LA NATURA

di Nicola Picchione
Il tuo tema preferito, quasi assillante (ma lo dico in senso positivo) è la Natura e il rapporto con l’uomo che la sfrutta dominato dalla ossessione del danaro sino a ritorcere i danni conseguenti anche contro se stesso, in questo molto simile ai virus che finiscono per uccidere l’ospite che li mantiene in vita determinando così anche la loro stessa fine. Il tuo articolo, però, non è monotematico come potrebbe apparire a una prima lettura: almeno in me ha suscitato varie riflessioni solo apparentemente diverse, come anelli di una stessa catena che è l’umanità come specie particolare e anche pericolosa dove l’individuo non riesce ad amalgamarsi non solo con la Natura ma neanche con la società. Rifletto spesso su questi temi sui quali accennerò, credo con qualche considerazione diversa dalle tue che pure condivido nella sostanza. Forse la diversità sta nella diversa natura: io troppo razionale, tu più sentimentale. Ad esempio credo che un problema enorme non so quanto risolvibile da parte dell’uomo (ci penserà la natura con i suoi rimedi estremi?) sia la crescente popolazione umana. E’ vero che c’è un enorme spreco di cibo ma il problema rimane anzi va crescendo drammaticamente. Se ne parla troppo poco forse perché non se ne vede un realistico rimedio (ho una mia teoria sulle cause ma non te la espongo, uscirei fuori tema). Cresceremo di numero e cresceranno – a buon diritto- le esigenze di coloro che adesso patiscono fame, sete ed altro. Ricordo quanto diceva un vecchio bonefrano tanti anni fa: quando anche i cinesi si puliranno il sedere con la carta dove andremo a prendere tanta carta? Credo che l’uomo abbia due assilli principali: il possesso e la conoscenza. Il possesso deriva da una primitiva esigenza biologica che nel tempo è stata eccessivamente dilatata sino a straripare: sopravvivere e mettere da parte le risorse pensando al futuro. Questo credo che sia accaduto soprattutto nelle zone nelle quali la disponibilità di materie prime era incostante. Dove era facile trovare le risorse necessarie (ed allora erano veramente solo le necessarie) l’uomo era meno incalzato dall’idea di possesso. Il desiderio di possesso non riguarda solo le risorse alimentari ma lo stesso territorio. Proprio come alcune altre specie animali (e questo rimanderebbe ad un’altra discussione che riguarda l’idea di “naturale” che spesso è romantica. Non sempre ciò che è naturale è buono per l’uomo. La natura non ha il concetto di buono e cattivo che è solo umano; gli animali sono del tutto amorali così la natura) ma con una profonda differenza per l’uomo: l’animale limita il proprio territorio al necessario per sopravvivere, l’uomo ne ha fatto anche un segno di potere. L’uomo ama il potere (tu stesso una volta mi hai detto che comandare è più bello che fottere. Ti confesso che non ho mai amato comandare forse per incapacità: il comando mi creerebbe infelicità): il possesso aumenta il potere. Questo desiderio è andato ben oltre il necessario e l’uomo è diventato conquistatore di territori fondando imperi, sottomettendo, uccidendo. L’altro assillo è la conoscenza: nel mito della nostra religione, l’uomo ha rinunciato a una vita serena ma monotona e ha scelto la conoscenza e la conseguente fatica, sfidando la divinità. Conoscenza significa molte cose. Da una parte c’è quella scientifica che significa scoprire e anche inventare, capire, giustificare: capire la vita e la morte, giustificare ciò che non si capisce. E’ nata così l’altra forma di conoscenza che ha preceduto la scienza, la religione: argomento sul quale penso spesso. Mi dirai che non è vera conoscenza. Ti rispondo che non è conoscenza in senso scientifico ma è conoscenza: se Dio non esiste esiste il pensiero di Dio che ha condizionato fortemente la vita dell’uomo, anche di quello che non crede. Concordo con la regista Liliana Cavani: a chi le chiedeva se crede in Dio ha risposto: No ma ci penso. Non credo in Dio (ma ci penso spesso) ma se credessi non sarebbe il dio cristiano, falsamente padre amorevole, o mussulmano, guerriero e