A Montorio nei Frentani La presentazione del "Ricettario di Luisa Agostinelli"
di pasquale di lena
La donna, la cucina e il linguaggio del buon cibo nei primi anni del novecento.
Il libro presentato ieri sera a Montorio dei Frentani nella piazza antistante la chiesa subito dopo gli spari in onore di San Rocco, dal Sindaco Nino Ponte, da me e dal curatore del libro, Bruno Zappone.
Un libro a cura di quest’ultimo, nipote dell’autrice, uscito, pochi giorni fa, per conto della Editrice Lampo di Ripalimosani Bruno, di Montorio, da tempo vive a Lecce dove svolge la professione di avvocato. Molto bella la sua dedica a Imma, facendo propria la frase del filosofo, scrittore francese, anche lui avvocato, Denis Diderot: “Quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna nell’arcobaleno e asciugare le pagine con la polvere delle ali delle farfalle”.
Ricettario manoscritto con uno dei pennini calligrafici del tempo, a punta sottile, per una scrittura minuta, sobria, forte, sottile, bella , chiara, facile da legge, come a rappresentare il carattere della scrittrice, Donna Luisa. Bruno Zappone racconta, nella sua introduzione, di questa nonna mai conosciuta ma che ha ritrovato e sentita nelle stanze da lei vissute;, negli oggetti da lei usati, nel ricettario da lei scritto. Il buon cibo, la sua qualità che è sempre nell’origine, il territorio, cioè una realtà fatta di paesaggi e di ambienti, storia e cultura, tradizioni.
Una realtà, bene comune, che il cibo bene rappresenta spesso da protagonista.
Il cibo è l’atto del mangiare, non solo un assaporare, gustare, o, nel peggiore dei casi, strafogare. Un rito, un simbolo dell’incontro, la tavola, dello stare insieme, il convivio. Un atto che riporta alla storia, alla cultura, alla terra, alla fertilità del suolo, all’agricoltura e ai suoi protagonisti, i coltivatori, e, a un mondo, quello rurale, con le donne assolute protagoniste.
La terra che le ricette di Donna Luisa raccontano.
Di origine di Bonefro, passata per Montelongo, sposata a Montorio e con frequentazioni a Larino, grazie a parenti, che qui si erano sistemati in quella villa davvero bella, stile Liberty, che è la Villa Zappone.
Da sempre parte dell’Anfiteatro romano, uno dei quattro anfiteatri dell’antichità - con quello sannitico di Pietrabbondante, di Venafro e di Altilia - presenti sul territorio molisano . Un luogo magico con le stanza affrescate piene di simboli dal preciso significato.
Una stupenda struttura, che, da tempo ormai, aspetta di essere il luogo della storia dei Frentani, il popolo che ha visto Larino antica capitale e, che, non a caso Montorio, riporta nel nome che gli è stato dato.
La terra della biodiversità, della ritualità, della tavola sempre imbandita per l’innata ospitalità.
La terra, con altri luoghi del Molise, de “La Tavola di San Giuseppe”, a simboleggiare il saluto al risveglio della natura, della primavera, con le primizie protagoniste, in particolare gli asparagi di bosco. Il rito dell’amicizia, della condivisione, dell’attenzione ai più bisognosi, del dono , ma anche e soprattutto della presentazione dei prodotti e dei piatti - dalle salse alle conserve; dalle ministre ai primi piatti, dai salumi al pesce, dai legumi (a pezzènte) ai biscotti - di una cucina sana, fonte di salute. Basti pensare al focolare; alle pignate, in riga sulla soglia del camino, che lasciano cuocere lentamente i legumi; la pasta con la mollica, le pagnotte di pane, gli ortaggi, nella gran parte conservati come a raccontare l’orto dell’anno da poco passato.
E, poi, il Baccalà, un tempo il pesce dei poveri, oggi di palati prelibati e, come tale, diventato caro.
