Il Covid e i problemi economici dell’Italia
di Umberto Berardo
Di sicuro i
problemi più gravi creati dalla pandemia in atto sono di natura umana legati ai
decessi, alla malattia, alle difficoltà psicologiche, culturali ed educative,
ma molto pesanti risultano anche quelli di tipo economico.
Secondo recenti
dati ISTAT hanno chiuso quest’anno 73.000 aziende, per la maggior parte
microimprese nel settore dei servizi, che davano lavoro al 4% degli addetti .
Tra esse solo
17.000 prevedono di poter riaprire mentre le altre, concentrate soprattutto nel
Meridione, presentano i maggiori rischi di rimanere chiuse.
Questo
ovviamente comporta un aumento della disoccupazione e minori entrate fiscali
per lo Stato che invece dovrà affrontare nuove spese collegate alla pandemia
ancora in atto..
Il debito
pubblico italiano ad agosto aveva toccato 2.579 miliardi di euro corrispondenti
al 162,5% del PIL, ma a fine anno si
prevede che possa arrivare a 2.581 miliardi.
Tra l’altro nel
settembre 2021 scadranno circa 50 miliardi di titoli di Stato che ovviamente
dovranno quantomeno essere rimpiazzati da nuove emissioni, anche se sarà
difficile convincere gli italiani ad acquistare bond del nostro Paese con tassi
d’interesse ormai quasi vicini allo zero; inoltre avremo per le direttive
europee la necessità di riordinare i conti pubblici nel medio termine con una
riduzione del deficit, aumentato con la finanziaria 2021 e che lieviterà ancora
con lo stesso Recovery Fund perché dei 209 miliardi all'Italia 81,4 sono trasferimenti
diretti e 127,6 prestiti da restituire a partire dal 2027.
Il debito
pubblico italiano è detenuto per il 20%
dalle banche centrali (BCE E Bankitalia), per il 45% da banche ed istituzioni
finanziarie, per il 30% da investitori esteri, e solo per il 6% da famiglie e
imprese italiane.
Per evitare
rischi di default il rapporto debito PIL dovrebbe essere sotto il 60%, mentre
in Italia è, come detto, al 162,5% ed ha
portato le agenzie di Rating a declassare il nostro Paese con un giudizio di
Bbb- che è ormai vicinissimo al livello Junk ovvero spazzatura.
Con una forte
riduzione delle entrate e un’impennata della spesa per misure anticrisi ed
ammortizzatori sociali l’Italia ha in ogni caso bisogno di raggiungere tre
obiettivi alquanto difficili ma sicuramente necessari: superare la crisi,
ridurre il debito pubblico e rilanciare la crescita economica.
Il governo e più
in generale la politica dovranno studiare i mezzi più adeguati per superare le
difficoltà nelle quali stiamo vivendo.
Una prima
soluzione che si è fatta strada è quella di una patrimoniale, ovvero un’imposta
sui patrimoni, presentata da Orfini e Fratoianni con un emendamento alla Legge
di Bilancio che prevede un’aliquota sull’intero patrimonio posseduto dello 0,2%
tra 500mila e 1 milione di euro dello 0,5% tra 1 e 5 milioni di euro e dell’1%
tra i 5 e i 50 milioni, raddoppiato oltre tale ultima cifra. Per i patrimoni
superiori ad un miliardo di euro sarebbe previsto un prelievo straordinario del
3% limitato al solo anno 2021. Tutto ciò sostituirebbe il bollo sui titoli e
l’IMU che verrebbero eliminati.
Secondo
simulazioni effettuate tale imposta frutterebbe circa dieci miliardi di euro
ogni anno.
A tale proposta
ha fatto seguito un’altra firmata dai parlamentari Fornaro, Epifani, Bersani,
De Lorenzo, Pastorino, Stumpo, Muroni e Palazzotto, che prevede un contributo
di solidarietà dell’1% applicato ai contribuenti con una ricchezza netta
superiore ad un milione e mezzo di euro, escludendo dal calcolo tuttavia l’abitazione
principale.
Dopo quella del
governo Nitti del 1919 per risanare i debiti dello Stato per la prima guerra
mondiale, di patrimoniali in Italia se ne sono avute diverse ed esattamente nel
1936 per la guerra in Etiopia, nel 1940 per la seconda guerra mondiale, nel 1947
per la ricostruzione, nel 1992 per il timore di un crack finanziario e nel 2012
l'imposta di bollo sulle attività finanziarie nonché Ici ed Imu.
