Sulla recessione in atto la politica è ferma
di
Umberto Berardo
L'Italia
nel secondo dopoguerra ha realizzato un vero miracolo economico trasformandosi
da Paese agricolo a uno industriale e realizzando un progresso inferiore solo
al Giappone.
Avevamo
un costo del lavoro basso e una moneta da poter svalutare all'occorrenza per
migliorare la nostra bilancia commerciale. Dopo
circa un quindicennio gran parte dell'industria decise di orientarsi verso
prodotti a media e bassa qualità non riuscendo tuttavia in tal modo a tenere il
passo di una richiesta globalizzata verso manufatti tecnologicamente sempre più
avanzati.
Oltretutto
per decenni il colossale debito pubblico accumulato, lo spostamento del
risparmio privato verso la rendita dei prodotti finanziari piuttosto che nei
miglioramenti produttivi e la mancanza di fondi adeguati nelle leggi di
stabilità per gli investimenti pubblici nelle infrastrutture hanno peggiorato
la condizione strutturale delle nostre industrie.
Il
cambio sfavorevole tra lira ed euro e la crisi economica del 2008 hanno visto
contrarre fortemente la produzione e di conseguenza l'occupazione lavorativa, diminuire
i tassi d'interesse, aumentare la povertà e limitare molto la domanda interna
di prodotti industriali.
Avendo
dato poi poco spazio all'economia della conoscenza , giacché non siamo stati in
grado di stimolare la ricerca scientifica e tecnologica, ci siamo ritrovati in
molti settori fuori dal mercato globalizzato in quanto superati nei prodotti di
bassa qualità da Paesi asiatici con ridotti costi di manodopera e in quelli di
eccellenza da Stati in cui la ricerca ha fatto passi da gigante.
Da
anni l'Italia, soprattutto nel settore automobilistico, in quello delle
telecomunicazioni e degli elettrodomestici, vive una situazione di arretramento
qualitativo nella produzione e spesso in altri è addirittura ancora assente
come nella costruzione di auto ibride o elettriche.
Da
noi stenta a partire anche quell'economia circolare, già affermatasi altrove,
che prevede il riciclo intelligente e funzionale di materiali già utilizzati in
taluni prodotti poi finiti in disuso.
Non
essendo stati capaci di metter mano a tali difetti strutturali, non solo non
abbiamo mai avuto una vera espansione economica, ma, secondo i dati ISTAT, dopo
gli ultimi due trimestri negativi per il P.I.L. nel 2018, rispettivamente con
lo 0,1 e lo 0,2% , siamo entrati in quella che si chiama recessione tecnica.
Secondo
l'attuale governo si tratterebbe di una situazione congiunturale dovuta soprattutto
alla guerra sui dazi e destinata a esaurirsi nel primo semestre di quest'anno,
mentre lo stato tendenziale della nostra economia dovrebbe vedere un netto
miglioramento nella seconda metà dell'anno.
In
realtà, mentre il governo prevede per il corrente anno un aumento del P.I.L. di
circa l'1% , società come Prometeia lo fissano tra 0 e 0,5% .
Per
accertare se si tratta di una recessione conclamata e non momentanea occorre
tenere l'attenzione su indicatori più adeguati quali l'andamento del livello di
occupazione, il patrimonio delle imprese, il reddito delle famiglie, i consumi
interni, le esportazioni e l'andamento demografico.
Noi
ci auguriamo che tali dati siano sotto controllo, ma sia nella Legge di
Stabilità che nei decreti attuativi di taluni suoi punti non vediamo
provvedimenti in grado di far ripartire l'economia e orientarla verso un
processo di espansione innovativa.
Come
accennavamo sopra e come ha precisato Gianni Trovati di recente su Il Sole 24
Ore, gli investimenti delle imprese in beni strumentali scenderanno quest'anno
dello 0,3% , il prossimo dell' 1,2% e nel 2021 risaliranno appena dello 0,5% mentre i fondi pubblici per infrastrutture
sono scesi in dieci anni dal 3% all'1,9% del P.I.L.
L'attuale
governo ha messo una quantità notevole di risorse in politiche di assistenza
dimenticando che per ridistribuire giustamente ricchezza occorre anzitutto
produrla e che per questo, se non si vuole continuare a gonfiare il debito
pubblico, è necessario migliorare il P.I.L. con investimenti infrastrutturali e
con agevolazioni alle imprese capaci di migliorare la produzione sul piano
quantitativo ma soprattutto qualitativo.
Oltretutto
Bankitalia prevede che il reddito di cittadinanza, ove andasse in porto nelle
misure previste dal governo, non riuscirebbe a migliorare i consumi interni se
non dello 0,3% del P.I.L.
Le
conseguenze più gravi di tale situazione si vivono in particolar modo nel
Mezzogiorno dove la disoccupazione, soprattutto giovanile, tocca percentuali in
alcune regioni superiori al 40% .
Rispetto
alle fallimentari soluzioni neoliberiste fin qui tenute da tutti i governi che
si sono succeduti negli ultimi decenni il sindacato ha necessità di studiare e
suggerire un nuovo modello di sviluppo in grado di promuovere lavoro, equità, integrazione,
condivisione e dignità di vita per tutti.
Non
sarà facile con un governo che sembra rifiutare il ruolo d'intermediazione
delle forze sindacali, ma queste, se vogliono avere spiragli di una reale e
rinnovata funzione per la collettività, devono sforzarsi di tornare a rendere sempre
più allargata e popolare la lotta per i diritti civili e sociali.
La
politica poi, se non vuole rimanere ferma e intende condurre il Paese fuori
dalla recessione, ha necessità di prendere provvedimenti capaci di far ripartire
l'economia agganciandola alla sia pur flebile espansione europea.
Per
questo occorre investire anzitutto nel miglioramento del sistema scolastico in
generale e soprattutto dell'università per dare impulso alla ricerca
scientifica.
È
essenziale poi detassare le aziende che investono nel miglioramento dei beni
strumentali e nell'innovazione tecnologica e scientifica per la nascita di
un'industria creativa al passo con i tempi.
Occorre
ancora rifuggire da un'agricoltura e una zootecnia industrializzate per legarle
piuttosto a prodotti genuini di eccellenza rispettosi della natura e della
salute dei consumatori.
Dopo
tali provvedimenti non dovrebbe mancare infine un'adeguata promozione dei
prodotti made in Italy, sia sul territorio nazionale che su quello
internazionale, con intese commerciali utili e oculate, ma non certo
precipitose come alcune già esistenti o che si stanno per sottoscrivere.
A
noi sembra che al momento manchi una pianificazione del genere e che occorra
lavorare seriamente per porla in essere in maniera da migliorare l'immagine
della nostra produzione economica del nostro Paese.
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