padrone assoluto, o l’antico dio ebreo, di parte e ingiusto. Troppe sovrapposizioni inutili, troppe similitudini con l’uomo, i suoi sentimenti, la sua organizzazione verticistica riflettente le antiche corti imperiali; preponderanza dei miti, riti appesantiti, dogmi inutili a molti dei quali non crede neanche chi dice di credere: alla fine ritorno a divinità antiche anche se sotto forma “moderna”. Il mio dio sarebbe del tutto spirituale, senza barba senza mantello meno spione meno giudice supremo e persecutore. Mi rendo conto che non avrebbe successo: la gente vuole un dio simile a se stessa ma con infiniti poteri. Vuole vederlo, sentirlo o almeno credere in chi ha affermato di averlo visto o sentito. E ama vederlo come un umano onnipotente. Dunque: possesso e conoscenza. Non vado oltre, torno alla conoscenza e mi limito a quella che chiamiamo scienza. Essa sempre più è al servizio dell’altra ossessione (il possesso) soprattutto oggi, epoca decadente spiritualmente culturalmente e socialmente che tuttavia non a caso vede il dominio della scienza alla quale chi ha il potere chiede più possesso e più potere. Oggi prevale la scienza applicativa, quella teorica è lasciata a una minoranza e, credo, sempre in vista di applicazioni pratiche. L’uomo sa che la sua scienza malgrado i risultati pratici è basata solo su ipotesi, che non raggiungerà mai la verità ma al più la sfiorerà. La verità le rimarrà preclusa, ci girerà intorno. E’ per questo che non condivido l’opinione di un importante scienziato (Boncinelli) che ha scritto un libro nel quale sostiene che religione e filosofia debbono cedere completamente il posto alla scienza: sono, afferma, come il bozzolo ormai inutile che ha generato la farfalla. Insomma, la scienza è strettamente connessa con il possesso. Evito il discorso sulle multinazionali che ritengo molto complesso, con luci ed ombre. Sto pensando a quelle dei farmaci (ho visto la settimana scorsa un tremendo servizio di Report: siamo in trappola, tutto in servizio del massimo guadagno) e questo mi porterebbe a parlare della pandemia dei vaccini ecc.. Si è creato un modello sociale abbastanza omogeneo anche se rivestito con panni diversi nel mondo detto sviluppato al quale aspira anche il mondo meno sviluppato: una sorta di gorgo simile a quello dei tifoni che tutto sradicano e trasportano e distruggono. L’uomo è entrato in un meccanismo infernale mosso dal desiderio di possesso che travolge tutti. Sì, proprio tutti: i popoli sottosviluppati (ipocritamente: in via di sviluppo) e quelli “sviluppati”. Sostanzialmente non sono molto diversi nell’animo e nei desideri. Il buon selvaggio di Rousseau è un’idea astratta: il “sottosviluppato” ha gli stessi desideri e se produce alla natura meno danno è solo perché i suoi mezzi sono più limitati. Anzi, non ha nemmeno l’idea di inquinamento. Nei nostri piccoli paesi quando eravamo ragazzi i rifiuti erano minimi e tutto veniva riciclato: non era virtù ma solo necessità. Naturalmente verrebbe la voglia di iniziare un discorso sul significato di sviluppo: oggi intendiamo quello tecnologico e la produttività. E’ un concetto che ha imposto l’Occidente e che hanno accettato praticamente tutti. Lo accenno perché vengo a un altro punto: l’organizzazione umana ha sempre avuto bisogno di energia prima ricavata dal legno poi dal carbone dal petrolio ecc.. L’energia è una droga e l’uomo ne richiede sempre più. Rompiamo l’atomo, scaviamo la terra, la prendiamo dal vento senza troppi scrupoli sui metodi. Siamo diventati pigri, abulici abbiamo per tutto i telecomandi, se va via la corrente andiamo in crisi. E’ realistico tornare indietro e rinunciare a una parte dell’energia (e quindi a tanti mezzi che se ne servono)? Pochi risponderebbero affermativamente se dovessero rinunciare a molte comodità ormai ritenute necessarie (quanto è aleatorio il concetto di necessità!). I dotati di buonsenso si limiterebbero a dire che l’uomo troverà nuove fonti di energia rinviando il problema al futuro ma non c’è più tempo. L’uomo non riesce a guardare al futuro, non gli interessa, è