Privilegi, disuguaglianze e diritto al lavoro
di
Umberto Berardo
Nonostante i tentativi di
strutturazione di qualche gruppo sociale secondo i canoni dell'egualitarismo,
la maggior parte delle collettività nel corso della storia hanno avuto
un'organizzazione profondamente diseguale sin da quando con la nascita
dell'economia agricola si è diffusa l'idea che singoli, gruppi o Stati
potessero appropriarsi di beni comuni teorizzando la necessità del
riconoscimento della proprietà personale.
Privatizzati i beni, i mezzi di produzione e quelli di
scambio, è nata negli esseri umani la corsa all'arricchimento il quale è stato
inseguito con tutti i sistemi possibili ed immaginabili.
L'imperialismo, la
colonizzazione, l'iniqua organizzazione degli apparati produttivi e di quelli
di scambio commerciale, la finanziarizzazione dell'economia, una fiscalità indecente,
una distribuzione iniqua del lavoro disponibile e gli ostacoli di accesso
all'istruzione ed alle cure mediche hanno sempre più accentuato quelle
disuguaglianze che oggi non determinano solo povertà, ma ancora schiavismo,
morti per fame e i tragici movimenti migratori della nostra epoca.
I dati diffusi recentemente dall'ONG
britannica Oxfam sull'attuale distribuzione della ricchezza nel mondo sono
davvero sconcertanti.
A livello mondiale il 10%
della popolazione possiede mediamente la metà della ricchezza disponibile.
Tra l'altro i super ricchi
hanno tali paradisi o privilegi fiscali che anche in periodi di recessione
riescono comunque ad aumentare la loro percentuale di ricchezza del 12% mentre
quasi quattro miliardi di persone già povere l'hanno vista decrescere dell'11%.
Da noi nello scorso anno il
20% degli italiani possedeva il 66% della ricchezza nazionale intanto che il
60% dei più poveri ne aveva solo il 12,4% e solo venti miliardari fruivano
degli stessi beni del 20% della popolazione.
Con un indice Gini pari a
0,331 l'Italia è al ventesimo posto nell'Unione Europea nella disuguaglianza
sociale.
Le disparità economiche
esistono anche a livello di genere considerato che i maschi possiedono il
doppio della ricchezza delle donne e controllano l'86% delle aziende.
Una tale concentrazione di
benessere in così poche mani dovrebbe aprire gli occhi su una verità
indiscutibile: la disuguaglianza non è un elemento connaturato alla natura ed
alla vita degli esseri umani, come taluni vorrebbero lasciar intendere, ma il
frutto avvelenato dell'egoismo umano che ha generato sistemi economici che
concentrano la ricchezza sempre più in pochi soggetti a danno della stragrande
maggioranza della popolazione.
Tutto questo è stato generato
da una serie di cause che bisogna delineare per poter poi individuare le
possibili soluzioni al problema.
Intanto occorre aver presente
che le famiglie con i redditi più elevati sono quelle appartenenti al mondo
degli imprenditori, dei dirigenti, dei quadri e dei cosiddetti pensionati
d'oro.
Il passaggio della ricchezza
dal pubblico al privato è stata una delle ragioni dell'ineguaglianza sociale,
ma ad essa negli ultimi decenni si sono aggiunti i processi della
globalizzazione e della finanziarizzazione dell'economia.
Intorno a talune categorie sociali
sono stati garantiti privilegi non solo sul piano di retribuzioni scandalose,
ma su una difesa di casta di determinate attività e sulla possibilità data ad
alcuni professionisti o quadri istituzionali di esercitare legalmente o in nero
più di un'attività lavorativa.
Il neoliberismo ha immaginato
di poter giustificare tali benefici con i mantra delle responsabilità e della
meritocrazia degli esercenti talune professioni ignorando volutamente altri
aspetti del lavoro quali il rischio, la fatica, l'usura fisica e mentale
Chi ha elaborato negli anni
scorsi il piano delle liberalizzazioni di talune attività economiche, come ad
esempio quelle commerciali, non solo ha ingenerato sistemi distributivi che si
dirigono ormai verso le concentrazioni di cartello che conosciamo soprattutto
nell'e-commerce, ma si è guardato bene dal toccare i privilegi di certe caste o
di allargare l'esercizio di altre attività che si continuano a proteggere
tuttora limitandone il numero con una regolamentazione ferrea che quasi nessuno
mette in discussione.
È una delle motivazioni per
cui in Italia non esiste il libero accesso ad alcune facoltà universitarie.
Un altro elemento che ingenera
disuguaglianza è il sistema fiscale sempre più orientato alla tassazione del
reddito e dei consumi piuttosto che combattere davvero l'evasione e l'elusione
e tassare in maniera marcata e progressiva i patrimoni, le rendite e le
transazioni.
In Italia abbiamo un'evasione
fiscale di 160 miliardi di euro ed un'economia sommersa pari a 210 miliardi di
euro-
L'IVA inoltre, che dovrebbe
quantomeno essere il più possibile proporzionale al valore dei beni acquistati
ed eliminata per i beni di prima necessità, è oggi pressoché generalizzata
nelle aliquote e dunque penalizzante per le fasce di popolazione più povere.
Sempre il rapporto Oxfam ci
dice al riguardo che solo quattro centesimi per ogni dollaro sono raccolti nel
mondo da imposte sul patrimonio.
Dovrebbe essere chiaro a
tutti che il sistema della flat tax è l'esatto contrario di quella
progressività del sistema fiscale che prevede chiaramente l'art. 53 della
Costituzione italiana che tra l'altro fissa anche nell'art. 42 la funzione
sociale della proprietà privata e la sua accessibilità a tutti i cittadini.
Anche risoluzioni quali i
cosiddetti redditi d'inclusione o di cittadinanza, lungi dal considerare la
povertà un'anomalia da eliminare dalla società, ci sembrano ancora forme di
sussidi assistenzialistici al di là delle dichiarazioni plateali di chi dice
che con tali provvedimenti si sconfigge la miseria ed il bisogno.
È il diritto al lavoro per
tutti che occorre promuovere per evitare le diseguaglianze e dare dignità a
tutti i cittadini.
Raggiungere questo obiettivo
non è cosa facile soprattutto in un momento in cui il progresso tecnologico
elimina sempre più manodopera, ma occorre lavorarci soprattutto da parte di
quanti hanno sempre sostenuto la necessità della piena occupazione.
Tale obiettivo si può
raggiungere a nostro avviso eliminando, come dicevamo, i privilegi molto
generalizzati di talune caste, liberalizzando tutte le forme di attività e
rimuovendo la possibilità di esercitarne più di una, tassando sempre più le
rendite finanziarie per spostare le risorse verso gli investimenti e la
ricerca, disincentivando fiscalmente il lavoro straordinario, ridistribuendo le
ore lavorate con una diminuzione degli orari di lavoro e la creazione di
contratti di solidarietà, stimolando la ricerca, promuovendo nuove forme di
genuinità e di eccellenza nei prodotti agricoli e zootecnici e modernizzando i
servizi nel settore terziario.
Sono logiche di orientamento verso
una politica non di competizione, ma di solidarietà e di condivisione sulla
quale ci piacerebbe si potesse impegnare quella sinistra che non solo non
riesce più a garantire rappresentanza a chi è fuori dai diritti, ma neppure a
definire progetti specifici per garantire pari opportunità e giustizia sociale.
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