LARINO E LA SUA STORIA TRA PRIMATI, ANOMALIE E RETICENZE

di Luigi Carnevale Caprice
Un amico proveniente da fuori regione e che vive da qualche tempo a Larino mi ha confidato che tra le prime cose sentite appena giunto nella nostra città vi è stata la notizia che Larino “è prima di Roma”. Ora questa proposizione, assai ambigua e sciatta nella formulazione (significa che Larino preesiste alla “romanizzazione” o addirittura che precede la fondazione dell’Urbe?), costituisce uno dei tanti primati vantati in loco . Sfido chi, tra i miei concittadini, non abbia mai sentito pronunciare, con tronfio orgoglio paesano, l’espressione: “Larinum urbs princeps Frentanorum” che, tra l’altro, fa bella mostra di sé in un’iscrizione (falsa) collocata nell’Ara frentana. D’altro canto vi sono pure, accanto alle epigrafi fasulle, i primati autentici da decantare. E così abbiamo il primo convento cappuccino della provincia monastica, il primo seminario della cristianità, il primo comune molisano dotato d’illuminazione pubblica elettrica etc., tutte manifestazioni di uno dei vezzi cittadini più praticati che spesso suggeriscono l’immagine di un nobile decaduto e inetto che passa in rassegna i ritratti dei suoi antenati gloriandosi di meriti altrui. Un tratto caratteristico di un diffuso costume locale, qualche volta anche fastidioso, bollato dall’esterno in passato come “boria municipale” o “albagia della storia”. Che una certa dose di ingenua esaltazione delle glorie passate connoti ambienti provinciali, reputati negletti, aree geografiche marginalizzate spesso ben più estese dei confini di una cittadina in declino, è fenomeno alquanto ricorrente e ha conosciuto, di recente, un clamoroso revival di attenzione dalla pubblicistica. Personalmente, pur legatissimo alla mia terra, non sono molto appassionato a questi record della tempistica storica e preferisco piuttosto indagare, per dirla con Fernand Braudel, “ le strutture del quotidiano” del nostro passato e le dinamiche profonde che sostanziano, eventualmente, l’evidenza o l’emergenza di questi primati. Non biasimo peraltro chi, senza secondi fini, si consacra al culto delle memorie patrie, ancorché venato da un’innocente tendenza alla “laudatio temporis acti”. Ma a Larino non esistono solo i primati. Il compiacimento e l’autocompiacimento cittadino si estendono a quelle che si presentano come le” anomalie” del luogo, individuate come segni di distinzione, peculiarità tutte indigene, in buona sostanza anch’esse delle “medaglie al valore” da esibire. Si parte da quelle storico artistiche: asimmetria nella pianta e nei pilastri della cattedrale, raggi dispari dei rosoni delle chiese medievali (ma nel merito dovrebbero pronunciarsi gli esperti per chiarire se di vere anomalie si tratta), fino ad arrivare alla singolarità di alcune vicende storico politiche otto- novecentesche. Anche qui, però, ci si limita a registrare i fatti, sottolineandone la presunta irritualità, magari con qualche ironico ammiccamento d’intesa, ma senza uno straccio di sforzo interpretativo che superi il dato aneddotico. E quindi di nuovo una lunga sequela che vede, per esempio, un rettore del seminario che arringa gli alunni a favore di idee rivoluzionarie nel 1848; i preti che cantano il Te Deum per la costituzione sotto i Borboni e si recano a omaggiare lo scomunicato Vittorio Emanuele II, il vescovo che aderisce al plebiscito di annessione allo stato unitario sabaudo e benedice la rete ferroviaria promossa dai governi della destra storica, il figlio di un barone che si fa arrestare per la sua condotta eversiva, gli operai che inneggiano a Umberto I dopo il regicidio di Monza, e via di seguito. La più enfatizzata (e celebrata) di tali anomalie è, però, quella relativa ai risultati delle elezioni politiche del 1924 che ha generato, da quasi un secolo a questa parte, il mito di una Larino antifascista senza se e senza ma. Si tratta di un mito, ahimè, fin troppo enfatizzato, clamorosamente smentito in seguito da compromissioni e cambi di casacca, e naufragato negli esiti del voto alla Costituente. Un cavallo di battaglia utilizzato quale efficace strumento propagandistico da una certa sinistra “colta” nostrana (non tutta per la verità) che proprio riallacciandosi a quel mito e ai suoi esponenti, rivendicava titoli di legittimazione per ragioni di parentela o di clientela. Com’è noto le votazioni per la XXVII legislatura, si svolsero in Italia in un clima di intimidazioni e condizionate dalla legge elettorale Acerbo, largamente maggioritaria, tesa a favorire l’affermazione del listone promosso dal fascismo ormai saldamente insediato al potere. A Larino, le