Il ruolo del sindacato nella società odierna
di Umberto Berardo
In un'indagine condotta
dall'Istituto Demoskopika emerge con chiarezza come le iscrizioni al sindacato
siano in caduta libera.
Negli ultimi due anni CGIL e CISL hanno perso qualcosa come 450.000 iscritti, in gran parte giovani e precari, mentre in controtendenza la UIL li ha aumentati di 26.000.
Crollano dunque le adesioni e si riduce il numero dei volontari impegnati in attività gratuite.
Si registra tra l'altro un incremento delle sigle soprattutto nell'area della cosiddetta autonomia.
Il sindacato, non riuscendo
più a giocare un ruolo attivo nelle dinamiche economiche e sociali del nostro
tempo, non appare solo indebolito ma talora ossificato su categorie di analisi
che sembrano ormai appartenere a un'epoca tramontata.Negli ultimi due anni CGIL e CISL hanno perso qualcosa come 450.000 iscritti, in gran parte giovani e precari, mentre in controtendenza la UIL li ha aumentati di 26.000.
Crollano dunque le adesioni e si riduce il numero dei volontari impegnati in attività gratuite.
Si registra tra l'altro un incremento delle sigle soprattutto nell'area della cosiddetta autonomia.
Le cause di tale processo
sono innumerevoli e attengono all'assenza d'interventi su problemi già
incancreniti come quello della scuola, dell'assistenza sanitaria, della difesa
dell'ambiente e del diritto per tutti alla casa e al lavoro, ma sono relative
anche a una inadeguatezza di analisi dei problemi attuali del mondo del lavoro,
alla irrisolutezza e incapacità di mettere in cantiere riflessioni efficaci sul
quadro economico, talora all'assenza di competenze dei dirigenti nazionali e
locali, infine alla palese insufficienza degli strumenti e delle azioni messe
in atto per difendere i lavoratori nei confronti delle controparti, delle
autorità di governo e del mondo finanziario.
Tale debolezza è apparsa
evidente nei confronti della gestione Fiat di Sergio Marchionne, ma soprattutto
rispetto al processo di delocalizzazione, al Jobs Act e alla riforma del
diritto al lavoro in Italia attuata dal governo Renzi che non ha previsto solo
la precarizzazione e la licenziabilità
dei lavoratori, ma soprattutto ha cercato subdolamente d'introdurre un modello
di rappresentanza diretta individuale del lavoratore nei confronti del datore
di lavoro e quindi la fine dell'intermediazione sociale del sindacato stesso.
Rispetto poi alla
globalizzazione, all'internazionalizzazione e ai nuovi sistemi di produzione e
di commercializzazione il sindacato manca di un articolato coordinamento mondiale
capace di far fronte a imprese che mobilitano e trasferiscono in maniera sempre
più rapida capitali, merci e forza lavoro.
Se nella rappresentanza non
esiste una conduzione globale delle lotte sindacali capace d'incidere nella
difesa dei diritti, è difficile rispondere ai processi di delocalizzazione e
indebolimento salariale in atto specialmente da parte di taluni Paesi.
Il sindacato può uscire
dall'impasse riflettendo sugli errori e le debolezze strutturali e strategiche
per manifestare di se stesso un'immagine diversa da quella attuale.
La prima necessità è quella
di rompere quel processo di burocratizzazione che lo ha fortemente ingessato,
ma è urgente dotarsi di personale sempre più formato e qualificato e
digitalizzarsi non solo per la rappresentanza ma anche per i diversi servizi da
offrire.
C'è bisogno poi di più
democrazia interna e di meno giochi di potere che sono apparsi anche a nostro
avviso nell'ultimo congresso CGIL dove il confronto ci è sembrato alquanto
soffocato dalla necessità di trasmettere a ogni costo la parvenza dell'unità.
La funzione di
rappresentanza, individuale e collettiva, deve riguardare poi tutta la forza
lavoro, da quella occupata fino all'altra disoccupata o in cerca di occupazione
evitando di dimenticare proprio i più emarginati come purtroppo è avvenuto
finora.
