Molise, un territorio a rischio

di Pasquale Di Lena
Ci stanno rubando l’unico tesoro che abbiamo, il territorio, e lo fanno con l’accettazione di vendita da parte dei titolari di terreni, non tutti anziani o assaliti dai debiti per colpa della pesante crisi che vive l’agricoltura. Lo fanno con il coinvolgimento delle istituzioni, ai vari livelli, che dovrebbero salvaguardare, tutelare questo tesoro per valorizzare i suoi valori e le sole risorse, tutte nostre, che abbiamo. Ma, ciò che è grave, anche con il nostro consenso, vittime, come siamo, di un sistema sempre più globale, che ci sta rendendo merce da consumare, numeri nelle mani del dio denaro. Il dio onnipotente del sistema che, con il virus, ci tiene nel baratro. Il dio delle banche e delle multinazionali, del neoliberismo, che compra tutto e tutti, depreda e distrugge in mancanza del senso del limite e del finito. Tutto questo succede anche nel piccolo Molise, ma proprio perché piccolo l’effetto distruttivo e predatorio diventa fatale per la sua stessa sopravvivenza. Urge bandire le gigantesche pale eoliche (il Molise ha già dato) che rubano un bene di cui tutti abbiamo bisogno, la bellezza del paesaggio, e, insieme tanto suolo fertile con una cementificazione dello stesso; le nere estensioni di pannelli solari a terra, che rubano cibo, cioè la sola energia vitale a nostra disposizione; la costruzione di stalle per allevamenti superintensivi, e, anche, la piantagione di oliveti superintensivi, che divorano suolo fertile e bevono tanta acqua; la costruzione di villaggi turistici che distruggono quel poco mare che il Molise ha; la voglia di un aeroporto, di un’autostrada o superstrada, che servono solo alle imprese che avranno gli appalti, ma non al Molise che vedrà colpito ciò che d’importante possiede: i paesaggi; l’aria; la biodiversità; l’acqua e altri valori e risorse del suo territorio, per diventare altro, quello che chiude alle tante possibilità che, solo se mantiene i suoi caratteri distintivi, possono diventare il suo domani. Questi e altre pessime prospettive, tutte tese a cancellare il Molise, soprattutto quella sua “arretratezza”, così preziosa e di grande attualità, e, come tale, in grado di assicurare il suo futuro. Urge riconquistare il senso del tempo, del nostro passato, della natura che ci vede protagonisti insieme con altri esseri viventi, quali sono i vegetali e gli animali. Urge riconquistare, anche, il senso della sobrietà per sconfiggere il consumismo sfrenato che vuol dire spreco di domani, quello delle nuove generazioni. Urge, avendo nel Molise, quale realtà unica, la possibilità di ripartire dai luoghi, di affermare la Sovranità alimentare, cioè la capacità - facendo tesoro dei valori e delle risorse del territorio - di definire le proprie politiche riguardanti l’agricoltura, gli allevamenti, la pesca, quelle del lavoro e di renderle appropriate sotto l’aspetto ambientale, economico, sociale e culturale. Tutto per ottenere cibo, e non basta, soprattutto sano perché sia fonte di salute, filo conduttore di quella sanità territoriale, un bene di tutti e non di pochi eletti, e questo è possibile solo se è a carattere pubblico. La Sovranità alimentare per affrontare il bisogno di cibo e poter dare a tutti quella Sicurezza alimentare a un mondo che, nei prossimi trent’anni vedrà e aumentare di 2,5 miliardi il numero dei suoi abitanti (10 miliardi nel 2050). Urge, in pratica, riappropriarsi della politica, quella che pensa, sogna, progetta, programma il futuro, e, perché ciò abbia la possibilità di accadere e di durare, c’è bisogno di stare uniti e, insieme, costruire un percorso alternativo – come spiega con grande chiarezza Umberto Berardo in un suo recente articolo “Costruire un’alternativa politica nel Molise” - a quello tracciato da chi da vent’anni sta imponendo il gioco dell’alternanza, quello proprio del puparo che dà voce ai pupi, i protagonisti di una stessa rappresentazione teatrale tutti sullo stesso palcoscenico. Un alternativa politica per confermare un ruolo azzeccato per il Molise, quello di laboratorio, con i risultati messi a disposizione del Paese, che rischia, prima di tanti altri, di essere privato della sua sovranità dal sistema delle banche e delle multinazionali. Il sistema che non vuole regole, se non le sue, quali sono quelle che stanno impoverendo di risorse e di valori il pianeta che ci ospita, non a caso sempre più in crisi. Un alternativa – come si legge nel Manifesto della Società della Cura, un movimento che, il 10 u.s., ha mobilitato animato numerose piazze italiane, compresa quella di Campobasso – per uscire dalla crisi di sistema prima che sia troppo tardi. Si tratta – è stato affermato – “di non sprecare le lezioni della pandemia, affrontare il collasso climatico e l’ingiustizia sociale ripudiando la gerarchia di valori e poteri che governa il mondo, per costruire la società della cura di sé, degli altri, del pianeta”.

