“Cambiamo subito o sarà la fine”


una interessante intervista a Alexandria Ocasio-Cortez

Un anno fa, AOC diventava il più giovane membro del Congresso nella storia degli Stati Uniti. Per l'occasione abbiamo parlato con lei del suo Green New Deal, di come i Repubblicani stanno "prendendo il futuro" e di come vincere l'ansia per il clima

Foto di Daniel Dorsa

Prima di Alexandria Ocasio-Cortez il Green New Deal semplicemente non esisteva. Era solo uno slogan che usciva dalla bocca di giornalisti e attivisti ambientalisti, finché lei, il giovanissimo fenomeno della politica americana, non ci ha puntato la sua carriera. Solo un mese dopo aver giurato come più giovane membro del Congresso nella storia degli Stati Uniti, Ocasio-Cortez e il senatore Ed Markey hanno presentato una risoluzione di 14 pagine che spiegava i principi di base che i due sperano possano diventare le fondamenta della legislazione sul clima del prossimo decennio.
Un programma per salvare il pianeta non dovrebbe essere una cosa politicamente controversa, eppure gli scettici di ogni parte politica hanno trovato in quelle 14 pagine buoni motivi per odiarlo. L’idea è stata presa in giro dai Repubblicani – anche se alcuni, come Matt Gaetz con il suo Green Real Deal, hanno provato a copiarla – e giudicata troppo audace dai Democratici, compresa la speaker della Camera Nancy Pelosi. Ma l’ambizione è sempre stata la caratteristica fondamentale del Green New Deal, e in appena un anno ha già cambiato drasticamente il modo in cui a Washington si parla della crisi climatica. 
Quest’inverno, la Commissione sull’Energia e il Commercio della Camera ha pubblicato un piano in cui si afferma l’intenzione di trasformare gli Stati Uniti in un’economia completamente dipendente da fonti energetiche pulite entro il 2050 – mettendoci il triplo del tempo rispetto ai 10 anni invocati dal Green New Deal, ma comunque un enorme passo avanti rispetto alla legislazione e alle idee che circolavano in precedenza sul tema.
A gennaio, Rolling Stone ha incontrato Alexandria Ocasio-Cortez per parlare con lei del suo primo anno in politica, delle sue ansie per il clima e del suo piano per risolvere i problemi degli Stati Uniti. 
Un sacco di persone ultimamente stanno avendo il loro momento di realizzazione riguardo al cambiamento climatico – il momento in cui si svegliano e si rendono conto della gravità e della scala della crisi. Qual è stato il tuo? 
Credo che nel mio caso sia avvenuto in due fasi. Il primo momento è arrivato durante le proteste di Standing Rock: io ero lì con le comunità di nativi americani. Era la loro terra, che avevano ottenuto in un trattato con gli Stati Uniti, trattato che noi abbiamo deciso di violare perché l’industria dei combustibili fossili ha sostanzialmente comprato la nostra politica. Il solo fatto di essere lì e vedere come le persone si organizzavano per resistere ai blindati e alla polizia armata – e non era l’esercito americano a cui queste persone resistevano: erano le guardie armate di un’azienda, una multinazionale petrolifera – è stato il mio primo momento di realizzazione, perché non è solo una questione di scienza, è anche una questione che riguarda il sistema che protegge chi ha il potere e le conclusioni della scienza le rifiuta. Ma in termini di scala, il secondo momento del genere è stato l’anno dopo in occasione dell’uragano Maria. Per l’uragano ho perso mio nonno.
Non lo sapevo. Com’è successo?
Era in ospedale a Porto Rico durante l’uragano. È una delle vittime che non vengono contate nelle statistiche. In tutta l’isola è andata via la corrente e le strade e i ponti erano così danneggiati che non si potevano trasportare le medicine. E mio nonno è morto in ospedale. Il punto è che non posso dire “l’uragano ha ucciso mio nonno”. Perché non lo sappiamo. È morto perché non gli sono arrivate le medicine in tempo? Non c’era l’elettricità e non poteva comunicare con la mia famiglia. Era anche il momento in cui il governo ufficialmente affermava che fossero morte solo 64 persone. In realtà sappiamo che il numero vero è sulle migliaia.
Il Green New Deal è stata la tua priorità numero uno quando sei entrata al Congresso. Quando hai pubblicato la tua prima risoluzione al riguardo si è detto che fosse formulata in modo vago per ottenere il sostegno della più larga coalizione possibile di deputati. Riuscirai a ottenere lo stesso risultato su dettagli specifici del tuo piano?
