Quando il racconto è tanta parte dell'immagine di un prodotto o di un piatto
Riporto questo articolo trovato su Gambero Rosso newsletter per sottolineare come la fama di un prodotto o di un piatto dipenda molto dalla capacità di saperlo raccontare. E i francesi sono maestri del racconto e cultori di tutto quello che hanno. Non a caso sono riusciti a rendere famosi la loro "ratatouille", che in ogni luogo delle regioni del nostro Centro--Sud, dalla notte dei tempi si chiama "Ciambotta" o "Cianfotta" e che a me piae chiamare "Ciabbotta", nel suo significato di "Ci riempie, ci sazia", che, nei tempi in cui il mangiare era spesso un desiderio, era una straordinaria bontà. Un piatto unico offerto dall'orto, e, tutto nel periodo più ricco di verdure, patate, odori, fine primavera, inizio autunno. Una grazia di Dio, soprattutto di profumi con l'olio di oliva (quello detto evo, extravergine di oliva, prima spremitura, per confondere le idee al cosumatore e nutrirlo di oli che non sempre hanno visto gli olivi). In pratica l'olio che appena lo metti sotto il naso ti riporta al profumo del frutto, lìoliva appena spremuta.Se il profumo non si sente, bisogna pensarci bene prima di berlo e utilizzarlo come Olio di oliva.Una grazia di bontà, la ciambotta, un piatto unico che, nei tempi recenti - quelli del consumismo e dell'abbondanza - ha trovato un suo utilizzo come antipasto o come contorno.
La mia "Ciabbotta" del mio orto e dei miei olivi è una versione che non prevede le verdure stufate, ma in una padella con il fondo coperto di olio e di rotoli di cipolle, l'aggiunta di melanzane, zucchine, patate, sedano, foglioline di mentuccia che tanto piaciono ai pezzi di zucchine, e, ancora, a completare il monte di bontà pomodor maturi a pezzetti co foglie di basilico in cima. E' il trionfo del tricolore che riporta allanostra bandiera. Non ho dimenticato, il sale, quello grosso, che il vapore degli ortaggi scioglie e diffonde nel corso del tempo di cottura. Buon appetito con il piatto della salute che, non lo nascondo, a me non solo sazia, ma mi dà, anche e soprattutto,tanta allegria (PDL).......................................................................................................................................................................................................................................................La vera storia della ratatouille francese........ .................................................................................. ..................
16 Giu. 2021, 01:28 | a cura di Michela Becchi
È DIVENUTA FAMOSA GRAZIE AL SUCCESSO DELLA PIXAR DEL 2007 MA LA RICETTA PROVENZALE A BASE DI VERDURE HA ORIGINI BEN PIÙ ANTICHE. ECCO COME NASCE LA CELEBRE RATATOUILLE.
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La ratatouille e il film della Pixar
“Il cibo trova sempre coloro che amano cucinare”. E così l’ispirazione per quella ricetta povera ma squisita, intuizione felice e vincente, ha trovato Remy, il topolino protagonista del film del 2007 della Pixar, che porta il nome proprio dell’iconica ricetta: la ratatouille. Un cult per chi ha a che fare con la cucina, dagli chef ai critici gastronomici, ma anche per i semplici buongustai che nel cibo ritrovano ricordi ed emozioni. Celebre è la scena della preparazione della ratatouille, scelta da Remy per conquistare il palato dell’intransigente critico Anton Ego: un piatto povero, semplice, che nel temuto esperto di fine dining suscita emozioni profonde, ricordandogli l’infanzia. È la sua madeleine di Proust, un insieme di sapori in grado di riportarlo indietro nel tempo: ma qual è la vera storia del piatto?
Scopri la vera storia della ratatouille
Come e dove nasce la ratatouille
Si tratta di una ricetta contadina popolare, uno stufato di verdure estive a base di zucchine, melanzane, peperoni rossi e gialli, pomodori e cipolla, a cui si possono poi aggiungere gli altri ortaggi a disposizione. Una specialità nata in Provenza, regione nel Sud-Est della Francia che si caratterizza proprio per la sua cucina mediterranea, fatta di erbe aromatiche e tante verdure, il cui nome deriva dai termini francesi rata, con cui si indica uno stufato con pezzetti interi, e touiller, che fa riferimento all’azione di mescolare gli ingredienti fra loro. Per la precisione, la ricetta nasce nel Settecento nelle campagne provenzali grazie all’inventiva dei contadini che avevano bisogno di usare tutto il raccolto di fine stagione, ma soprattutto di restituire dignità alle verdure troppo mature che iniziavano a rovinarsi attraverso cotture lente e aromi intensi.
Dalla Francia alla Spagna
Nonostante sia assodato che il piatto abbia avuto origine in Francia, alcuni storici della gastronomia ritengono che ricette simili fossero già presenti nei Paesi Baschi e in Catalogna, e si siano poi fatte strada nel tempo nel Sud della Francia. Un’altra teoria sostiene invece che già al tempo dei romani venissero preparati degli stufati di ortaggi misti, ma dal sapore ben diverso, considerando che pomodori e zucchine non erano ancora presenti. Un tempo, comunque, la ratatouille era un piatto unico sano e sostanzioso, mentre oggi viene servita come contorno per accompagnare pietanze di carne e pesce, come sfizioso antipasto oppure come portata principale insieme a del riso.
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L’ingresso nei ristoranti
Ma come è arrivata la ratatouille al ristorante? L’ingresso nei menu lo ha fatto nel Novecento, quando veniva preparata alla maniera provenzale tradizionale, ovvero con sole melanzane, zucchine, peperoni, cipolle e pomodori, arricchite dalle tipiche erb de Provence, le erbe mediterranee essiccate che contraddistinguono tante ricette locali: rosmarino, origano, basilico, timo, salvia, maggiorana, finocchietto, menta e santoreggia. Da piatto contadino fatto con i pochi ingredienti a disposizione la ratatouille diviene quindi una portata degna dei ristoranti, oggi conosciuta anche al di fuori dei confini nazionali grazie al film d’animazione che ne ha decretato il successo, ispirando chef di ogni livello a riprodurla nelle versioni più originali.
Come fare la ratatouille (quella del film)
Dall’aspetto invitante e l’estetica curata, la ratatouille del film è ben diversa da quella tradizionale, che non è altro che un insieme di verdure tagliate a pezzetti e cotte in pentola. Molti dicono che sia stata Hélène Darroze, la chef imprenditrice cresciuta alla corte di Alain Ducasse, a ispirare il piatto della Pixar, mentre a contribuire all’immagine del critico Anton Ego sarebbe stato Luigi Cremona, l’esperto assaggiatore italiano conosciuto anche all’estero. Ma torniamo alla ricetta: il piccolo chef Remy affetta ogni ortaggio a rondelle, che adagia su una teglia ricoperta da salsa piperade (fatta con peperoni e pomodori) alternandole per colori. Il risultato è una composizione variopinta e armonica, ben impiattata con un po’ di salsa anche in superficie, oltre alle immancabili erbe aromatiche, che il topolino sceglie di aggiungere fresche solo alla fine. Realizzarla proprio come nel film è semplice, occorre solo un po’ di pazienza nel taglio e di attenzione nell’alternanza cromatica: prima di cuocere il tutto in forno (160/170° per una cinquantina di minuti) meglio imitare Remy e coprire le verdure con un foglio di carta forno, per evitare che si brucino.
a cura di Michela Becchi
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