Il vaccino, bene comune
di Umberto
Berardo
È ormai da più
di un anno che stiamo lottando contro una diffusione del Coronavirus le cui
origini secondo l’OMS sarebbero negli animali, anche se non ci dicono ancora il
sistema di penetrazione del virus in talune specie di essi; dunque, come suol
dirsi, la ricerca è ancora work in progress.
Mentre scriviamo
sono 107.252.265 i casi di contagio confermati nel mondo e 2.355.339 sono i
decessi.
Questa pandemia
ci sta costando lutti, malattie, sacrifici e una crisi economica che accentua
in maniera intollerabile le disuguaglianze mentre la povertà alza il suo grido
inascoltato verso l’opulenza di un mondo industrializzato sempre più egoistico
e sordo.
Proprio alla
fine del trascorso annus horribilis 2020 si è affacciata una speranza contro il
Covid-19, questo terrificante agente patogeno che non siamo riusciti a fermare
per colpa dello stato di grave arretramento della sanità pubblica, effetto di
scelte politiche suicide, e di provvedimenti di contrasto al virus che sono
stati allegramente allentati nel corso dell’estate e dell’autunno.
Mentre sono in
fase di sperimentazione gli anticorpi monoclonali, grazie ad un massiccio impiego
di fondi pubblici dell’ordine di 93 miliardi di dollari dai Paesi
industrializzati, la ricerca ha messo velocemente a disposizione tre vaccini
approvati già da EMA e AIFA (Pfizer/Biontech, Moderna e
Astra Zeneca) che, se opportunamente prodotti ed utilizzati, potrebbero aiutarci
a risolvere i tanti problemi che viviamo.
Ne stanno
producendo anche la Russia e la Cina.
Sul piano
scientifico non è ancora chiaro se essi impediscono solo la manifestazione
della malattia da virus o anche la sua trasmissione, ma anche uno solo dei risultati
sarebbe assai importante.
L’arrivo di
questi sistemi di protezione non può allentare la responsabilità
comportamentale soggettiva nell’evitare assembramenti, nel tenere le distanze
adeguate dagli altri, nell’indossare la mascherina, nel detergere sistematicamente
le mani, e soprattutto nel ridurre le relazioni sociali per evitare il più
possibile i contagi anche perché ancora non abbiamo la certezza che i vaccini
disponibili riescano a coprire tutte le nuove varianti del virus.
Negli accordi
con le industrie farmaceutiche paradossalmente i governi nazionali e l’UE non
hanno previsto clausole per garantire ai propri Stati e più in generale
all’intero Pianeta una produzione il più possibile allargata dei vaccini
stessi, una loro diffusione iniziale per l’immunizzazione secondo criteri di
equità mondiale e quantomeno una sospensione temporanea del diritto alla
proprietà intellettuale ed economica dei brevetti i quali oggi stanno
rallentando paurosamente la produzione di questi immunizzatori.
I sistemi di comunicazione
occidentali esprimono la preoccupazione dei ritardi nelle consegne dei vaccini
in America settentrionale e in Europa, ma in realtà la questione come al solito
viene analizzata secondo una precisa visione di tipo schiettamente neoliberista
legata ad un sistema di monopolio di produzione e di uso dei farmaci che non si
vogliono ancora considerare beni di pubblica utilità ma prodotti collegati a
filo doppio con il profitto ed una commercializzazione inumana.
Intanto due dati
dovrebbero farci riflettere sulle attuali disuguaglianze nella distribuzione
dei vaccini.
In quarantanove Paesi
ricchi sono state già somministrate 39 milioni di dosi, mentre in quelli poveri
solo poche decine; inoltre in questi ultimi una dose costa più del doppio
rispetto al prezzo pagato dai primi.
Il 14% della
popolazione mondiale dispone oggi del 53% dei vaccini in distribuzione.
L’accaparramento
delle dosi, che avviene attraverso mediazioni scandalose, si fa strada anche in
Italia con regioni che stanno chiedendo di procurarsi i vaccini con
contrattazioni autonome rispetto a quelle generali condotte dallo Stato per
l’intera cittadinanza.