cose andarono diversamente e il lusinghiero risultato dell’opposizione (che aveva tra i candidati locali un intellettuale del calibro di Giulio Colesanti), consentì l’elezione di una personalità notevole, quale Errico Presutti. La circostanza si palesò come uno smacco per il regime in fieri che aveva peraltro puntato su un candidato locale assai debole e impopolare, un ex nazionalista, per giunta poco gradito alle stesse gerarchie del partito. Tuttavia, la ragione di questo successo aveva anche un altro nome oltre che il celebrato antifascismo larinese, il nome di un “convitato di pietra” che spesso è stato pudicamente sottaciuto e “pour cause”. Questo convitato di pietra si chiama massoneria. La lettura di una relazione del sottoprefetto di Larino del 24 maggio 1923, che rivela come: “la vita pubblica di questo capoluogo si assomma nelle mani di poche persone affiliate alla massoneria …che hanno coltura, pratica amministrativa, ascendente professionale”, è assai istruttiva e andrebbe opportunamente ripresa in considerazione. E d’altro canto, come da tempo la storiografia ha ampiamente documentato, l’intero Mezzogiorno si mostrò agli inizi piuttosto refrattario al radicamento del fascismo non per diffuso spirito democratico ma perché saldamente dominato dalle consorterie del vecchio notabilato. E nel Molise in particolare lo stesso squadrismo non esercitò un ruolo paragonabile a quello svolto nella vicina Puglia proprio per la mancata presenza di una agguerrita opposizione di massa e così la provincia si scoprirà fascista quando quel notabilato si allineerà al cosiddetto governo nazionale ormai stabilizzato. E cosi nel ventennio la stessa Larino potrà persino atteggiarsi a sede privilegiata del regime mussoliniano e alimentare un altro mito, simmetrico ed opposto a quello antifascista (anche se ancora più fragile), avendo dato i natali ad un alto gerarca, vicepresidente del tribunale speciale (pure lui, guarda caso, un ex massone e figlio di massone) e ospitando il comando di una legione della milizia. Ma se la storiografia accademica ha fatto proprie da tempo certe acquisizioni studiando le dinamiche trasformistiche e compromissorie delle classi dirigenti meridionali, lo stesso non si può dire per la cultura politica locale, attardata su vecchi stereotipi generalizzanti ed encomiastici. Tale cultura manifesta uno dei difetti maggiori delle narrazioni dominanti della nostra storia cittadina (e non solo cittadina) recente: l’unilateralismo. Alimentate e diffuse dalla testimonianza orale di autorevoli protagonisti della politica del secondo Novecento (che si sono diffusi, nel dialogo con gli storici di professione, anche su fatti anteriori alla loro nascita senza il benché minimo supporto documentario), certe ricostruzioni, a dir poco assai elusive, sono state tanto acriticamente accreditate quanto pedissequamente ripetute. Ora è evidente che l’obiettività si palesi come un’ingenua chimera tanto più nella riflessione retrospettiva di uomini schierati, con un lungo percorso personale alle spalle e con una ben definita caratterizzazione ideologico partitica nel loro pedigree. Però quello che si dovrebbe esigere da tutti è almeno l’onestà intellettuale che implica completezza dell’informazione, che non può e non deve celare fatti, arrestarsi sulla soglia di legami affettivi, coltivare devozioni familiari, offrire tributi postumi ad antiche riconoscenze clientelari. Ma quanti, e non solo a Larino, sono a conoscenza di tali legami, relazioni e condizionamenti del passato? Eppure la strada obbligata da percorrere è solo quella di un pacato e rigoroso esercizio di scandaglio che va praticato erga omnes al fine di conseguire un’autentica emancipazione da incrostazioni tendenziose ed esaltazioni apologetiche. Solo così si può contenere il proliferare, in avanzato XXI secolo, di inconsistenti, ulteriori “leggende paesane” che valgono quanto i primati e le anomalie. Per di più, se si vuole combattere efficacemente l’insidia dei revisionismi e nostalgismi più ingiustificati, occorre affrontare con coraggio e senza imbarazzi la storia del passato lavorando per il ridimensionamento di tanti miti funzionali e il riconoscimento di tanti meriti effettivi (che pure vi furono). Le ragioni della libertà, della giustizia, del progresso sociale e civile non hanno nulla da temere dalla verità. Un scavo è già in corso da parte di una nuova generazione di studiosi, per conseguire non un impossibile e nemmeno auspicabile “memoria condivisa”, come vuole qualcuno, ma una crescita effettiva non solo della conoscenza della nostra storia ma della stessa coscienza civile e democratica.