preso dal presente. Il futuro è soltanto un sacco virtuale nel quale versare i problemi irrisolti, dove accumulare i nostri rifiuti (e i nostri debiti non solo in danaro). Mi debbo fermare ma concludo con due osservazioni: l’attuale organizzazione sociale ha creato un modello infernale ne quale siamo tutti vittime. Anche chi comanda le multinazionali: sono come quei capocamorristi che hanno creato la Terra dei fuochi nella quale magari vivono anche essi e le proprie famiglie. I capi delle multinazionali vivranno anche in ville lussuose e ne avranno molte ma essi sono assillati dai risultati senza i quali perdono il potere. Hanno gli yought ma immagino la loro vita in stress continuo, una vita con la spada di Damocle dell’insuccesso in palazzi di lusso e tra gente pronta a farti le scarpe. Il meccanismo trasporta tutti, come i gorghi del tifone. C’è un altro aspetto ancora più terribile, conseguente alla globalizzazione: i popoli e i gruppi sociali che hanno conquistato alcuni diritti li vedono ridursi sempre più. Non è per la cattiveria dei padroni o l’inefficienza dei sindacati ecc…E’ per il meccanismo ormai innescato. Se il cinese lavora 12 e più ore al giorno con una paga minima inevitabilmente conquista i mercati e rode l’occupazione degli altri. Perché dobbiamo essere sinceri: tutti- o quasi- tendono a comprare al prezzo più basso. L’esempio non riguarda solo il mercato generale internazionale. Se compriamo i pomodori al prezzo più basso costringiamo il produttore a sottopagare e sfruttare al massimo i raccoglitori altrimenti va in perdita. Bisognerebbe rivedere tutta la catena ma non so sino a che punto il meccanismo verrebbe corretto. E poi bisognerebbe non importare pomodori dalla Cina ecc… ma la Cina ci ricatterebbe in altro modo. Certi meccanismi appaiono infernali ma poi prendono il sopravvento e fermarli diventa un’impresa impossibile. Mentre ti scrivo hanno suonato: ieri pomeriggio ho ordinato ad Amazon le cartucce per la stampante, ora sono già arrivate. Non solo ad un prezzo inferiore ma essendo la stampante vecchia non le avrei trovate a Media World (che è altro grossista). I supermercati stanno distruggendo i piccoli negozi, Amazon sta abbattendo i supermercati ecc.. E’ realisticamente possibile evitare questo cannibalismo o è una tendenza inevitabile? Certi grandi meccanismi una volta avviati richiedono immense energie epr essere fermati: energie di intelligenza, di volontà. Non ho risposte serie se non in teorici desideri sociali. La Terra è diventata veramente casa di tutti ma ognuno si comporta come meglio crede: invece di guardare gli altri con più rispetto, aumenta l’individualismo poiché aumenta la sete di possesso che dà anche prestigio, stima sociale. La Terra in realtà più che una casa e ritenuta una miniera apparentemente inesauribile. Siamo tutti più o meno responsabili (con ruoli e gradi molto diversi) e tutti vittime. Sono problemi enormi e non vedo chi possa essere capace di affrontarli realisticamente. Non mancano coloro che avvertono (e lo fanno da decenni, inascoltati) non mancano quelli che si rendono conto della necessità di cambiare. Il meccanismo tuttavia ha una inerzia spaventosa, andrà avanti. La globalizzazione ha aperto i confini commerciali e lavorativi ma ha moltiplicato i problemi che ci illudiamo di affrontare troppo semplicisticamente, a volte anche troppo sentimentalmente. Guai se l’uomo mettesse da parte il sentimento ma guai anche se non lo facesse governare insieme alla ragione: ne deriverebbero pericoli più grandi di quelli che si volessero superare. C’è anche un altro punto molto critico del quale si preferisce non parlare: si parla un po’ retoricamente di “popolo”. E’ un insieme di persone con molto in comune (lingua, tradizioni ecc..) del quale si ha un’idea talvolta retorica. Il popolo non sempre ha idea dello Stato e lo considera estraneo, padrone. Purtroppo spesso a ragione. Uno Stato richiede molto tempo per formarsi veramente, deve entrare nella coscienza della gente e per farlo deve configurarsi come casa di tutti. Oggi spesso Stato