U penziere (17)

LA GUERRA, UN OMICIDIO ORGANIZZATO
I responsabili sono i capi di Stato e i loro governi che prendono la decisione di dichiarare guerra e lo fanno con l’approvazione dei rispettivi Parlamenti. Leggo e riporto da Greenreport i dati allucinanti della ventennale occupazione Usa/Nato dell’Afghanistan, con un vincitore certo, “il complesso militare - industriale americano che ha continuato a foraggiare i combattenti americani e afgani nella guerra più lunga nella storia degli Stati Uniti”, costata, come conferma il presidente Usa Joe Biden, oltre un trilione di dollari, cioè un milione di bilioni, ovvero un miliardo di miliardi, vale a dire 18 zeri dopo il numero 1. Vale a dire, anche e soprattutto, una enormità di denaro che ha “addestrato ed equipaggiato una forza militare afgana di 300.000 uomini con i loro stipendi regolarmente pagati”. Vale sottolineare che “ben 83 di questo trilione di dollari sono stati spesi per le forze armate…principalmente per l’acquisto di armi provenienti dall’industria della difesa statunitense…per una debacle che ha causato la morte di 2.400 soldati del paese nord americano e di oltre 3.800 appaltatori della sicurezza privati statunitensi, oltre a più di 100.000 civili afgani”. In pratica, 20anni di distruzione di territori, di un’infinità di tragedie, di morti, sprechi di risorse, che hanno reso ancora più ricchi “gli appaltatori militari e i ricchi investitori americani, i tanti alti funzionari e i ricchi saccheggiatori del governo afgano”. Uno straordinario atto di devozione al dio onnipotente del momento, il denaro, voluto, nell’autunno del 2001, da quel guerrafondaio di professione che è stato Geroge W. Bush e il suo governo repubblicano, gli stessi della guerra in Iraq, che ancora continua a martoriare quel Paese e l’intera area che lo circonda. Uno spaventoso crimine che nessuno cita come tale per non volere definire criminali gli autori, i protagonisti di quella immane tragedia che è la guerra. Anzi, quasi sempre, come nel passato, sono osannati, riveriti e rispettati, considerati persone per bene e non criminali. Una considerazione che dà loro la libertà e la possibilità di rendere la guerra uno stato di necessità e non, appunto, un atto criminale che provoca una massa enorme di vittime, nella quasi totalità innocenti, e, con loro, anche gli animali e le piante. La natura , nella sua complessità, violentata dalla fama di potere e di denaro, dal piacere della violenza di chi nutre il proprio narcisismo con la stupidità e la malvagità. Ieri e, ancor più, oggi, nel tempo dell’affermazione di un sistema predatorio e distruttivo, il neoliberismo delle banche e delle multinazionali, che, una volta cancellata la politica, ha il potere assoluto di decidere le sorti della Terra e di chi la vive. UN PAESE DONATORE DI SOGNI, DI SAPERI, DI DOMANI
Sono 900 mila gli Italiani espatriati negli ultimi dieci anni. Soprattutto giovani e la gran parte in possesso di un diploma o di una laurea, che, non avendo la possibilità di utilizzarla nel proprio Paese, sono costretti a decidere di fare le valige e andare altrove, sperando di poter esprimere le proprie capacità e, comunque, di trovare un lavoro che non hanno avuto la possibilità d trovare qui, in Italia. Una perdita di sogni e di saperi, che diventa, per l’insensibilità di chi governa il Paese e le Regioni, una donazione ai Paesi che queste nostre risorse utilizzano ed alimentano. Un investimento durato anni – è la cosa che più fa rabbia – regalato ad altri per la insensibilità sopra ricordata, che, in questo caso, è pura stupidità. AGRICOLTURA ITALIANA, SEMPRE PIỦ FORTE IL SUO GRIDO DI DOLORE
Leggo su Agricoltura.it. newsletter del 23 Agosto u.s., i dati riportati dal Presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, al meeting di Rimini. Un successo segnato dal record storico delle esportazioni delle nostre eccellenze agroalimentari con un balzo del 11,2% nei primi mesi di quest’anno e dal valore del nostro cibo, in piena emergenza Covid, pari al 25% del Pil con 538 miliardi di euro e ben 4 milioni di lavoratori impegnati in 740mila aziende agricole, 70 industrie alimentari, oltre 33Omila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio. Poi l’elenco dei Paesi più appassionati dell’Italia a tavola e i primati riferiti alla qualità del nostro cibo. L’illustre relatore parla, giustamente, del valore strategico rappresentato dal cibo, un patrimonio minacciato da imitazioni, e ricorda i progetti concreti proposti nel Pnrr e della necessità di “agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord” con un preciso riferimento a ferrovie, porti, aeroporti, autostrade. In pratica a nuove colate di cemento ed asfalto che vogliono dire furto di territorio e, con esso, di agricoltura e di cibo. In linea, come sempre è stata la grande organizzazione dei coltivatori italiani, con il governo del momento. Oggi il governo Draghi, che, come i precedenti, sulla scia del neoliberismo, considera l’agricoltura un ostacolo al suo tipo di sviluppo e non il perno di un nuovo tipo di sviluppo, che ha a cuore la salvaguardia del territorio e della sua primaria attività. Tant’è che dell’agricoltura non se ne parla e, quando capita di citarla, diventa un inno al cibo come quello di Prandini e non un grido di dolore per il modo come questo fondamentale settore viene maltrattato, sempre più nelle mani della banche, delle multinazionali, della grande distribuzione, e, come tale, perdente. Un esempio è la perdita della fertilità della terra causata da quell’agricoltura industriale, che la Fao ha dichiarato fallita e causa di enormi disastri. L’altro esempio è la svendita della terra agli intermediari che vogliono, con l’autorizzazione di Palazzo Chigi, realizzare, da Nord a Sud, mega impianti di pannelli solari a terra per oltre 80mila ettari, una superficie pari a quella di 120mila campi di calcio. Ed è per questo che il grido di dolore del territorio di mille e mille territori segnati da testimoni, qual è quello italiano, e della sua agricoltura, è sempre più forte.

Commenti

  1. ‘Penziere’ come questi mostrano che basta osservare il mondo che ci circonda e riflettere autonomamente per rendersi conto dell’abisso di degrado in cui il neoliberismo sfrenato ci sta spingendo.
    Osserviamo e riflettiamo attentamente come sa fare Pasquale Di Lena.

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  2. Grazie Florindo. Osservare e riflettere per capire il mondo che viviamo e diffonder il nostro punto di vista per coinvolgere altri.

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  3. Il cambiamento culturale è lento e difficile, ma è l’indispensabile fondamento di ogni rivoluzione vera e duratura.
    Come ben sa chi detiene il potere , che cerca con ogni
    mezzo e ogni modo di avere l’egemonia nell’informazione, per poter manipolare e controllate l’opinione pubblica.
    Pensare autonomamente è la prima e necessaria forma di resistenza.

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