Da paura a risorsa, cambiare la nostra visione dell'ambiente per aver fiducia nel futuro








Occorre una nuova cultura delll'ambiente che non veda la Terra come un bene da depredare ma una risorsa da preservare, guardando alle prossime generazioni preservando suolo, biodiversità e riducendo l'input energetico. Si può, partendo da un piano olivicolo.


di Pasquale Di Lena

In un recente convegno, promosso dall’Isde (medici per l’ambiente) di Campobasso, “Cambiamenti climatici – Salute, Agricoltura,Territorio”, è stato ricordato che, in queste ultime due settimane, due eventim a carattere mondiale, hanno messo a fuoco la questione delle questioni , il clima: la Conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima, che c’è stata giorni fa a Roma e l’incontro Cop 24, appena chiuso a Katowice in Polonia. In più la pubblicazione del Rapporto annuale dell’Unep (United Nations environment programme), che lancia più di un grido di allarme per l’aumento delle emissioni mondiali e l’insufficienza degli impegni nazionali presi a Parigi nel 2015 nell’incontro Cop 21. Solo 57 Paesi, che rappresentano il 60% delle emissioni mondiali, raggiungeranno il picco delle loro emissioni entro il 2030. Se le tendenze attuali proseguiranno, provocheranno, entro la fine del secolo un riscaldamento del pianeta di circa 3°C., ciò che farà dell’aumento delle temperature un dato costante.
Tutti d’accordo che c’è tanto da fare, e subito, per adeguarsi alle nuove esigenze di un’economia a impatto climatico zero, ma, nel frattempo diventa importante: la messa in discussione– se si vuole costruire una vera alternativa - del sistema che ha prodotto e continua a produrre disastri, disuguaglianze, paure; l’urgenza di azzerare i combustibili fossili; la capacità di aprirsi il prima possibile alla svolta, creando, attraverso la formazione, e l’informazione, incontri e confronti, il coinvolgimento più ampio possibile per capire e gestire i cambiamenti climatici e promuovere nuove culture.
Indispensabili per la messa in atto di nuove politiche per uno sviluppo economico-sociale e culturale alternativo a quello attuale, che ha dimostrato, di essere solo distruttivo e tutto e solo per il dio denaro.
Lo dimostrano l’urlo di dolore lanciato dalla Terra con la riduzione incalzante della biodiversità e la riduzione di fertilità dei terreni e di enormi superfici di suoli.
L’ultimo dato mondiale è di 12milioni di ettari, pari a tutta la Sau (Superficie agricola utilizzata) riferita all’Italia. Un’enormità! E tutto per l’idea propria di un sistema sempre più consumista che non ha il senso del limite, non conosce l’aggettivo “finito”.
Si tratta, volendo introdurre il tema dell’agricoltura, che mi sta a cuore, di capire il bisogno urgente della gestione e uso del bosco; della protezione e ripristino delle foreste, della salvaguardia delle zone umide e altri ecosistemi, di un nuovo modo di fare agricoltura, partendo dall’analisi dei disastri provocati dall’agricoltura industrializzata con l’uso sconsiderato delle arature profonde, le dosi crescenti di veleno date al terreno con i pesticidi, i concimi, e i farmaci dati agli animali allevati in modo intensivo.
Un modello, quello dell’agricoltura industrializzata, che ha portato l’agricoltura e la zootecnia, a diventare , subito dopo quella dei combustibili fossili, la seconda causa dei cambiamenti climatici in atto. Per onore del vero, è, però, l’agricoltura, sì artefice della situazione preoccupante che vive il clima, ma anche la vittima prima, insieme al territorio, dei cambiamenti climatici, se pensiamo alle alluvioni, alle grandinate, all’aridità, alle frane, agli smottamenti, che hanno il significato di perdite di produzione e mancato reddito. Soprattutto nei territori collinari e montani che sono tanta parte dell’Italia (77%) e il Molise nella sua complessità, visto che la pianura è meno dell’1% e, come tale, non considerata statisticamente.