Il Green New Deal è stato formulato in quel modo apposta, perché era molto importante per noi far uscire una serie di principi di base che illustrassero la nostra visione. Non importa di che tipo di politiche discutiamo, devono seguire questi tre principi fondamentali. Il primo è la riduzione a zero delle emissioni in 10 anni. Il secondo è la creazione di posti di lavoro – questa deve essere una politica industriale per creare milioni di posti di lavoro e fornire uno stimolo economico alla classe lavoratrice, non a Wall Street. E il terzo è che dobbiamo mettere al centro del discorso le comunità che vivono già sulla linea del fronte dei cambiamenti climatici, per assicurarci che le politiche che adottiamo non siano solo economicamente positive e scientificamente fondate ma anche socialmente giuste.
Ottenere la più vasta coalizione possibile a sostegno di questi tre principi fondamentali è incredibilmente importante perché ci sgombra il campo da un sacco di battaglie future. La polarizzazione di opinioni sul tema è un prodotto artificiale del conflitto tra le organizzazioni dei lavoratori e i gruppi ambientalisti, e questa risoluzione prova ad andare oltre quel conflitto. Aderendo a questi principi, possiamo portare i secondi a dire “dobbiamo sostenere misure per il benessere economico dei lavoratori” e le prime a dire “dobbiamo sostenere la riduzione delle emissioni e il sostegno per le vittime del climate change”.
Com’è andata la redazione della prima bozza della risoluzione?
È stato un processo molto complicato perché volevamo scrivere una risoluzione che venisse davvero dal basso. La sfida ulteriore era che anche tra le organizzazioni no profit c’è una specie di gerarchia. Un sacco di gruppi attivi a Washington sono composti da persone bianche e ricche. Abbiamo ricevuto un sacco di input da gruppi del genere ma abbiamo fatto anche un gran lavoro per riceverne da rappresentati delle comunità più colpite dal problema. Siamo stati in grado di lavorare con organizzazioni come Climate Justice Alliance, che mette insieme prospettive native americane e nere. Quindi gran parte delle difficoltà hanno avuto a che fare con l’accertarci di lavorare contemporaneamente con la scienza, l’economia e le comunità.
Hai messo così tanto impegno in questa risoluzione solo per vederla demolita e ridicolizzata dai Repubblicani. Com’è stato?
Be’, da una parte sapevamo che ci sarebbe stata una reazione di questo tipo. Erano già sei mesi che venivamo attaccati senza sosta da Murdoch e da Fox News. Però è stato anche molto frustrante. Ma tutte le argomentazioni che hanno usato contro il progetto sapevamo già che le avrebbero utilizzate, e sono argomentazioni vecchie: “salvare il pianeta ucciderà la nostra economia”. Perché il lavoro dei Repubblicani è questo. È dire che il mondo finirà se si permette anche a una sola idea progressista di venire applicata.
Secondo te cosa dovrebbe succedere per potere avere un dibattito sincero con i Repubblicani sul tema del cambiamento climatico?
Be’, non dovrebbe più esserci il leader di maggioranza al Senato Mitch McConnell. Ci vuole un altro presidente. Ci vuole un mondo post-Trump. Ma penso che proprio perché hanno puntato così tanto su di lui, anche loro sono preoccupati dal comportamento di Trump. Questa settimana ero su un aereo di ritorno dall’Iowa e ho incontrato un deputato repubblicano al Congresso. “Come va sul campo?” mi ha chiesto, e io gli ho detto, “C’è grande energia. Un sacco di organizzazioni di attivisti, un sacco di entusiasmo”. E lui: “Sì, sì, settimana prossima arriva Trump. Porterà anche lui un sacco di energia”. E ho pensato che il suo commento era interessante perché sottintende che l’energia e l’entusiasmo nel campo Repubblicano siano collegati a una singola persona. Il presidente ne ha il monopolio ed è per questo che il partito gli è così fedele. Ma quando sei così dipendente da una persona è un problema. Per cui anche se penso che ci sia ben poco da discutere sul cambiamento climatico in un mondo in cui ci sono Trump e McConnell, la mia proposta non è pensata per un mondo in cui ci sono Trump e McConnell. 
Hai parlato spesso di quanto è potente la lobby dell’industria fossile e di come i fratelli Koch si sono sostanzialmente comprati il partito Repubblicano. Da quando sei arrivata al Congresso hai visto gli effetti di questa cosa? 
I Repubblicani faranno sempre finta di essere ognuno un individuo con i suoi valori, ma in fin dei conti è tutta una finzione perché votano sempre tutti allo stesso modo. La maggior parte dei Repubblicani vota come vota Steve King, il deputato dell’Iowa: ecco, Steve King è un suprematista bianco, e la maggior parte dei Repubblicani – anche se cercano di distanziarsi dalla sua retorica – vota come lui. Magari mi chiamano “signorina” e mi tengono aperte le porte dell’ascensore se mi vedono, ma poi votano a favore di leggi che distruggono famiglie e comunità.