Israele, dove la
campagna di vaccinazione procede velocemente sempre in relazione ai sistemi
egoistici di distribuzione dei vaccini, ha escluso dalla stessa tutti i
palestinesi che vivono nei territori occupati e probabilmente in Africa entro
l’anno corrente sarebbe vaccinato appena il 20% della popolazione e grazie
all’interesse soprattutto della Russia e della Cina.
La repubblica di
Cuba, a partito unico e perciò giudicata come uno Stato illiberale, non solo
sta lavorando ad un’ottima gestione dell’epidemia grazie ad un’efficiente
sanità pubblica e ad un preciso sistema di tracciamento con il più alto numero di medici in rapporto
alla popolazione e sta inviando suoi dottori a sostegno di altri Paesi, ma con
il suo Finlay Institute, nel quale collabora il giovane immunologo italiano
Fabrizio Chiodo, è impegnata in quattro progetti di ricerca vaccinale contro il
Coronavirus.
Le autorità cubane
hanno pubblicamente dichiarato che i loro vaccini saranno distribuiti alla
popolazione locale e poi messi a disposizione gratuitamente attraverso l’OMS di
tutti i Paesi che ne avranno necessità a partire ovviamente da quelli in via di
sviluppo.
Siamo davanti ad
un esempio di solidarietà e di condivisione che dovrebbe far riflettere molto i
tanti Stati industrializzati che continuano ad opporsi a due proposte di
revisione in materia di brevetti sulla produzione e il commercio di prodotti
farmaceutici.
India e
Sudafrica in autunno hanno chiesto all’Organizzazione Mondiale del Commercio
(OMC) la sospensione della proprietà dei brevetti sui vaccini almeno durante la
pandemia da Covid-19; tra l’altro tale deroga è prevista dal Trattato di
Marrakech che decretò la nascita dell'Organizzazione Mondiale del Commercio.
All’interno di tale organismo oggi sulla
proposta convergono cento Stati del sud del mondo e circa quattrocento
organizzazioni della società civile, mentre vi si oppongono molti Paesi
industrializzati e le grandi aziende farmaceutiche.
Difendere
copyright e monopoli sui vaccini significherebbe continuare in maniera disumana
a mettere il profitto al di sopra della salvezza generalizzata della vita umana
impedendo l’accessibilità per tutti ai farmaci salvavita e dimostrando assenza
totale di attenzione per la solidarietà umana.
Sempre durante
lo scorso autunno è nata anche l’idea dell’Iniziativa dei Cittadini Europei
(ICE) intitolata “Diritto alla cura – Right2cure NO PROFIT ON PANDEMIC”
lanciata da ricercatori ed attivisti di diversi Paesi europei per una completa
liberalizzazione di accesso alle cure, alle diagnosi e ai vaccini Covid19.
La proposta,
promossa ed appoggiata in Italia da Monica Di Sisto, Vittorio Agnoletto, Gino
Strada e Luigi Ciotti e che ha bisogno di un milione di firme entro il 1°
febbraio 2022, può essere firmata per via telematica all’indirizzo https://noprofitonpandemic.eu/it
.
Senza ridare utilità
generalizzata ai vaccini rendendoli un bene comune come tutti gli elementi
fondamentali per l’esistenza non solo saremmo di fronte ad uno dei più gravi
fallimenti di natura etica, ma non capiremmo soprattutto che questioni
sanitarie ed economiche come quelle legate alla pandemia che stiamo vivendo si
affrontano necessariamente in maniera globale se vogliamo evitare di esserne
sommersi tutti e per sempre.
Ciò che vediamo
francamente mancare del tutto finora in questa direzione è l’impegno delle
grandi organizzazioni internazionali che non rispondono affatto alle finalità
dichiarate nei loro statuti.
La questione al
contrario va affrontata in termini politicamente più coraggiosi non solo da
parte dell’Europa, ma più in generale dagli organismi dell’ONU che dovremmo
lavorare a rendere più trasparenti e democratici.
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