Lettera Babbo Natale

Caro Babbo Natale,
è la prima volta che ti scrivo e sarà l’ultima, anche perché sono verso il tramonto della vita. Quando ero all’inizio non sapevo di te e al tuo posto c’era uno zio che mi regalava due mandarini e qualche fico secco.
Non ti chiedo regali, anzi vorrei che tu ne facessi meno, molti sono inutili. Ti chiedo però una cosa: quando passi su questo nostro meraviglioso ma infelice Paese (o anche quando ripassi, visto che non scendi mai sotto Lampedusa e te ne torni difilato al Nord) cerca se ti è possibile di far calare una invisibile benefica pioggerellina di fiducia e ottimismo che ci sollevi l’anima, una sorta di manna spirituale. Ne abbiamo molto bisogno per rialzare la testa.
Tu sai che noi siamo diversi dai popoli del Nord. Meno razionali e più sentimentali, facili all’applauso e al ripensamento; ci lasciamo incantare dalle promesse. Siamo ancora un poco bambini. Da noi hanno successo i santi, i maghi, gli astrologi e anche i malfattori che portano la cravatta. Siamo ancora un popolo disomogeneo con tante capacità individuali ma riluttanti all’idea di bene comune e consideriamo lo Stato (direi il Governo) un padrone di cui diffidare. Purtroppo i fatti ci danno spesso ragione. Abbiamo una democrazia ancora minacciata e sotto la tutela di chi non accetta ribellioni ed è pronto a trasformare il sorriso in una zampata come fanno i padroni. Non meritavamo, tuttavia, una classe politica così disastrata, impreparata, improvvisata, litigiosa, allergica alle idee.
Per anni abbiamo sperperato le riserve pubbliche e ci siamo indebitati. Ora siamo nei guai ma continuiamo a sperperare e come in ogni crisi aumenta il divario tra benestanti (sempre meno) e poveri (sempre più). Aumentano le paure che ci fanno più individualisti e ci inducono a chiuderci in difesa sperando che arrivi qualcuno a salvarci. Noi aspettiamo sempre un salvatore anche se in passato chi si è proposto ci ha deluso e a volte rovinato. Abbiamo anche perduto il senso del sacrificio, consideriamo la cultura un peso e preferiamo il pallone al libro. Se passando ci senti urlare è perché ora non abbiamo punti di riferimento e le idee sono un poco confuse. Cambiamenti troppo rapidi ci hanno disorientato e invece di essere più uniti siamo più divisi e litigiosi. Urliamo molto e ragioniamo poco. Ci siamo impoveriti di cultura, di valori, di ideali e quel che è peggio non ce ne rendiamo conto invece ci siamo caricati di paure che generano odio.
Sarebbe il momento di alzare la testa, diventare padroni del nostro futuro, non seguire più gli imbonitori. Occorre orgoglio, senso dello Stato, meno furbizia individualistica. Capire che per avere bisogna dare. Perciò ci vorrebbe quella pioggerellina che chiedevo a te.
Non pensare che somiglio a quelli che critico e che non vedo la trave nel mio occhio. So bene che mi rivolgo a un finto vecchio travestito per chiedere un miracolo che può venire solo da noi stessi. Lo so e per questo non ti invierò questa lettera. Ti confesso anche che ho fiducia: tra le nostre virtù c’è la capacità di riprenderci all’ultimo momento e vincere quando sembra che tutto sia perduto. Tra noi c’è tanta gente capace, di ingegno e di buona volontà. Ci sono ottimi professionisti, grandi lavoratori e addirittura eroi, silenziosi, invisibili. E’ vero, abbiamo allevato (ce ne dovremmo vergognare se ce ne rendessimo conto) una generazione viziata dal benessere, cresciuta a merendine telefonini sniffate e discoteche, allergica ai libri e a ogni forma di cultura ma ora ne sta venendo su una diversa, decisa e informata. Spero che non sia una illusione, un fuoco di paglia. Anche le donne rifiutano la divisione dei vecchi ruoli di uomini per la produzione e donne per la riproduzione e reclamano un posto sociale rivalutato. I più giovani hanno voglia di partecipare, di fare, di pensare. Non so quanti sono ma aumenteranno. Vedrai, se ne accorgeranno anche i politici alla fine e dovranno stare molto attenti quando crescerà il nostro orgoglio ed esigeremo che sappiano fare il loro lavoro. Francamente, vorrei che quelli attuali scomparissero ma per ora non abbiamo ricambi e quelli sono incollati al potere che regala privilegi.
Tu continua a pensare ai bambini ma, ti prego, non regalare giochi elettronici. Debbono imparare subito ad adoperare la mente, prepararsi alla lotta della vita, sentire con orgoglio di appartenere a un popolo ancora capace di dare, non solo in-struiti ma anche e-ducati.
E, poi, vorrei vederti meno in giro: il nostro Natale non sei tu o almeno non solo tu. Le nostre tradizioni sono altre, hanno radici profonde e non improvvisate, alimentate dalla terra che ci ha nutrito e che noi abbiamo modellato anche se poi l’abbiamo trascurata. Abbiamo una cultura che ha illuminato il mondo anche se poi ci siamo addormentati. Il nostro Natale invita a nuova vita, a rinascere; tu sei un ospite: ti vogliamo accogliere ma a patto che non spadroneggi. Non ci piace il nazionalismo che si rinchiude urla e minaccia per paura, preferiamo sentirci parte di una Comunità più larga e più umana ma conserviamo l’amore per il nostro Paese che sa ospitare chi lo rispetta e impara ad amarlo.
Buon Natale.

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