Quando la realtà supera la fantasia
di William Mussini ilBeneComune
Nel 2005, insieme all’amico Marco Benevento, scrissi la sceneggiatura di un lungometraggio che si proponeva di trattare il tema della manipolazione dei media sulla psiche umana. Adottando il genere noir, avevo l’intenzione di raccontare l’interferenza nefasta sulla vita dei cittadini della “cupola elitaria” al vertice della piramide massonico-capitalistica e degli effetti deleteri della propaganda filo mercatistica.
Il quarto potere dei media, l’instaurazione di fatto di una forma di ipodemocrazia in quasi tutti i Paesi occidentali, la mania di controllo sulle masse, la psiche dell’uomo comune ostaggio inconsapevole della propaganda, erano gli elementi “socio-politici” attorno ai quali si svolgeva la vita del protagonista: un giovane musicista con problemi psichiatrici.
Il film, dal titolo “Psicomedia70”, ipotizzava la presenza di una congiura segreta mondiale ai danni dell’umanità intera. Nel film, una minoranza di oligarchi, banchieri, potenti uomini di stato e affaristi plurimiliardari, esercitava il loro potere attraverso l’elargizione di pillole “miracolose” in grado di risolvere stati ansiogeni e di depressione, con la complicità di medici e case farmaceutiche, unitamente alla disinformazione mediatica di telegiornali e l’intrattenimento ottenebrante di talk shows, film e serie TV. Attraverso la diffusione di particolari frequenze elettromagnetiche sprigionate da apparecchi elettronici, avevo anche immaginato che la fantomatica élite fosse in grado di influenzare sistematicamente le cellule neuronali interagendo chimicamente con i suddetti farmaci.
Un film di fantapolitica ma, forse, munito di una massiccia dose di verità sottotraccia: a confermarlo, infatti, sarebbero tutte le teorie attuali del “complotto” divenute anch’esse “mitologia” per webnauti, sdoganate da WikiLeaks negli anni Duemila, date in pasto in varie e variegate salse all’opinione pubblica, attraverso canali di informazione alternativa al mainstream. Potrei anche dire che il film mai nato, avrebbe mostrato l’opera minuziosa di geoingegneria sociale condotta dai poteri occulti sin dagli albori dell’antropizzazione.
Il protagonista di “Psicomedia70”, affetto da una forma devastane di fobia sociale, nonostante le raccomandazioni del suo psichiatra, decide di rinunciare alla cura farmacologica, di isolarsi e di non guardare più la televisione. A seguito di questo cambiamento drastico, scopre gradualmente che la sua precedente realtà di malato era il prodotto illusorio di una manipolazione psichica proveniente dall’esterno, e che la stragrande maggioranza della popolazione planetaria viveva in una sorta di “matrix”, per dirla alla maniera dei fratelli Wachowski.
Nel 2005 erano ancora sanguinanti le ferite inferte durante le giornate di Genova del 2001 quando, con il massacro della Scuola Diaz, il nostro Governo di allora rivelò la sua natura violenta nella cieca repressione, e la nostra pseudo democrazia mostrò tutta la sua fiacchezza. A molti italiani parve incredibile che in un Paese come l’Italia, dopo il pestaggio feroce ed ingiustificato da parte delle forze dell’ordine, ci si trovasse sprovvisti di strumenti normativi adeguati a prevenire e punire questo gravissimo reato.
Queste prima avvisaglie ci fecero ben capire che provare a contrastare il disegno elitario del globalismo liberista avrebbe comportato reazioni sempre più violente e antidemocratiche. Mi parve ancora più chiaro lo stato di salute delle democrazie occidentali sopravvissute ai conflitti mondiali quando, per completare la sceneggiatura con maggiore cognizione, approfondii la conoscenza degli avvenimenti più significativi del ventesimo secolo, cercando di individuare quali fossero le strategie mediatiche adottate dai regimi, con la finalità di ottenere consensi e propagandare verità.
Capii che le tecniche utilizzate dalla propaganda nazista non furono affatto dissimili da quelle partorite dalle democrazie negli anni a seguire, e che i mezzi di comunicazione di massa, stampa, televisione, cinema e intrattenimento, somigliavano sempre di più al Grande Fratello orwelliano.
“Il mondo non è sempre ciò che appare. Vi è una significativa differenza tra apparenza e realtà. La maggior parte di noi prende l’una per l’altra. Pensiamo di comprendere la realtà, ma non è cosi”, questo intuiva anticamente Platone. Per una maggiore comprensione della differenza esistente tra realtà e apparenza, ossia tra mondo reale e realtà raccontata e filtrata, ci vennero incontro in tempi più recenti geni come Pierpaolo Pasolini, il quale sosteneva, già negli anni 70, che: “la televisione non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere”. In diverse occasioni Pasolini sostenne che la televisione “è “un medium di massa” che si asserve alla massa dei telespettatori “per asservirli”, ossia per imporre loro “la leggerezza, la superficialità, l’ignoranza, la vanità”, quali modelli di “una condizione umana obbligatoria”.
I “valori falsi e alienanti”, che Pasolini sosteneva fossero metodicamente divulgati e fatti passare per buoni dai nuovi media, divennero inesorabilmente il costrutto della moderna “realtà” globalista e tecnocratica, quella che ad oggi è compiutamente radicata nelle società interconnesse grazie anche alla capillare diffusione di ordigni tascabili che alimentano il mercato e il conformismo delle coscienze. In “Psicomedia70”, il film mai nato ma che, alla luce di quanto accaduto sino ai giorni nostri, sembrerebbe essersi manifestato in una forma oggettiva e non di finzione artistica, il protagonista “risvegliato” dal torpore indotto, concludeva il suo percorso di consapevolezza con un suicidio simulato, fuggendo dalla sua comunità alla ricerca di conoscenze perdute, riconquistando il suo posto nel mondo naturale e spirituale.
Nel film, come nel mondo attuale in piena crisi, i mezzi di comunicazione adoperati dal potere sono soltanto dei “mezzi”, appunto. Sono serviti e servono a propagandare un unico pensiero, una sola verità, una sola direzione che porta alla omologazione degli individui, sempre più illusi e sempre più sottoposti al controllo. Diceva ancora Pasolini: “non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d’accordo che potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale; ma finora sono stati, così come li hanno usati, un mezzo di spaventoso regresso, di sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale per due terzi almeno degli italiani”.
Mi piace pensare che, nonostante tutto e seppur nel mondo fantastico dell’invisibile, il protagonista di “Psicomedia70” sia riuscito a realizzare a pieno la sua fuga dalla “matrix”, e che viva al di fuori della dimensione materiale d’una sceneggiatura su carta, di una mente creativa che lo ha partorito.
Come diceva il sociologo polacco Zygmunt Bauman: “oggi, il modo con cui guadagniamo i mezzi per vivere, i valori della professionalità, la valutazione che la società dà alle virtù e ai successi, i legami intimi e i diritti acquisiti, tutto questo è fragile, provvisorio e soggetto alla revoca. E nessuno sa quando e da dove arriverà il colpo fatale. Mentre i nostri antenati sapevano bene che occorreva avere paura di lupi affamati o dei banditi sui cigli delle strade. Non è quindi l’astrazione a rendere i pericoli apparenza più gravi, ma la difficoltà di collocarli, e quindi di evitarli e di controbatterli”.
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