Il fallimento delle politiche olivicole degli ultimi anni
Editoriali
05/07/2019 TEATRO NATURLE
Al Consiglio oleicolo internazionale, laddove si decidono le regole, hanno una direzione apertamente ostile alla politica della qualità per i prossimi quattro anni con la riconferma di Ghedira e Lillo.
di Alberto Grimelli
Le cisterne piene di olio extra vergine di oliva nazionale non sono frutto del caso. Il mondo olivicolo si è prostituito a quello del commercio e dell'industria. Sedotto e abbandonato, ora deve fare i conti con una crisi senza precedenti, che si aggraverà in au
Il mondo della rappresentanza olivicola ha fallito su tutta la linea.
Le cisterne di frantoi, organizzazioni dei produttori e cooperative restano piene di olio extra vergine di oliva: 71 mila tonnellate secondo il report Frantoio Italia al 1 luglio, dopo che l'Italia ha prodotto 175 mila tonnellate.
La quotazione dell'olio extra vergine di oliva nazionale, dopo un'annata disastrosa sotto il profilo quantitativo, è in calo, stabilmente sotto i 6 euro/kg di inizio campagna e ormai più vicina ai 5 euro/kg.
Le quote di mercato dell'olio italiano sul mercato nazionale stanno precipitando e sono passate dal 8-10% di 6-7 anni fa al 5% attuale.
Il mondo del commercio e dell'industria olearia, grazie alle delocalizzazioni, non solo non compra più olio nazionale ma non fa neanche più transitare l'olio comunitario ed extracomunitario dall'Italia, preferendo la vendita diretta estero su estero, così erodendo, mese dopo mese, le quote di mercato olearie italiane ma non i profitti di società che italiane di fatto non sono più.
Sono dati oggettivi del fallimento di una politica olivicola che si è prostituita al mondo industriale e del commercio, con contratti capestro, in larga misura neanche rispettati, che hanno via via indebolito la vera forza che l'olivicoltura era stata in grado di creare negli anni: la fiducia con i cittadini consumatori.
Le inchieste, i reportage e le battaglie su frodi e contraffazioni, sull'olio vero e sulla qualità sono state archiviate in favore di una pace che ha rafforzato solo il mondo industriale che ha avuto il tempo di riorganizzarsi, dopo gli scandali che l'hanno travolto.
Si è arrivati al punto che ci si lamenta della perdita delle quote di mercato dell'olio di oliva dall'Italia verso gli Usa, ovvero del fittizio negativo risultato dell'industria e commercio nazionale, ma non delle 100 mila tonnellate di olio italiano vendute in meno nella campagna 2018/19 rispetto alla precedente.
Non ci si lamenta, insomma, che gli olivicoltori e frantoiani non riescono a cedere il loro extra vergine nazionale ma che commercio e industria faticano, se è davvero così, a vendere il loro olio comunitario sui mercati internazionali.
Si è davvero capovolto il mondo!
Ci vuole una bella faccia tosta a chiedere agli olivicoltori e ai frantoiani, al mondo agricolo sano di questo Paese, di crederci ancora, di piantumare olivi, di raccogliere, di frangere, di imbottigliare, sapendo che il prezzo dell'olio italiano è destinato a scendere sotto i 3,5 euro/kg la prossima campagna olearia, ben sotto al costo di produzione reale.
Il mondo della rappresentanza olivicola lo sa, ma tace.
E' un silenzio colpevole, nascosto solo da qualche festa e banchetto: si balla prima che la nave affondi.
Vi è solo una via d'uscita: prendere coscienza che il mondo industriale e del commercio oleario non è un partner affidabile per la valorizzazione, la promozione e la commercializzazione dell'extra vergine di oliva nazionale e costruire, il più in fretta possibile, percorsi diversi. Lo dimostrano i fatti.
L'interlocuzione politica e istituzionale tra mondo agricolo e industriale, attraverso l'Interprofessione o Tavoli, è certamente utile e doverosa ma quando si tratta di affari le strade si debbono dividere, a meno che, è ovvio, non si tratti degli affari di pochi ai danni dei tanti.
E' tempo di rivoltare come un calzino le politiche olivicole degli ultimi anni.
Non è troppo tardi ma i granelli di sabbia che rimangono nella clessidra sono ormai pochi.
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