Occorre ancora riflettere su
un multiforme inquadramento dei problemi per trovare così le soluzioni più adeguate
agli stessi.
Si deve lavorare con studi e
progetti innovativi sul tema del diritto al lavoro studiando le strategie da
mettere in campo per raggiungere la piena occupazione piuttosto che rincorrere
i diversi tipi di sussidio alla disoccupazione che ancora oggi il governo sta
cercando di mettere in campo.
A tale proposito anche la
manifestazione di Roma del 9 febbraio 2019, pure molto partecipata, è apparsa
tardiva, mentre occorreva agire per tempo sulla Legge di stabilità con proposte
alternative già nell'autunno 2018.
Oltre alla piena occupazione
è necessario lavorare ad una legge sul salario orario minimo legale per
garantire figure scoperte di lavoratori atipici come ad esempio i riders, che
sono privi delle più elementari tutele, o gli operatori della Gig o New
Economy, che dir si voglia, i quali lavorano connessi da remoto attraverso un
dispositivo mobile e non sono mai entrati in una fabbrica.
Sarebbe deleterio rappresentare
solo le fasce tradizionali del mondo del lavoro dimenticando chi vi entra solo
in maniera fluttuante, sporadica e precaria o chi ne è fuori.
La tutela del diritto al
lavoro va poi coniugata con il discorso dell'equità sociale e con la
demolizione dei tanti privilegi retributivi che finora non sono stati mai
attaccati con determinazione.
La concertazione poi non può
ridimensionare, come spesso avviene, l'azione rivendicativa e di
contrapposizione a politiche neoliberiste inaccettabili.
La frantumazione corporativa
delle sigle va evitata o quantomeno ridimensionata attraverso un'unità di
azione coordinata, come dicevamo, non solo a livello nazionale ma mondiale.
Tra alcuni lavoratori c'è
oggi una solitudine disarmante rispetto ai problemi creati dalle nuove
organizzazioni della produzione e della distribuzione nel mercato del lavoro il
quale rischia di diventare talora sempre più irregolare e perfino selvaggio.
In questa situazione il
sindacato può avere ancora una funzione importante e utile a condizione che
riesca a ricostruire una relazione autentica con i lavoratori e funzionale alla
gestione dei loro bisogni.
Il conflitto sociale e la
tutela della dignità del lavoro oggi presentano aspetti ed elementi
profondamente diversi e innovativi rispetto al passato; occorre pertanto
analizzarli con categorie adeguate ed entrarvi in profondità con nuove chiavi
di lettura, di elaborazione e di soluzione.
In altre parole c'è sempre
più bisogno di produrre pensiero, interloquire con i lavoratori e cercare
sinergie con le forze vive della società che dentro e fuori dalle istituzioni
possono dare un contributo per la realizzazione della giustizia sociale che
dovrebbe poi essere l'obiettivo fondamentale del sindacato.
Molti oggi ne auspicano la
fine e rincorrono un modello di rappresentanza diretta e individuale del
lavoratore nei confronti del datore di lavoro.
Ovviamente questo è
pericolosissimo nell'era del Jobs Act perché aggraverebbe la precarietà del
lavoro, la licenziabilità e la solitudine dei lavoratori.
Esponendo questi ultimi a ritorsioni,
come è avvenuto in Fiat con quelli iscritti alla FIOM a Pomigliano d'Arco, si è
cercato praticamente di abbassarne il tasso di sindacalizzazione e di
indebolire le rivendicazioni.
Noi siamo convinti che il
sindacato possa e debba avere un ruolo essenziale nell'organizzazione economica
e sociale, ma che per questo, come nei
tempi migliori della sua storia, abbia bisogno di tornare ad occuparsi del
mondo del lavoro ma anche degli esclusi dai diritti, di liberarsi da inutili
privilegi, di diventare democratico, partecipato, innovativo, inclusivo,
pluralista e diretto alla costruzione di un'economia dove la dignità del
lavoratore sia al di sopra di ogni altro scopo.
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