Un sorso di “Tintilia del Molise”
È sempre un piacere parlare di un testimone principe del
territorio molisano, il vino Tintilia, ed è stato bello farlo nel Molise, a
Bojano, capitale riconosciuta dell’antico Sannio.
Un vino rosso (tinto) che racconta la Spagna, quale terra di origine, e, anche, la Francia per averlo adottato e, poi, portato nella capitale, nel periodo in cui, prima metà dell’800, nel Regno di Napoli c’erano i francesi. Da lì il trasferimento facile nella Provincia più vitata del Regno qual era il Molise. Terra di vini bianchi, soprattutto nelle aree interne, intorno a Campobasso e intorno a Isernia, dove appagava la gran parte dei viticoltori e dei consumatori, che, parlando del vino, lo hanno sempre inteso rosso.
Tant’è che nelle cantine di Campobasso e d’intorno chiedere un bicchiere o una bottiglia di vino rosso si diceva semplicemente, “dammi una tintilia (damme na tenteje). Tutto questo fino a quando le cantine erano diffuse e svolgevano un ruolo sociale importante. E, anche, fino a quando le minute vigne di Tintilia hanno resistito all’attacco ricevuto da una programmazione che ha scelto, agli inizi degli anni ’60, le colline che guardano da vicino l’Adriatico per lo sviluppo della nuova vitivinicoltura molisana e privilegiato fondamentalmente due vitigni, il “Trebbiano” ed il “Montepulciano”, che scendevano direttamente dall’Abruzzo.
Alla fine degli anni ’80 già non si parlava più di Tintilia, fino a quando istituzioni come Università e Ente di sviluppo, imprenditori illuminati, tecnici e comunicatori esperti di enologia - chi intorno a un banco di laboratorio, chi sulla cattedra, chi alla sua ricerca nei campi e chi intorno a una tavola imbandita - non cominciarono a riparlare, con tanta passione, dei suoi acini spargoli, della poco produzione e della grande bontà.
Michele Tanno, l’agronomo, era il più appassionato di tutti, in giro a ricercare le vigne o i tralci rimasti, insieme con il disegnatore della farfalla di “Piacere Molise”, Ro Marcenaro, che lo raccontava a tutti.
Un momento importante quello che stava succedendo nella prima metà degli anni ’90 con la riscoperta del vino Tintilia.
La nuova considerazione ricevuta l’ha portato a essere, nel 1966, una delle 17 tipologie della nuova Doc “Molise o del Molise” ed a fare il salto definitivo nel 2011 con il riconoscimento di una Doc tutta sua, “Tintilia del Molise”, prodotta nei vigneti coltivati, sopra i 200 s. l. m., in 60 comuni della Provincia di Campobasso e 15 della Provincia di Isernia.
Il limite dei 200 metri minimi di altitudine si era reso necessario già con l’inserimento nelle Doc “Molise o del Molise” per far riconquistare a questo vitigno il suo territorio naturale e non ritrovarlo confuso tra i vitigni delle colline basse. Quelle che guardano il mare Adriatico da vicino, che tanto rappresentano la rinascita della vitivinicoltura nella seconda più piccola regione d’Italia.
Una ripresa lenta ma significativa dopo l’uscita, 1999, della prima bottiglia “Tintilia del Molise” dell’azienda Di Majo Norante di Campomarino, a me cara per la riproduzione in etichetta di un angolo del mosaico più bello, quello del leone, ritrovato nella mia Larino, già capitale dei Frentani. Poi altri produttori a segnare la storia bella che vive oggi il vino “Tintilia” con le medaglie e gli applausi ricevuti in occasione delle premiazioni nei più importanti concorsi, nazionali e internazionali. Il suo sapersi accompagnare, con la delicatezza propria dell’essere molisano, ai vini italiani più noti e più blasonati.
E’ così che è diventato il testimone principe del territorio molisano e dell’immagine di un Molise che c’è e vuole dire la sua, anche con le sei indicazioni geografiche riconosciute, con l’olio “Molise” Dop extravergine a fare da traino, e i suoi 150 e più prodotti tradizionali, tra i quali spiccano, bontà come la “Pampanelle di San Martino in Pensilis”, la “Stracciata”, il “Fagiolo di Acquaviva di Isernia”, la “Ventricina della Valle del Trigno”, l’”Ostia d Agnone”, la “Pezzata di Capracotta” e altro ancora.
Per essere ancor più testimone e immagine del Molise, la motrice possente del treno delle bontà e delle bellezze del Molise, il “Piacere del Molise”, serve l’unità di tutti i suoi produttori dentro il consorzio di tutela; il dialogo costante produttori e istituzioni, in primo luogo i Comuni; una programmazione dello sviluppo con l’agricoltura, la zootecnia e la forestazione perni dello stesso; una reale strategia di comunicazione che guarda lontano, e, ciò è possibile se poggia su strutture, strumenti e, ancor più, professionalità capaci di tessere il racconto del Molise, delle sue risorse e dei suoi valori.
