di Umberto Berardo
Gli ultimi dati Istat ci dicono che la popolazione del Molise al 1° gennaio 2021 era di 296.547 abitanti, residenti in 214.629 negli 84 Comuni della provincia di Campobasso e in 81.918 nei 52 Comuni della provincia di Isernia. Dal 1951, quando contava 406.823 abitanti, la regione ne ha perso 110.276 riguadagnandone molti soltanto e soprattutto in Comuni come Campobasso, Termoli, Venafro, Isernia e Boiano tra il 1971 e il 1991 per merito di un processo di industrializzazione che si realizzò secondo la logica dei poli di sviluppo fortemente penalizzante per le aree interne. Il Molise in quei venti anni passò da 319.807 a 330.900 abitanti; poi il declino è continuato inesorabile fino ad oggi in quasi tutti i Comuni ad eccezione di taluni in saldo positivo come Termoli (+228,1%), Campomarino (+173,3%), Venafro (+94,0%), Isernia (+88,4%), Pesche (+86,9%), Campobasso (+66,8%), Ferrazzano (+39,6%), Macchia d’Isernia (+18,8%), Sant’Agapito (+13,6%), San Giacomo degli Schiavoni (+11,7%), Petacciato (+10,3%), Pozzilli (+9,9%), Ripalimosani (+6,1%) nei quali fino ad alcuni anni fa ha retto il processo di industrializzazione e si è avuto uno spostamento di abitanti dalle aree interne verso i centri più grandi o quelli viciniori. La maggior parte dei molisani vive in agglomerati urbani grandi e medi, mentre quelli più piccoli continuano ineluttabilmente a spopolarsi. Le contrazioni hanno visto percentuali quasi tutte superiori al 50%, ma talora hanno superato anche l’80%. Dei 136 Comuni 30 sono sotto i 500 abitanti, 41 fra 500 e 1.000, 46 tra 1.000 e 3.000, 10 fra 3.000 e 5.000, 5 fra 5.000 e 10.000, 2 fra 10.000 e 25.000, 2 fra 25.000 e 50.000. I residenti stranieri, anch’essi ormai in forte diminuzione, sono presenti nei paesi più grandi ed in quelli del basso Molise. La contrazione costante di residenti, ma soprattutto di presenti, dal 1991 è imputabile alla denatalità, all’invecchiamento, al ritorno del fenomeno migratorio, alla diminuzione degli addetti nella pubblica amministrazione, nel terziario, ma soprattutto nell’industria a causa della chiusura di molte aziende che occupavano diverse migliaia di lavoratori. È chiaro che senza un’inversione di tendenza il fenomeno è destinato ad aggravarsi. Non vorrei apparire catastrofico, ma al momento la situazione economica in regione appare del tutto bloccata e non solo a motivo della pandemia che viviamo ormai da un anno e che rischia di portare tante altre piccole imprese artigianali, commerciali e della ristorazione a nuove chiusure. Luca Colella, direttore del quotidiano Primo Piano Molise, qualche giorno fa, sempre in riferimento al fenomeno della desertificazione demografica, ha titolato un suo editoriale “Il Molise è morto”. C’era nelle sue riflessioni lo sconforto di chi da anni rincorre un’inversione di tendenza nella situazione umana e sociale della regione e non vede alcuna luce dopo il buio durato tanti decenni, ma sinceramente, leggendo attentamente quel suo pezzo, nella rabbia per gli atteggiamenti omissivi ho intravisto ancora la voglia di non arrendersi a cadere nel baratro; infatti la chiusa dell’articolo appare come un duro attacco all’oblio sui problemi della regione da parte di tutti i rappresentanti istituzionali. Per anni certo gli errori sono stati tanti ed imperdonabili. Abbiamo puntato ad un processo di industrializzazione affidato a management di discutibile competenza senza guardare né alle vocazioni territoriali e tantomeno alle richieste più evidenti e sostanziali che provenivano dal mercato. È stata trascurata ogni educazione di una seria e razionale capacità imprenditoriale nell’agricoltura, nella zootecnia, nel turismo e perfino nei servizi del terziario dove abbiamo lasciato l’iniziativa ad imprenditori esterni favoriti talora dalla politica per un piatto di lenticchie di posti di lavoro precari e a volte mal retribuiti. Ancora oggi, come sta accadendo con l’idea progettuale “South Beach” sul territorio di Petacciato, non solo andiamo pervicacemente alla ricerca d’investitori esterni, di cui dovremmo forse dall’esperienza aver imparato uno spirito speculativo che non ha certo a cuore le esigenze di chi vive su un territorio, ma