significa Palazzo (con i Lor signori di Fortebraccio). Sono cammini molto lunghi che richiedono formazione civica, informazione, cultura: faccende oggi trascurate basta vedere la scuola. Noi siamo ancora lontani dalla realizzazione piena di uno Stato, siamo tribù con vari nomi. Dobbiamo prendere atto che alcune idee sono molto belle in teoria ma si scontrano con una realtà che diventa sempre più difficile modificare per una serie di motivi tra i quali un allargamento extranazionale che complica l’organizzazione. Il piccolo si governa meglio del grande. Una parte troppo ampia della società ha scarse conoscenze, è pigra, si lamenta passivamente. L’idea di popolo, dicevo, è un po’ retorica. Vediamo il popolo come un insieme virtuoso ma non è così. In fondo la classe dirigente nasce dal popolo, così come la malavita organizzata ha il suo seme nel popolo altrimenti non crescerebbe come una pianta non cresce nel terreno inadatto. Non so se i problemi sono effettivamente aumentati o se ne siamo più consapevoli. So che ci stanno sommergendo e che ne dovremmo non solo prenderne coscienza piena ma persuaderci per fare alcune rinunce per non dovere poi subire gravi danni. In teoria sta a noi. Non concordo con l’idea sentimentale che “la Natura si ribella”: essa si adegua secondo le sue regole. Può fare a meno di noi, può reagire alle varie situazioni ma non per “ribellarsi”. Siamo noi che subiamo le conseguenze. Insomma, le soluzioni reali (non soltanto teoriche) sono molto difficili. Non significa che dobbiamo rinunciare a trovarle ma che occorre tempo e il tempo viene a mancare. Le soluzioni sono difficili e con effetti talora imprevedibili malgrado le buone intenzioni: un solo esempio, i flussi migratori che vede in contrasto quelli definiti razzisti e quelli definiti buonisti con una visione per entrambi parziale e non risolutiva. Ma questo esempio ci porterebbe troppo lontano e già ho fatto un gran minestrone di argomenti che mi premono dentro, sui quali ragiono ma soprattutto dentro di me perché a ragionare con gli altri si rischia di aumentare i contrasti anziché attenuarli. E poi, sono argomenti che interessano a pochi. Perché, in fondo, parliamo più spinti dal nostro carattere e dai nostri preconcetti che da una razionalità che forse rifiutiamo se non in piccola misura. Con l’avanzare dell’età sono diventato un po’ fatalista: idea che rigettavo da giovane perché è un’idea che fa male. Mi dicevo: come mai i greci così intelligenti e razionali pongono il Fato al di sopra degli dei (infatti sacrificavano agli dei ma non al Fato: era inutile)? Oggi le mie idee sono alquanto diverse. Ognuno pensa e agisce secondo due fattori: il carattere (che non ci diamo da noi) e l’educazione, soprattutto quella dei primi anni (che non scegliamo da noi e dipende da tanti fattori ambientali e sociali). Che rimane? Il cristianesimo ci ha insegnato che siamo responsabili di ciò che facciamo e ne rispondiamo non solo a Dio ma anche alla società. Deve essere così, è necessario che sia così: bisogna rispondere di ciò che si fa e di ciò che non si fa. A noi stessi e alla società nella quale viviamo e anche a quella lontana da noi. Ecco, dunque: sfruttamento eccessivo della Natura sino ad oltraggiarla, consumismo eccessivo (se ne parla da decenni), desiderio di possesso, uso anche improprio della conoscenza: che futuro aspetta l’umanità? Essa non è eterna ma non siamo al finale. Le nostre lotte (anche di coloro che le fanno non solo a parole e ai quali va la nostra ammirazione) sono necessarie. Quanto utile è un altro problema. Forse tanto pessimismo è eccessivo: non sono pochi quelli che prendono sempre più coscienza dei problemi che incombono sul mondo anche se sono sempre troppi quelli che non si può vivere senza il calcio, senza ammucchiarsi a fingere di ballare, a qualche rave party che stordisce e dà l’illusione di divertimento. Un caro saluto e scusami per questo sproloquio sconclusionato suggerito dal tuo articolo (che però non ne è responsabile). E’ solo uno sfogo.

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