Detto ciò, credo che si stiano spaventando. Nell’ultimo anno, da quando ho introdotto il Green New Deal, vedo sempre più imbarazzo nei confronti delle loro posizioni negazioniste sul tema. All’invio dell’anno scorso sentivamo dire cose come “il cambiamento climatico non esiste” e “gli scienziati non sono d’accordo al riguardo”. All’inizio di quest’anno – un anno dopo – sentiamo cose come “a tutti noi importa dei cambiamenti climatici. È importante abbattere le emissioni. Però bisogna farlo in modo attento all’economia”. Il cambiamento è notevole anche dentro il partito Repubblicano. Penso che mostri quanta paura hanno di farsi trovare impreparati su quella che sanno essere la questione del futuro. E da quando c’è stata l’alluvione del Midwest sanno che non perdendo su questo tema non perdono solo il futuro, perdono anche il presente.
E invece per quanto riguarda i Democratici? Nel 2009-2010 avevano la maggioranza alla Camera e 60 voti al Senato, eppure non sono stati in grado di passare una legge molto blanda sul clima. Credi ci si possa fidare del partito Democratico perché affronti il cambiamento climatico in modo sostanziale?
A questo proposito credo che sia essenziale chi sta alla Casa Bianca. Per quanto riguarda il partito, le tendenze di base ci sono. Ma c’è anche un’ala influenzata dalle lobby che bloccherà qualsiasi cambiamento sostanziale. Per questo serve l’appoggio della Casa Bianca.
Qual è la strategia per sostenere un’agenda politica progressista sul tema dei cambiamenti climatici sotto la presidenza di Bernie Sanders e quale quella sotto la presidenza di Joe Biden? 
Bernie comprende perfettamente i tre principi contenuti nel Green New Deal e lotta per questa cosa da tanto, tantissimo tempo. Per cui non avrà paura di mettere alle strette chi deve mettere alle strette per avere i voti che gli servono. E penso che si renda anche conto della malafede del partito Repubblicano, una cosa che molti Democratici invece non vedono. Sono qui da tanto tempo e pensano che si possa tornare indietro agli anni Novanta, ma quella nave è salpata. È andata. Penso che Sanders capisca questa cosa, mentre Biden no. Lui pensa che Trump sia un’aberrazione e che una volta sconfitto Trump tutto tornerà alla normalità e che lui possa, non so, giocare a basket con dei Repubblicani e convincerli a votare per quello che propone. Non penso che questa sia più la realtà. Anche se capisco il profondo desiderio di andare oltre questo periodo di polarizzazione politica, al momento la situazione è questa e bisogna farci i conti. Non vuol dire che dobbiamo marciarci, ma non vuol dire nemmeno che dobbiamo cercare di essere bipartisan a tutti i costi. Non si tratta di far passare le cose perché riusciamo a convincere i Repubblicani a votarle. Si tratta di far passare le cose perché migliorano la vita delle persone. 
Nel 2016 Hillary Clinton, parlando del costo in termini di posti di lavoro della transizione da un’economia basata sui combustibili fossili a una verde, ha detto: “Un sacco di aziende chiuderanno e un sacco di minatori perderanno il lavoro”. Qual è la tua strategia per smettere di dipendere dal carbone e allo stesso tempo proteggere quei posti di lavoro? 
Sono contenta che mi fai questa domanda perché mi permette di mostrare come l’approccio del Green New Deal sia fondamentalmente diverso dalla politica sul clima tradizionale dei Democratici. È un approccio vincente. Ci fa vincere elezioni in bilico, come quella per il governatore del Kentucky – vinta grazie al messaggio del Green New Deal. E il motivo è che mettiamo al centro queste comunità, io ho incontrato lavoratori del settore e mi sono impegnata a difendere le loro pensioni. Perché mentre le aziende estrattive usano i lavoratori per ottenere salvataggi dopo salvataggi, una volta che gli diamo i soldi pubblici non li fanno arrivare ai lavoratori. Non arrivano alle famiglie di chi il carbone lo scava. Non arrivano nelle loro pensioni. Noi siamo qui per lottare per questo. Perché non ci interessa trasformare i magnati del petrolio in magnati dell’energia solare. Dobbiamo assicurarci che la nostra economia metta al primo posto i lavoratori. 
Come rispondi a chi sostiene che i Democratici non stiano facendo abbastanza in campo climatico e intende votare per un candidato dei Verdi alle prossime elezioni? 
