dell’intelligenza, del livello di maturazione emotivo-sentimentale, che sono le precondizioni affinchè possa attuarsi un vero e proprio processo educativo. Dirigenti scolastici e insegnanti dovrebbero evitare l’eccesso di promozioni. Queste azzerano la meritocrazia e demotivano gli studenti che studiano rispetto a quelli che non lo fanno. Dalle scuole secondarie gli studenti devono vedersela con i loro insegnanti, senza la protezione dei genitori che serve solo a prolungare la loro infanzia e a ritardare la loro crescita, l’emancipazione e l’assunzione di responsabilità. L’ora di ricevimento dei genitori potrebbe essere sostituita con un’ora di ricevimento degli studenti. Questo porterebbe al confronto diretto con i loro insegnanti instaurando un proficuo dialogo. La formazione degli insegnanti non può prescindere dall’acquisire le necessarie competenze di psicologia dell’età evolutiva, di neurobiologia, di metodologie e nuove tecnologie applicate alla didattica. Per imparare a comunicare meglio e ad attivare l’attenzione degli studenti, la formazione degli insegnanti dovrebbe prevedere anche la frequentazione di un corso di teatro perché, piaccia o non piaccia, la cattedra è un palcoscenico. Per chi aspira all’insegnamento è necessario, soprattutto, sottoporsi a un test di personalità che verifichi se l’aspirante possiede, oltre alla conoscenza della sua materia, anche un grado sufficiente di empatia, che non si apprende perché è una dote naturale. Chi non la possiede non può e non deve fare l’insegnante. Tutti i cittadini che cercano un lavoro sostengono i colloqui per verificare se il candidato è idoneo alla mansione richiesta. Perché esonerare gli insegnanti? Gli insegnanti sono senz’altro malpagati , ma lo sono per la vita perché sono di ruolo.
Gli insegnanti dovrebbero aprire il loro cuore agli studenti che accudiscono perché non si apre mente se prima non si è aperto il cuore. VITTORIO STANO
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