La tavola che racconta il passato. Quel passato che la pandemia, con il cibo, ha riportato alla luce e reso di grande attualità, proprio per il suo riferimento puntuale alla salute. E’ il cibo che ridà al passato la continuità persa per colpa di un sistema, il neoliberismo predatorio e distruttivo con il mito del “progresso” che vuol dire consumismo sempre più esasperato, cibo spazzatura. Un cibo, oggi, sotto processo là dove è stato inventato e si è più diffuso, Stati Uniti e Inghilterra, visto che il presidente di questo paese ha dichiarato di volerlo bandire.
Con il cibo spazzatura viene processato anche il suo modello di distribuzione, fast food e grande distribuzione. Modelli che trovano ancora spazio propri qui nel nostro Molise dove si parla di nuove aperture, nella stessa Campobasso che sembrava già satura.
Furto di territorio e non solo, di storia, cultura. Fine del piccolo commercio dopo la fine dell’artigianato, fucina di intelligenze e professionalità.
Meglio tornare alla tavola, a quel suo essere rito, devozione, festa, occasione di incontro, anche quando essa non è quella allestita per il buon Giuseppe, Maria, il bambin Gesù e i 13 apostoli, doverosamente scelti e invitati a consumare le 13 portate, tutte a base di magro, cereali, verdure, olio extravergine di oliva, pesce, baccalà e un bicchiere di buon “Montepulciano" o di "Tintilia del Molise”, entrambi Doc.
Un manuale di cucina a partire dalle salse e dalle conserve, per poi passare alle minestre, alle fritture, alle carni, ai pesci, ai dolci e ai biscotti, ma, anche di preparazione di marmellate, rosoli e ben due poncio, un liquore che è tanta parte della tradizione molisana. In pratica tutto quello che si poteva preparare e conservare, soprattutto per gli ospiti o nei periodi invernale, delle grandi nevicate. A proposito della neve il ricordo delle strutture,” i nevére”, diffuse in questo territorio, che servivano per donare ghiaccio durante l’estate anche ai territori circostanti fino al foggiano, I nevére, come i salumi e gli insaccati, davvero prelibati, fonti di scambi e di commercio, e anche, d’immagine.
Un bel libro il Ricettario di Luisa Agostinelli, che riporta a un tempo passato, oggi, visto che si parla di cibo e di cibo di qualità, di grande attualità.
La donna, la cucina e il linguaggio del buon cibo nei primi anni del novecento.
Il libro presentato ieri sera a Montorio dei Frentani nella piazza antistante la chiesa subito dopo gli spari in onore di San Rocco, dal Sindaco Nino Ponte, da me e dal curatore del libro, Bruno Zappone.
Un libro a cura di quest’ultimo, nipote dell’autrice, uscito, pochi giorni fa, per conto della Editrice Lampo di Ripalimosani Bruno, di Montorio, da tempo vive a Lecce dove svolge la professione di avvocato. Molto bella la sua dedica a Imma, facendo propria la frase del filosofo, scrittore francese, anche lui avvocato, Denis Diderot: “Quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna nell’arcobaleno e asciugare le pagine con la polvere delle ali delle farfalle”.
Ricettario manoscritto con uno dei pennini calligrafici del tempo, a punta sottile, per una scrittura minuta, sobria, forte, sottile, bella , chiara, facile da legge, come a rappresentare il carattere della scrittrice, Donna Luisa. Bruno Zappone racconta, nella sua introduzione, di questa nonna mai conosciuta ma che ha ritrovato e sentita nelle stanze da lei vissute;, negli oggetti da lei usati, nel ricettario da lei scritto. Il buon cibo, la sua qualità che è sempre nell’origine, il territorio, cioè una realtà fatta di paesaggi e di ambienti, storia e cultura, tradizioni.
Una realtà, bene comune, che il cibo bene rappresenta spesso da protagonista.
Il cibo è l’atto del mangiare, non solo un assaporare, gustare, o, nel peggiore dei casi, strafogare. Un rito, un simbolo dell’incontro, la tavola, dello stare insieme, il convivio. Un atto che riporta alla storia, alla cultura, alla terra, alla fertilità del suolo, all’agricoltura e ai suoi protagonisti, i coltivatori, e, a un mondo, quello rurale, con le donne assolute protagoniste.
La terra che le ricette di Donna Luisa raccontano.