Se vuoi un vero terzo partito – un forte partito Verde, un partito indipendente, ecc – devi costruirlo, prima. La presidenza non serve a costruire un partito. Devi far crescere la partecipazione. È quello che i membri dei Democratic Socialists of America stanno facendo in tutto il Paese. Non stanno cercando di costruire un terzo partito, per il momento, si concentrano sul vincere elezioni locali e lavorare partendo dal basso. E penso che ora come ora ci sia troppo in gioco. Dobbiamo renderci conto che il governo attuale è una minaccia per un sacco di gente e dobbiamo assolutamente eleggere un Democratico quest’anno. 
Pensi che si possa far crescere l’economia e allo stesso tempo tagliare le emissioni? È uno degli argomenti preferiti dai Repubblicani ma c’è anche chi sostiene in buona fede che queste politiche progressiste possono venire applicate solo a costo di ridurre il consumo e prepararsi a una riduzione del PIL.
Penso che dipenda tutto da come misuriamo la nostra economia. Certo il piano è una minaccia per l’industria dei combustibili fossili, che è tra i finanziatori principali dei Repubblicani. Quindi per i Repubblicani si tratta di un brutto colpo al loro potere economico. Ma penso che questa transizione voglia dire un generale aumento del benessere per la maggior parte delle persone, perché i combustibili fossili sono un caposaldo di un sistema che crea un livello osceno di disuguaglianza. La nostra economia è estrattiva – devi estrarre risorse dalla terra e dalle persone per farla crescere. 
Se ti svegli in piena notte in ansia per la crisi climatica, a cosa pensi prima di tutto? 
Penso alle famiglie che non hanno la possibilità di scappare. Penso al fatto che il nostro sistema è interconnesso e che gli effetti dei cambiamenti climatici arrivano a colpire tutti. Per esempio gran parte dell’infrastruttura di internet si trova sulla costa est. Diciamo che arriva un uragano particolarmente grosso: anche se è una cosa solo temporanea, può causare inondazioni che colpiscono i server principali e far andare offline buona parte di internet proprio nel momento in cui i soccorritori ne hanno bisogno per capire dove andare. Può rendere inservibili gli aeroporti per cui non si possono mandare aiuti. Può mettere fuori uso i trasporti. Basta poco e le persone rimangono senza niente da mangiare per 24 o 48 ore. O senza acqua. La mia famiglia è dovuta passare attraverso un evento del genere: a Porto Rico sono morte migliaia di persone, e si tratta solo di una piccola isola. Cosa succederà quando arriverà una cosa del genere in un posto con molti più abitanti? Questi pensieri mi tengono sveglia la notte. E i Repubblicani mi prendono in giro perché dico che mi viene l’ansia al pensiero di avere dei figli. 
Stavo giusto per chiederti di quello. La crisi climatica ha cambiato i tuoi programmi di vita: dove vivrai, se avrai dei figli…
Vivo e rappresento una città che nel corso della mia vita subirà enormi cambiamenti, a partire dalla sua geografia. La stessa forma di New York sulle mappe cambierà drammaticamente. E questa cosa costringerà molte persone a spostarsi. Di recente stavo leggendo The Uninhabitable Earth di David Wallace-Wells, e a un certo punto parla della curva delle possibilità che ci rimangono: dalle stime più caute, se tagliamo immediatamente le emissioni, riusciamo a contenere l’aumento delle temperature entro i 4 gradi. Quattro gradi vuol dire che metà della Terra diventa inabitabile. Questo è quello che mi preoccupa. Il fatto è che Mitch McConnell non sarà vivo quando succederà. È matematica. Mi spiace dirlo. Donald Trump non vedrà quel mondo. Lo vedranno i suoi nipoti.
Come combatti la percezione di essere condannati? Come fai a non diventare nichilista? 
Mi aiuta molto la mia famiglia. Non penso sia una questione di ottimismo. Non sono qui a dire, “arriveremo noi e salveremo il mondo”. Ma vedere come la mia famiglia si è adattata alle conseguenze dell’uragano – quello che sta accadendo a Porto Rico è quello che molte persone dovranno vivere tra 10 anni. In un modo o nell’altro. È una possibilità. Ma il modo in cui ho visto le persone adattarsi e andare avanti mi aiuta molto. Non è divertente, non lo è affatto, ma penso che le comunità possano sopravvivere.
Ma non voglio essere irresponsabile nel dirlo, perché penso che le prossime generazioni guarderanno indietro a questo periodo storico e penseranno a quanto eravamo privilegiati. Oggi, in ogni istante, stiamo vivendo nel momento più caldo della storia e nel momento più freddo del futuro.

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