Commenti

  1. Quanto pubblicato dal Prof. Luigi Carnevale Caprice mi ha ricordato i testi scritti da Napoleone Stelluti sulla storia di Larino e in particolare:
    Napoleone Stelluti, Epigrafi di Larino e della bassa Frentana
    1 Repertorio, Editrice Lampo, Campobasso, 1997
    a pag. 317, in merito all’epigrafe, presente nell’Ara frentana, “Larinum urbs princeps Frentanorum” sottolinea:
    “realizzata da anonimo forse negli anni ’40, con lettere capitali quasi quadrate, in cui si nota una certa padronanza di stile, ma che evidenzia in modo inequivocabile le sue caratteristiche di falsificazione, nata cioè per magnificare la storia della Città ed aumentare la consistenza della collocazione epigrafica.
    È inoltre significativo che dai cronisti locali venga riconosciuta come tale,... e neanche su chi può averla commissionata e, se sia il caso di lasciarla ancora fra i cimeli di quella raccolta, oppure eliminarla definitivamente”.

    L’Ara Frentana è stata riportata a nuova luce attraverso un intervento di riqualificazione e valorizzazione dal Rotary Club Larino.
    La targa celebrativa, 24 maggio 2019, pone in rilievo:
    “In generale, può dirsi che il materiale raccolto, proveniente sia da monumenti funebri che da edifici pubblici, nonostante la sua frammentarietà (e difficoltà di stabilirne, tranne in rari casi, l'originaria collocazione), é sicuramente utile a delineare il profilo storico artistico dell'antica Larinum. "Urbs Princeps Frentanorum".
    Il Rotary Club Larino ha fortemente voluto il recupero dell'area, cercando di restituirle l'aspetto originario, per far ritrovare alla Comunità frentana, attraverso le vestigia della sua civiltà, la dignità. la fierezza, e l'orgoglio delle proprie radici”.

    Recensioni:
    Larino, il Rotary Club riqualifica l’Ara Frentana
    2 Maggio 2019
    https://molisequattropuntozero.it/2019/05/02/larino-il-rotary-club-riqualifica-lara-frentana/

    Larino, grazie al Rotary Club l’Ara Frentana torna a nuova vita
    25 Maggio 2019
    https://molisequattropuntozero.it/2019/05/25/larino-grazie-al-rotary-club-lara-frentana-torna-a-nuova-vita/

    Larino. Raccolta fondi per l’Ara Frentana
    17 Giugno 2019 pubblicato da Anna Maria Di Pietro
    https://www.ilbenecomune.it/2019/06/17/larino-raccolta-fondi-per-lara-frentana/

    La riqualificazione dell’Ara Frentana poteva essere l’occasione per approfondire la storia del sito archeologico, dei suoi ritrovamenti, attraverso uno studio interdisciplinare con la partecipazione di studiosi, storici, archeologi, e istituzioni, Università, Soprintendenza Archeologia, Belle arti e paesaggio del Molise, Comune di Larino, per fugare dubbi sulla datazione e veridicità dei ritrovamenti presenti o su certe espressioni, Larino “è prima di Roma”, oppure l’iscrizione “Urbs princeps Frentanorum”.

    Nicola D’Ambrosio

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