Commenti

  1. Ho letto con interesse,mi chiedo come affrontare il problema energetico, è vero le pale eoliche non sono belle ed ancora meno le distese di pannelli solari.
    Ma quale sarà l'approvvigionamento energetico? Dobbiamo ridurre il consumo ma... qualcosa servirà

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    1. Si tratta di programmare sulla base delle reali necessità di energia e non del solo denaro da incdassare, senza intaccare il suolo fertile fonte dell'energia di cui non se ne può fare a meno, il cibo. Ci sono spazi enormi di territorio già rubato da poter riciclare. Però quest'attenzione/scelta non è un affare per chi ha nelle mani il solare, l'eolico e altro

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  2. Ci vorrebbe davvero un cambiamento di rotta

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  3. Pasquale, il problema, come sempre, è focalizzato ma siamo sempre in pochi a cambattere e metterci la faccia. Tanti si sono assopiti, non so se per rassegnazione o timore. Noi, comunque non demordiamo. FORZA!

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    1. E' una verità la tua, ma non è facile rimanere inerti per chi
      "odia gli indifferenti.

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  4. Condivido perfettamente il "grido di allarme" e mi duole non poter essere incisivo almeno nella comunicazione di alcune idee che pur bisogna enunciare per non allarmarsi e basta, a cominciare dal problema dell'aumento della popolazione mondiale che non è un fatto positivo.
    Il paradosso però è che noi ci spaventiamo della scarsità di nascite in Italia e dobbiamo importare mano d'opera se vogliamo curare la nostra terra. Forse dobbiamo curare meglio i nostri rapporti internazionali e scoraggiare i grandi agglomerati urbani?
    Magari dobbiamo lavorare meglio sul concetto di "chi è Dio" e su tutto quello che è stato costruito intorno alla Sacralità di Dio!
    Insomma ripartire dal catechismo per rifare le scuole agrarie professionali dove però non dobbiamo formare donne ed uomini che poi vanno all'università ma piccoli imprenditori che non devono perdere tempo a studiare i massimi sistemi degli attuali programmi scolastici ma solo imparare a "zappare" bene la terra e produrre in modo giusto e genuino.
    Buon lavoro e buona festa dei Lavoratori!
    Carmine

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  5. Caro Carmine, la verità è che l'agricoltura, quale settore dimenticato, non fa parte della cultura espressa dal sistema con i grandi mezzi a sua disposizione e, come tale, non anima interessi nei giovani. Al pari del lavoro. Ne vedo tanto in giro, ma nessuno lo organizza, in primo luogo i sindaci e, poi, i genitori che sono lì a piangere nel vederli partire e saperli lontani. E' un mondo sbagliato nelle mani di un dio onnipotente, sez'anima, il denaro.

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