Ad esse vanno
aggiunte le diverse accise che ancora paghiamo, ad esempio sui carburanti, per
debiti di guerre passate o per finanziare emergenze provocate da eventi
naturali.
La patrimoniale
può essere sicuramente un intervento per la redistribuzione della ricchezza e
per la riduzione delle crescenti disuguaglianze purché tale imposta non abbia
una base imponibile troppo bassa e sia diretta sui privilegi e sugli interessi
maturati più che sui patrimoni per i quali già sono state pagate le imposte;
l’aliquota inoltre non può essere alta per non scoraggiare gli investimenti e
non determinare una fuga di capitali all’estero.
Certo la
patrimoniale può essere uno strumento per creare giustizia sociale, ma va
pensata con criteri che non appesantiscano le tasse ai contribuenti che già le
pagano.
Occorre allora
immaginare anche altri strumenti in grado di ridurre il debito pubblico.
Il primo può
essere un risparmio sugli interessi dei titoli di Stato in emissione e questo è
ottenibile, come sostengono gli economisti più avveduti, con la creazione di
euro bond come garanzia solidale dell’Europa per tutti i Paesi membri facendone
oggetto del Quantitative easing da parte della Bce.
Bisogna poi
eliminare assolutamente tutte le forme scandalose di privilegi nella
retribuzione non più sostenibile di talune mansioni.
La lotta ai
paradisi fiscali è un altro strumento per recuperare gettito fiscale ed
ovviamente va condotta soprattutto immaginando sistemi e criteri di tassazione
uniforme in tutti i paesi europei.
Si dovranno
anche fissare criteri chiari sui Paesi ai quali le imprese sono tenute a
versare le imposte e ciò va definito in particolare per le multinazionali del
Web che devono essere accuratamente controllate nei loro redditi.
C’è infine la
lotta all’evasione fiscale che potrebbe far recuperare all’Italia circa
centodieci miliardi di euro all’anno in particolare per l’imposta più evasa che
è l’IVA per circa trentacinque miliardi e mezzo annuali.
Si tratta
ovviamente di cifre approssimate perché gran parte dell’economia sommersa
sfugge ad un’osservazione diretta, ma c’è chi pensa che l’evasione e l’elusione
fiscale creino per lo Stato un ammanco molto più elevato di quello presunto.
Il contrasto al
fenomeno appare sistematicamente in tutti i programmi di governo, ma se si
vuole davvero affrontarlo occorre mettere in campo tutta una serie di strumenti
capaci di forte dissuasione.
La scuola al
riguardo può dare un contributo importante per rendere piena l’onestà fiscale
dei cittadini, ma molto possono fare in tal senso altre forme istituzionali ed
associative come il Parlamento, i Consigli Regionali e le organizzazioni
religiose e sociali a patto che i loro
membri siano capaci di essere credibili in prima persona con comportamenti
eticamente lineari.
È del tutto
evidente in via prioritaria che l’imposizione fiscale va diminuita, avendo in
Italia percentuali troppo elevate rispetto agli altri Paesi, ma soprattutto, come
recita l’art. 53 della Costituzione Italiana, va resa sempre più progressiva in
ragione della ricchezza posseduta.
Tra essi, al di
là della lotteria degli scontrini o del Cash back che ci sembrano davvero
irrilevanti, occorre pensare alla tracciabilità dei pagamenti con l’obbligo
della moneta elettronica al di sopra di una cifra minima per le spese
giornaliere, alla detraibilità di una percentuale delle imposte versate e
soprattutto ad una forte deterrenza per gli evasori abbassando la soglia di
punibilità per l’imposta evasa al di sotto di quelle attuali per mancata
dichiarazione o per omissione dell’IVA al fine di rendere reati penali non solo
la dichiarazione fraudolenta o infedele , l’omissione dell’IVA sopra i
duecentocinquantamila euro, l’emissione di fatture false, l’occultamento o
distruzione di documenti contabili o le compensazioni indebite ma anche i tipi
e le soglie di evasione oggi punite solo con sanzioni amministrative.
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