Crisi pandemica e proteste populiste
di Umberto Berardo
Quando a Roma il 9 ottobre c’è stata la manifestazione contro il green pass, autorizzata a Piazza del Popolo e poi allargata illegalmente in diverse zone della capitale fino all’aggressione fascista alla sede nazionale della CGIL, credo si sia capito subito da parte di tutte le persone di sostanziale onestà intellettuale che nelle proteste in atto c’erano miscele esplosive di populismo poco razionale che stavano utilizzando perplessità, paure e pseudo teorie scientifiche per porre in essere obiettivi antidemocratici da raggiungere con atti di violenza che dovevano essere condannati unanimemente e dai quali non abbiamo visto alcuna forma di distinguo da parte dei tanti gruppi della protesta romana che probabilmente nulla avevano da spartire con le frange neofasciste verso i cui proclami e dichiarazioni nei movimenti successivi verso la sede del maggior sindacato italiano non abbiamo ascoltato tuttavia alcuna manifestazione di dissenso e disapprovazione.
A parte la richiesta di permesso all’evento romano avanzata da persone non certo di specchiata fede democratica, le affermazioni tenute da esponenti dichiaratamente neofascisti avrebbero dovuto far prendere subito distanze abissali da quanti non ne condividevano tesi e finalità dichiarate.
Questa mancanza di chiarezza e di atteggiamenti non sempre condivisibili da parte del cosiddetto movimento dei “no green pass” o “no vax”, come si definiscono, sta generando una serie di proteste ormai in tutto il paese con una radicalità molto spinta che mira, almeno così sembra di capire, a difendere a loro dire il diritto al lavoro e le libertà personali previste dalla Costituzione Italiana.
Ultimamente, come è accaduto tra i lavoratori portuali a Trieste, si è cercato di evitare che ci fossero nelle manifestazioni infiltrati “Black Bloch” o “gilè gialli” provenienti addirittura da altri Paesi europei.
Anzitutto è opportuno precisare che forse, se vogliamo, come questi movimenti fanno, parlare di libertà, solidarietà e difesa dei diritti, dobbiamo comprendere che la libertà, i diritti e la solidarietà, principi fondamentali previsti nella Costituzione Italiana, non riguardano solo il singolo cittadino nella sua individualità e non possono essere dunque rivendicati neppure per una sola minoranza, ma vanno declinati nella relazionalità con l’intera collettività.
La libertà allora non può essere “libero arbitrio” e non può negare quella altrui, così come il proprio diritto ad una attività lavorativa non può consentire che un lavoro non tutelato metta in discussione il diritto alla salute dei propri compagni di lavoro.
La pandemia solo in Italia ha fatto più di 130.000 morti mentre la profilassi ha protetto da tale rischio nel 98% dei casi e i decessi per il vaccino sono stati nell’ordine dello 0,19 per ogni milione di dosi.
La seconda questione che si pone è relativa al fatto che in Italia abbiamo ben dieci vaccini obbligatori su cui non si è fatto mai alcuna obiezione, mentre oggi si scende in piazza contro uno che non è obbligatorio, ma per la rinuncia talora immotivata al quale si chiede che la collettività si assuma l’onere del tampone alternativo per l’accesso ai luoghi di lavoro ed a quelli delle relazioni sociali.
Invece che mettere in piedi azioni di protesta per chiedere l’annullamento del “green pass”, sarebbe stata auspicabile piuttosto una rivendicazione del diritto al vaccino per tutti i popoli con la liberalizzazione delle licenze per la sua produzione come anche per una soluzione dei grandi problemi di natura sociale che abbiamo e di cui pochi si occupano.
I dati sull’impennata di contagi da Covid che giungono da alcuni Paesi europei come l’Austria e l’Inghilterra in cui stiamo tornando al lockdown devono farci riflettere su una ricerca sempre più avanzata di sistemi di protezione della popolazione per evitare di tornare ai mesi lunghissimi e terribili di confinamento e di chiusura di ogni attività che farebbe tornare l’Italia nel tunnel buio nel quale abbiamo vissuto con grandi sacrifici e non pochi problemi economici, psicologici e sanitari.
Ricordiamo ancora a chi ha sostenuto che nella decisione sul green pass l’Italia era un caso isolato che ora il sistema sembra essere imitato anche altrove e che in Austria l’accesso ai luoghi di lavoro o di ritrovo non sarà più consentito neppure con il tampone negativo, ma solo con il certificato di vaccinazione e guarigione.
Una minoranza esigua di cittadini rispetto alla grande maggioranza che ha deciso di seguire i criteri della ricerca scientifica ed ha accettato di vaccinarsi per il bene comune non può gridare alla dittatura sanitaria né imporre il proprio modo di pensare all’intero Paese; quando poi ad urlare “libertà” nelle piazze sono gruppi di riconosciuta matrice fascista credo che siamo davvero davanti ad un teatrino patetico e pericoloso per la convivenza democratica.
La manifestazione del dissenso va comunque garantita ed è giusto che ci si confronti sulle diverse modalità per far fronte alla pandemia, ma ogni ipotesi di soluzione del problema in questione deve necessariamente avere dei fondamenti scientifici e sociali che diano razionalità alle proposte.
Sicuramente la gestione delle diverse fasi della diffusione del virus può aver avuto incertezze, indecisioni e perfino errori a livello scientifico, sanitario come nella gestione delle attività sociali, ma non è assolutamente accettabile risolvere le questioni relative che abbiamo ancora avanti fuori dagli assunti scientifici condivisi dalla maggioranza delineando posizioni che sembrano talora non avere alcun fondamento razionale.
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