spendiamo tempo e risorse mentali per discuterne idee palesemente indirizzate ad un’idea di sviluppo che è davvero lontana da ogni compatibilità ambientale ed indirizzata agli interessi di grandi uomini d’affari che disegnano purtroppo ancora progetti industriali propri di un iper liberismo che sembra legato unicamente a criteri di natura puramente finanziaria. Invece di dedicare tempo ed energie all’esame di idee provenienti da imprenditori esterni, tra l’altro sembra anche già rifiutate da altre regioni, non sarebbe molto più utile se i molisani cominciassero ad impegnarsi nel delineare ipotesi autoctone di sviluppo della propria regione ed impegnassero finalmente le proprie risorse finanziarie in attività d’investimento produttivo anche in cooperativa invece di continuare a tenerle in impieghi di carattere speculativo che tra l’altro ormai non danno se non vantaggi puramente illusori? Ho sempre pensato che la via più adeguata a dare un futuro al Molise risieda nella professionalità progettuale autonoma, sicuramente collegata all’università, nella formazione di una sana capacità imprenditoriale, nella realizzazione di un’efficiente rete di infrastrutture, ma soprattutto nella creazione di un’economia sociale che abbia le proprie fondamenta non più in un’impresa gerarchizzata con al centro il consumo esasperato, ma in un’organizzazione cooperativistica. È chiaro che qui il terzo settore, al momento fortemente e volutamente cloroformizzato, può giocare un ruolo fondamentale se viene impegnato attraverso la costruzione di fondazioni non profit capaci di rendere anche più solidali e democratiche le forme di organizzazione economica della produzione finalizzata ai bisogni reali della popolazione. Invece allora che bloccarci sui dati statistici certamente molto negativi sopra analizzati e continuare a riflettere unicamente sugli errori di valutazione, di decisione e di omissione delle classi dirigenti di questa regione che pure persistono e sono gravi, cerchiamo di uscire anche dalle polemiche reciproche e dalle divisioni che hanno fatto sempre il gioco del potere di turno e d’impegnarci a delineare un modello di sviluppo innovativo soprattutto per i giovani molisani che non possiamo continuare a destinare all’emigrazione. Certo non è pensabile solo limitarsi ad elaborare e lanciare idee; occorre invece e soprattutto realizzarle. Sono questi i problemi che abbiamo di fronte e che dobbiamo risolvere perché le cause reali del disastro economico e del grave disavanzo che in Molise nel 2019 ha superato i cinquecento milioni di euro non sono da imputare unicamente, come qualcuno vorrebbe farci credere, all’autonomia regionale o all’insufficienza dei trasferimenti statali ma proprio all’iniqua gestione di questi ultimi dovuta agli errori macroscopici delle classi dirigenti locali e nazionali che ormai da decenni sperperano fondi in privilegi scandalosi e nell’assistenzialismo funzionale ai feudi elettorali ma di assoluta inutilità per il futuro della regione. La recente bocciatura della Corte dei Conti sul rendiconto 2018 della Regione Molise credo sia la dimostrazione di quanto sto affermando. Ho già scritto poi che, se esistesse un problema legato alle autonomie, andrebbe risolto non al livello di singole regioni ma in un piano di revisione organica e razionale del regionalismo italiano. Il Molise è davvero in una situazione di abbandono come purtroppo si continua ad evincere anche dalle dichiarazioni recenti del ministro Giovannini relative alle opere da realizzare con il Recovery Plan e che interessano il Molise davvero molto, ma molto marginalmente. Senza il ritorno ad una politica efficiente e ad una responsabilità di cittadinanza attiva non riusciremo mai a perdonarci di preparare culturalmente e professionalmente tanti ragazzi regalando le loro competenze al progresso economico di altri Paesi impoverendo invece sempre di più il Molise. So che l’orizzonte non è sereno, ma occorre essere propositivi ed ottimisti se è vero che ci sentiamo ancora legati a questa terra da indiscutibili radici culturali, economiche, paesaggistiche, relazionali ed affettive.

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