L’invidia, un male tipico del mondo contadino, non solo molisano, non produce, ma fa perdere solo tempo e occasioni. E’ un freno possente, la forbice che da sempre taglia le ali al Molise, e, nel caso da me qui considerato, le ali di rosso colorate di un vino al femminile, come la “Barbera” la “Tintilia” o semplicemente “Tintilia”
Pasquale Di Lena
Un vino rosso (tinto) che racconta la Spagna, quale terra di origine, e, anche, la Francia per averlo adottato e, poi, portato nella capitale, nel periodo in cui, prima metà dell’800, nel Regno di Napoli c’erano i francesi. Da lì il trasferimento facile nella Provincia più vitata del Regno qual era il Molise. Terra di vini bianchi, soprattutto nelle aree interne, intorno a Campobasso e intorno a Isernia, dove appagava la gran parte dei viticoltori e dei consumatori, che, parlando del vino, lo hanno sempre inteso rosso.
Tant’è che nelle cantine di Campobasso e d’intorno chiedere un bicchiere o una bottiglia di vino rosso si diceva semplicemente, “dammi una tintilia (damme na tenteje). Tutto questo fino a quando le cantine erano diffuse e svolgevano un ruolo sociale importante. E, anche, fino a quando le minute vigne di Tintilia hanno resistito all’attacco ricevuto da una programmazione che ha scelto, agli inizi degli anni ’60, le colline che guardano da vicino l’Adriatico per lo sviluppo della nuova vitivinicoltura molisana e privilegiato fondamentalmente due vitigni, il “Trebbiano” ed il “Montepulciano”, che scendevano direttamente dall’Abruzzo.
Alla fine degli anni ’80 già non si parlava più di Tintilia, fino a quando istituzioni come Università e Ente di sviluppo, imprenditori illuminati, tecnici e comunicatori esperti di enologia - chi intorno a un banco di laboratorio, chi sulla cattedra, chi alla sua ricerca nei campi e chi intorno a una tavola imbandita - non cominciarono a riparlare, con tanta passione, dei suoi acini spargoli, della poco produzione e della grande bontà.
Michele Tanno, l’agronomo, era il più appassionato di tutti, in giro a ricercare le vigne o i tralci rimasti, insieme con il disegnatore della farfalla di “Piacere Molise”, Ro Marcenaro, che lo raccontava a tutti.
Un momento importante quello che stava succedendo nella prima metà degli anni ’90 con la riscoperta del vino Tintilia.
La nuova considerazione ricevuta l’ha portato a essere, nel 1966, una delle 17 tipologie della nuova Doc “Molise o del Molise” ed a fare il salto definitivo nel 2011 con il riconoscimento di una Doc tutta sua, “Tintilia del Molise”, prodotta nei vigneti coltivati, sopra i 200 s. l. m., in 60 comuni della Provincia di Campobasso e 15 della Provincia di Isernia.
Il limite dei 200 metri minimi di altitudine si era reso necessario già con l’inserimento nelle Doc “Molise o del Molise” per far riconquistare a questo vitigno il suo territorio naturale e non ritrovarlo confuso tra i vitigni delle colline basse. Quelle che guardano il mare Adriatico da vicino, che tanto rappresentano la rinascita della vitivinicoltura nella seconda più piccola regione d’Italia.
Una ripresa lenta ma significativa dopo l’uscita, 1999, della prima bottiglia “Tintilia del Molise” dell’azienda Di Majo Norante di Campomarino, a me cara per la riproduzione in etichetta di un angolo del mosaico più bello, quello del leone, ritrovato nella mia Larino, già capitale dei Frentani. Poi altri produttori a segnare la storia bella che vive oggi il vino “Tintilia” con le medaglie e gli applausi ricevuti in occasione delle premiazioni nei più importanti concorsi, nazionali e internazionali. Il suo sapersi accompagnare, con la delicatezza propria dell’essere molisano, ai vini italiani più noti e più blasonati.
E’ così che è diventato il testimone principe del territorio molisano e dell’immagine di un Molise che c’è e vuole dire la sua, anche con le sei indicazioni geografiche riconosciute, con l’olio “Molise” Dop extravergine a fare da traino, e i suoi 150 e più prodotti tradizionali, tra i quali spiccano, bontà come la “Pampanelle di San Martino in Pensilis”, la “Stracciata”, il “Fagiolo di Acquaviva di Isernia”, la “Ventricina della Valle del Trigno”, l’”Ostia d Agnone”, la “Pezzata di Capracotta” e altro ancora.
Per essere ancor più testimone e immagine del Molise, la motrice possente del treno delle bontà e delle bellezze del Molise, il “Piacere del Molise”, serve l’unità di tutti i suoi produttori dentro il consorzio di tutela; il dialogo costante produttori e istituzioni, in primo luogo i Comuni; una programmazione dello sviluppo con l’agricoltura, la zootecnia e la forestazione perni dello stesso; una reale strategia di comunicazione che guarda lontano, e, ciò è possibile se poggia su strutture, strumenti e, ancor più, professionalità capaci di tessere il racconto del Molise, delle sue risorse e dei suoi valori.
L’invidia, un male tipico del mondo contadino, non solo molisano, non produce, ma fa perdere solo tempo e occasioni. E’ un freno possente, la forbice che da sempre taglia le ali al Molise, e, nel caso da me qui considerato, le ali di rosso colorate di un vino al femminile, come la “Barbera” la “Tintilia” o semplicemente “Tintilia”
Pasquale Di Lena
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