Un’agricoltura, quella industrializzata - dichiarata fallita, nell’Aprile scorso, dalla Fao - che ha avuto ed ha, come solo e unico obiettivo, la quantità, tutto a spese della fertilità del terreno, dell’ambiente, del paesaggio, delle buone tradizioni e, anche, se non soprattutto del clima che paga il prezzo più alto.
Un rapporto, agricoltura – clima, sicuramente contradditorio di fronte al bisogno di cibo oggi, con 7,5 miliardi di persone, sparsi su cinque continenti, che ne hanno bisogno, e, che, fra trent’anni, un tempo non lontano, diventeranno 10 miliardi da sfamare. Il 97% dell’attività agricola-zootecnica è destinata a produrre cibo, cioè ad assicurare quella sicurezza alimentare che già da qualche tempo comincia a mancare. Un problema, come il clima, che non preoccupa i governi, deve preoccupare noi, visto che la conseguenza è di arrivare in ritardo a mettere le pezze a un pantalone ormai tutto sfilacciato, volendo rappresentare l’economia, il tipo di sviluppo.
Il bisogno di un nuovo modo di gestire il territorio, la sostenibilità; di fare agricoltura, il biologico, non può essere più disatteso. Il Molise ha tutto per essere una Regione sostenibile e all’insegna del biologico, e, lo stesso discorso vale per l’Italia.
Una Regione ed un Paese che, per fortuna, hanno ancora un ricco patrimonio di biodiversità, con alcune colture che possono fare benissimo la differenza, e, penso a due in particolare: l’olivo, uno straordinario amico del clima con la sua capacità di catturare Co2 (10,65 Kg per ogni litro di olio prodotto) in cambio di ossigeno donato all’ambiente. L’albero che ha più possibilità di altre di resistere all’innalzamento delle temperature e di tornare a far rivivere i territori interni, oggi abbandonati, nel rispetto delle tradizioni. Basta poco: l’approvazione di un piano olivicolo che pone, tra le tante necessità, la priorità del recupero degli oliveti abbandonati e di impianti per altri 600mila ettari, con divieto assoluto del superintensivo che al clima toglie e non dà. Metà dell’attuale superficie olivetata da aggiungere vuol dire: più ossigeno per l’atmosfera, più olio di qualità per il buon cibo, la salute e il benessere del consumatori di questo re degli alimenti, filo conduttore della Dieta Mediterranea.
Penso, anche, alle leguminose, piante miglioratrici con l’apporto di azoto, che ben si prestano a coprire il terreno e a proteggerlo, e, ancor più, a migliorarlo se il terreno è argilloso. Piante amiche del clima, Che dire poi dei legumi (fave, cicerchie, ceci, piselli, fagioli) e delle loro proteine nobili che tanto hanno alimentato le civiltà del Mediterraneo? La carne dei poveri che non inquina.
Sta qui, con la rinuncia alla chimica e altre scelte a favore del clima, la grande attualità del biologico, cioè di un modello improntato alla sostenibilità, capace di affermare sicurezza e sovranità alimentare insieme.
Chiudo con un grazie agli amici dell’Isde, Gennaro Barone e Leo Terzano, che hanno organizzato e, con i loro interventi, arricchito l’evento. Grazie agli altri due bravissimi relatori, il metereologo Gianfranco Spensieri, e il geologo Sergio Baranello. Un grazie e, insieme, un invito a dare continuità a questi incontri, visti la partecipazione e l’interesse dei cittadini. Dare continuità è importante per far partire dal basso quel cambio di cultura e azioni che serve a stimolare, perché non si distragga, la classe politica e dirigente di questo nostro Paese e dello stesso Molise, il mondo della cultura. In pratica lavorare perché il clima sia una risorsa e non una paura.
di Pasquale Di Lena
TEATRO NATURALE - pubblicato il 14 dicembre 2018 in Strettamente Tecnico > Bio e Natura

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