Qualità e diversità, le due preziosità vincenti sui mercati



Inizio questa nota con un saluto di benvenuto alla nuova varietà autoctona, riconosciuta lo scorso anno,  la ”Gentile di Mafalda”, e un grazie a quanti si sono adoperati per ottenere questo importante riconoscimento, che porta a diciannove il patrimonio molisano di biodiversità olivicola, con l'altra "Gentile", quella storica di Larino, che ha tutto per essere la motrice di questo treno che ha tutto per andare lontano.
Diciannove preziose varietà autoctone di olivo, una parte importante di quell’enorme straordinario patrimonio di biodiversità olivicola (530) che l’Italia possiede, il doppio delle varietà del resto de mondo. Esse devono diventare un baluardo contro l’invasione di oliveti superintensivi, nel Molise e nel resto del Paese, un non senso oggi che c’è da affrontare tutte le questioni  riguardanti i cambiamenti climatici, in primo luogo i processi in atto di desertificazione, l’accesso all’acqua; i fenomeni diffusi di erosione che vedono il nostro Paese primeggiare con il 33% della superficie agricola interessata; la perdita di fertilità in mancanza di sostanza organica e l’uso dissennato di concimi sintetici; l’agguerrita competitività su un mercato invaso da sostanze grasse, sia animali che vegetali, con l’olio di oliva che rappresenta solo una piccola parte (3%), e, dentro questa piccola percentuale,  l’extravergine è solo una goccia di un mare di oli vegetali.

Un baluardo,  dicevo, ma anche l’elemento  centrale di quella strategia di marketing riferita all’olio che ha nella programmazione dell’olivicoltura il suo quadro di riferimento.

Diciannove varietà sparse sulle nostre meravigliose (quando non ci sono pali eolici) colline che, dal mare risalgono il nostro Biferno e gli altri due fiumi in comproprietà, il Fortore con la Puglia, e il Trigno con l’Abruzzo, o si fanno cullare dal Matese e dalle Mainarde, prima di diventare “Aurina”, tutta  raccolta in quel paesaggio stupendo che oggi è il Parco regionale storico dell’olivo di Venafro. Un parco dell’olivo unico al mondo, un primato che non basta a convincere chi ha finora governato la Regione Molise, visto che rischia di chiudere in mancanza dei finanziamenti previsti, fissati nella legge istitutiva del Parco stesso. Proprio ora che ha conquistato il riconoscimento di Paesaggio storico da parte del Mipaaf, grazie alla preziosa collaborazione dell’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio, che deve al Molise(Larino) la sua nascita e la sua spinta iniziale.

Diciannove varietà, con una, la “Gentile di Larino” , che le rappresenta per circa 1/3, diffusa tutta in quella fascia di colline che guarda il mare, dal Saccione fino ai confini del  territorio di Montenero di Bisaccia, con la sua “Cerasa” e il suo “Olivastro”.

La sola realtà che ha dalla sua parte i numeri, e, non solo, anche la fama, per diventare motrice del treno composto da altri 18 carri, ognuno carico di olio delle rimanti varietà.

E’ vero, sono di Larino, ma non è l’appartenza e l’orgoglio per la mia città, che mi porta a privilegiare la “Gentile”.  Il mercato ha sempre più bisogno di qualità e di diversità, ma anche di numeri per affermare questi due elementi importanti per l’immagine dell’olivicoltura molisana tutta.

E non solo, il mercato ha bisogno dell’unità dei produttori, della loro partecipazione alle scelte e, quindi, di un confronto e rapporto costante con le istituzioni, e, se ciò accade, è in grado di dare all’offerta quel valore aggiunto che serve al produttore a far quadrare il bilancio e a programmare nuovi investimenti.

Al produttore non servono le elemosine e neanche gli incentivi se diventa protagonista del mercato, e, all’interno di esso, riesce a vivere  il dialogo con il consumatore. Un mercato sempre più aperto alla domanda dell’olio extravergine di oliva e per più di una ragione.

Prendo in considerazione solo due: l’aumento in questo inizio di secolo del numero di consumatori sul mercato globale, con una percentuale significativa di consumatori che hanno grandi possibilità di scelta; l’espandersi della cultura dell’olio, soprattutto nei paesi che solo da poco si sono avvicinati al consumo di olio, soprattutto evo.  C’è un potenziale enorme di consumo di olio, soprattutto se di qualità bio e, ripeto e sottolineo, ancor più se segnato da diversità. Chiudo dicendo che solo con una programmazione della produzione e  una strategia di marketing nelle mani di strutture e professionalità all’altezza del compito, non facile, i produttori e i trasformatori saranno in grado di dare la dovuta risposta alla domanda di extravergine di qualità, testimone di un  territorio, all’insegna della sostenibilità e  biodiversità.  

pasqualedilena@gmail.com

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