L’Italia ha bisogno dell’olivicoltura e dei suoi preziosi oli
di Pasquale Di Lena
Hanno fatto seccare il pozzo ed ora ti
vogliono far bere l’acqua da loro scelta.
Nel
caso dell’olio extravergine di oliva italiano si sono prima industriati a
vedere come confondere il consumatore con una classificazione che, per far
capire che è vero olio di oliva e che ha requisiti per essere classificato di
qualità, bisogna aggiungere a “Olio”, la qualificazione aggiuntiva
“extravergine di oliva”, visto che per “olio di oliva” s’intende il peggiore
prodotto che si richiama all’estrazione dalle olive.
Una
classificazione che ha, però, permesso di fare le peggior schifezze e proporle
al consumatore , soprattutto a quello che non aveva alcuna idea dell’olio e
dell’olivo.
Poi
si sono adoperati a mettere politicamente in un angolo l’olivicoltura, la
coltura arborea più importante e più diffusa, ed è così che, nel frattempo, la
Spagna ha fatto il sorpasso sull’Italia a gran velocità, per poi distanziarla fino
a diventare, da anni ormai, irraggiungibile.
Hanno,
solo di recente, approvato, ma dopo decenni di distrazione, un
piano olivicolo, facendo perdere, in mancanza di un rilancio di questa
coltura (l’Italia, oggi, avrebbe bisogno dei 600mila ettari di oliveti che non
ha), gran parte delle enormi e straordinarie opportunità che il mercato, già
comincia ad offrire, e, che ancor più,
offrirà nei prossimi anni. Un
piano olivicolo che, per ora, ha dato solo spazio agli impianti olivicoli
super intensivi, voluti dalla industria spagnola e applauditi dall’accoppiata
Unaprol – Coldiretti, cioè da un’associazione degli olivicoltori e dalla sua organizzazione professionale agricola, la più
numerosa, quella che, dal dopoguerra, ha fatto il bello e il cattivo tempo
dell’agricoltura italiana .
La
promozione, in pratica, di quell’agricoltura industrializzata da parte di tutti
quelli che dovrebbe difendere i nostri bravissimi coltivatori, sempre più
preziosi e sempre meno, e la nostra agricoltura, fatta di piccole e medie
aziende, poste, nella stragrande maggioranza dei casi, sulle colline. Un processo, come quello delle politiche
della Ue, funzionale solo alle multinazionali della meccanica, della chimica,
dei semi e dei brevetti, che sta portando all’abbandono di vasti territori del
nostro Paese e all’esodo di centinaia di migliaia di coltivatori. I nostri
preziosi cultori della terra, sempre più tartassati dalla burocrazia e dai
finanziamenti europei, con quest’ultimi che, nel tempo, sono diventati cambiali
da pagare
Parlo
dei governi di questo nostro Paese e, insieme, dei rappresentanti del mondo
agricolo e dell’industria di trasformazione.
Quest’ultimi,
e non tutti, alla fine hanno scelto di proporre e firmare un accordo di filiera
e dare all’olio l’appellativo “Italico”, non per far viaggiare
l’olio italiano, ma un mix di olio italiano e olio importato e, così, mantenere
più confuse che mai le idee dei consumatori, soprattutto quelli che si stanno
avvicinando da poco all’olio, al suo uso, grazie alla fama di prodotto che
unisce i piatti della cucina mediterranea e fa solo bene alla salute.
Uniformare
il prezzo al ribasso e, oltretutto, definirlo “italico”, vuol dire
considerare l’olio come una delle tante commodity
e non una peculiarità fortemente legata all’origine, il territorio, e ad altri
importanti fattori.
Dare
l’appellativo “Italico”, vuol dire, anche, azzerare di colpo quel ricco
patrimonio di biodiversità olivicola, formatasi nel corso di secoli, se non
millenni, unico al mondo con la sue 530 varietà di olivi autoctoni, che
coprono, a parte l’Alto Adige, ogni angolo di questa nostra Italia.
Il
modo, questo, per mettere ancor più in crisi l’olivicoltura italiana e i suoi
principali protagonisti, gli olivicoltori.
La
possibilità concreta di tagliare le ali all’olio extravergine di oliva
italiano, proprio nel momento in cui ha tutto per volare più alto di sempre e raggiungere, ovunque sta, quel consumatore
esigente non solo di qualità, ma, anche e soprattutto, di diversità, che,
sapendo l’importanza di questi valori, è disposto a pagare il giusto prezzo,
quello che valorizza l’olio e il suo territorio d’origine, ripaga i sacrifici e
gli impegni dell’olivicoltore.
L’Italia
ha bisogno dell’olivo. Ne hanno bisogno le sue colline, le sue aree interne per
vivere la sostenibilità e rilanciare l’agricoltura e le altre attività ad esse
collegate,e, per frenare l’abbandono. Ne hanno bisogno i coltivatori per impostare di nuovo un’agricoltura contadina,
quella che ha rispetto della Terra e la considera viva, sacra; dell’ambiente e
del paesaggio; del tempo e delle stagioni e, soprattutto, di dare continuità a un lavoro per niente facile
da improvvisare che porta a produrre cibo. L’energia vitale.
L’Italia,
in pratica, ha bisogno dei suoi oli, della sua agricoltura, per organizzare il
suo domani, vivere i mercati, e, dai mercati ricevere quel valore aggiunto che
serve a remunerare gli olivicoltori, che ne hanno bisogno per rimanere nelle
aree sopracitate. E non solo, per suscitare, anche e soprattutto,l’interesse
delle nuove generazioni che hanno bisogno, più del passato, di lavoro e giusta
remunerazione, creatività, valori, un rapporto di reciprocità con la terra,
soprattutto di rispetto.
pasqualedilena@gmail.com
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