Di origine di Bonefro, passata per Montelongo, sposata a Montorio e con frequentazioni a Larino, grazie a parenti, che qui si erano sistemati in quella villa davvero bella, stile Liberty, che è la Villa Zappone.
Da sempre parte dell’Anfiteatro romano, uno dei quattro anfiteatri dell’antichità - con quello sannitico di Pietrabbondante, di Venafro e di Altilia - presenti sul territorio molisano . Un luogo magico con le stanza affrescate piene di simboli dal preciso significato.
Una stupenda struttura, che, da tempo ormai, aspetta di essere il luogo della storia dei Frentani, il popolo che ha visto Larino antica capitale e, che, non a caso Montorio, riporta nel nome che gli è stato dato.
La terra della biodiversità, della ritualità, della tavola sempre imbandita per l’innata ospitalità.
La terra, con altri luoghi del Molise, de “La Tavola di San Giuseppe”, a simboleggiare il saluto al risveglio della natura, della primavera, con le primizie protagoniste, in particolare gli asparagi di bosco. Il rito dell’amicizia, della condivisione, dell’attenzione ai più bisognosi, del dono , ma anche e soprattutto della presentazione dei prodotti e dei piatti - dalle salse alle conserve; dalle ministre ai primi piatti, dai salumi al pesce, dai legumi (a pezzènte) ai biscotti - di una cucina sana, fonte di salute. Basti pensare al focolare; alle pignate, in riga sulla soglia del camino, che lasciano cuocere lentamente i legumi; la pasta con la mollica, le pagnotte di pane, gli ortaggi, nella gran parte conservati come a raccontare l’orto dell’anno da poco passato.
E, poi, il Baccalà, un tempo il pesce dei poveri, oggi di palati prelibati e, come tale, diventato caro.
La tavola che racconta il passato. Quel passato che la pandemia, con il cibo, ha riportato alla luce e reso di grande attualità, proprio per il suo riferimento puntuale alla salute. E’ il cibo che ridà al passato la continuità persa per colpa di un sistema, il neoliberismo predatorio e distruttivo con il mito del “progresso” che vuol dire consumismo sempre più esasperato, cibo spazzatura. Un cibo, oggi, sotto processo là dove è stato inventato e si è più diffuso, Stati Uniti e Inghilterra, visto che il presidente di questo paese ha dichiarato di volerlo bandire.
Con il cibo spazzatura viene processato anche il suo modello di distribuzione, fast food e grande distribuzione. Modelli che trovano ancora spazio propri qui nel nostro Molise dove si parla di nuove aperture, nella stessa Campobasso che sembrava già satura.
Furto di territorio e non solo, di storia, cultura. Fine del piccolo commercio dopo la fine dell’artigianato, fucina di intelligenze e professionalità.
Meglio tornare alla tavola, a quel suo essere rito, devozione, festa, occasione di incontro, anche quando essa non è quella allestita per il buon Giuseppe, Maria, il bambin Gesù e i 13 apostoli, doverosamente scelti e invitati a consumare le 13 portate, tutte a base di magro, cereali, verdure, olio extravergine di oliva, pesce, baccalà e un bicchiere di buon “Montepulciano" o di "Tintilia del Molise”, entrambi Doc.
Un manuale di cucina a partire dalle salse e dalle conserve, per poi passare alle minestre, alle fritture, alle carni, ai pesci, ai dolci e ai biscotti, ma, anche di preparazione di marmellate, rosoli e ben due poncio, un liquore che è tanta parte della tradizione molisana. In pratica tutto quello che si poteva preparare e conservare, soprattutto per gli ospiti o nei periodi invernale, delle grandi nevicate. A proposito della neve il ricordo delle strutture,” i nevére”, diffuse in questo territorio, che servivano per donare ghiaccio durante l’estate anche ai territori circostanti fino al foggiano, I nevére, come i salumi e gli insaccati, davvero prelibati, fonti di scambi e di commercio, e anche, d’immagine.
Un bel libro il Ricettario di Luisa Agostinelli, che riporta a un tempo passato, oggi, visto che si parla di cibo e di cibo di qualità, di grande attualità.
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