Fuori dai teatrini del potere
Togliere la politica nelle mani di chi pensa sia un
mestiere con retribuzioni da bingo per renderla un servizio momentaneo e
limitato nei mandati in grado di ridare il potere decisionale ai cittadini
attraverso una democrazia partecipata fuori dall'involuzione che sta vivendo.
di Umberto Berardo
di Umberto Berardo
Ciò
che accade in questi giorni tra le camarille che pensano di avere il monopolio
nella gestione della cosa pubblica è davvero stucchevole, ma non può lasciare
indifferenti quanti hanno a cuore il futuro del Molise.
Se
escludiamo le pochissime iniziative di natura programmatica che hanno fatto
capo al mensile "La Fonte" e all'associazione
"Ilbenecomune" che si sono spesi con il contributo di diversi
soggetti all'elaborazione di due progetti di sviluppo della regione orientati
alla qualità della vita e del territorio, per il resto, da parte delle forze
politiche in campo, ci troviamo di fronte ad indicazioni operative di una
genericità e pressappochismo che somigliano ad esche elettorali che rischiano,
come già accaduto, di attrarre anche consensi, ma che non ammaliano quanti
pretendono sistemi di comunicazione concreti e dettagliati.
Troppo
impegnati nelle riunioni da teatrino per giocarsi il biglietto della lotteria
delle tre tornate elettorali alla conquista di un lauto posto al sole, i
partiti che fin qui si sono divisi il potere in regione non hanno trovato il
tempo per costruire programmi politici per lo sviluppo del Molise degni di una
qualche considerazione e dunque anche nelle conferenze stampa dei cosiddetti
candidati alla presidenza della giunta regionale si procede per slogan, mentre
i molisani sanno benissimo, o dovrebbero sapere, che una regione con le
difficoltà esistenziali come la nostra ha bisogno di un altro spessore di
elaborazione di idee sul piano sociale, culturale ed economico.
I
cittadini non possono essere più illusi, come accade da quarant'anni, mentre
continua l'esodo giovanile che sul piano demografico sta creando, soprattutto
nelle aree interne, dei borghi fantasma.
Molti
hanno lavorato per anni nelle associazioni e nei movimenti di base creando
coscientizzazione sulle soluzioni ai problemi, fondando scuole di formazione
politica, promuovendo forum e mobilitazioni per rivendicare diritti
fondamentali per una qualità della vita degna di essere vissuta in libertà e
senza soggezioni di sorta.
Questi
anni hanno visto una fecondità di proposte operative sul piano politico,
culturale, territoriale, sociale ed economico che sono state pubblicate per
immettere nel sistema della governance un contributo di idee scaturito da una
base che ha sempre lavorato in forma completamente gratuita a livello di
volontariato puro.
Con
le istituzioni la richiesta di confronto su studi e suggerimenti ha visto
risposte da parata che spesso hanno portato a conflitti insanabili sulle
decisioni da assumere ad esempio sul piano della sanità, su quello della rete
scolastica, sulla viabilità, sui servizi, sui trasporti, sul sistema delle
comunicazioni e quant'altro.
Le
classi dirigenti, ma anche le associazioni sindacali e di categoria, come
talune chiese locali sono state davvero lontane dai bisogni delle popolazioni
che hanno visto un regresso pesante nelle loro condizioni di vita.
La
chiave di svolta possibile aveva una sola direzione e cioè quella del
rinnovamento radicale dei quadri dirigenziali in tutte le forme della vita
associata.
Nulla
di tutto questo è avvenuto perché la politica non sa e non vuole uscire da un apparato
di potere che ruota sul sistema clientelare e che si avviluppa addirittura per
trasmissione familiare nelle candidature.
Quanto
accaduto nelle elezioni del 4 marzo avrebbe dovuto se non altro dettare qualche
riflessione.
C'è
chi sta immaginando che la discontinuità ed il cambiamento abitino nel M5S.
Il
flusso di voti in favore di questo movimento anche da parte dei delusi della
sinistra lascia convinti taluni che lì ci sia la freschezza del rinnovamento della
politica, mentre altri si illudono in
tal modo di riempire gli spazi di crisi e di vuoto creatisi a diverse
angolazioni politiche.
Già
nel settembre del 2007, dopo il cosiddetto "vaffaday", abbiamo
scritto che si trattava di un'espressione apparentemente assembleare, ma in
realtà elitaria e di non facile interpretazione.
Conosciamo
nel movimento alcuni amici con cui in talune circostanze abbiamo lavorato
insieme nella lotta e nelle rivendicazioni sociali e politiche e ne stimiamo
l'onestà, la responsabilità e l'impegno.
Pensiamo
che con essi ci si debba confrontare perché sono portatori di istanze e
riflessioni talora per niente trascurabili, hanno impedito che la protesta
potesse incanalarsi verso forme istintive e violente, ma davvero abbiamo grandi
dubbi sui presupposti fondanti, sulla linea politica, sulle proposte e sulle
metodologie alle quali si ispirano.
È
un movimento cresciuto sulla crisi di una classe dirigente senza ormai più
alcuna credibilità, ma che a nostro avviso ancora si muove su posizioni che ci
appaiono trasversali, interclassiste, indefinibili ed indistinte rispetto
all'idea di società che si ha il dovere di delineare con chiarezza sul piano
nazionale ed internazionale.
È
per questo che condividiamo la loro volontà di eliminare privilegi e
diseguaglianze, ma rimaniamo interdetti ad esempio su proposte come il reddito
di cittadinanza che, tralasciando la copertura economica, rischia di essere una
misura di tipo assistenzialista frenando così il raggiungimento dell'obiettivo
di un'equa redistribuzione del lavoro esistente, di una perenne ricerca del suo
allargamento e quindi di una giustizia sociale degna di questo nome perché
fondata sulla garanzia della dignità per ogni persona attraverso un'attività
che la promuova e la realizzi ogni giorno.
Molte
perplessità abbiamo intorno alla loro idea di democrazia che, affidata solo in
parte a piattaforme telematiche con paradigmi, metodi, regole e numeri non
sappiamo fino a che punto controllati e controllabili, si muove poi purtroppo
su decisioni verticistiche di garanti e leader che sono la negazione di un
confronto che in una sovranità reale del popolo ha bisogno di canali di partecipazione
che riescano ad assicurare l'elaborazione delle idee e le decisioni con discussioni
e confronti in organi deliberativi eletti dagli iscritti ed operanti a livello
collegiale allargato.
Senza
una tale struttura autenticamente legata all'agorà, cioè alla base reale, si
rischia di portare i cittadini alla deresponsabilizzazione ed a diventare massa
indistinta, perché non crediamo che la democrazia possa abitare solo in rete.
Quello
che sta accadendo in questi giorni a livello nazionale con una possibile
ricerca di convergenze sia con forze di centro sinistra che con la Lega di
Salvini dice quanto labili siano le strutture di partecipazione reale nel M5S.
Sono
riflessioni che ovviamente facciamo senza alcuna ironia, saccenteria o snobismo
talora inopportunamente presenti in analisi frettolose e volutamente
provocatorie.
Noi
intendiamo muoverci nel pieno rispetto di quanti si stanno impegnando in quella
direzione e con uno stile di dialogo pacato e costruttivo che ci sforziamo di
avere sempre nei confronti di chiunque.
Nello
scorso autunno, insieme all'impegno di natura elaborativa, abbiamo cercato in
quel mondo di base della sinistra nella quale ci riconosciamo delle sinergie
per ridare spazio ad un progetto politico che metta al centro il bene comune e
la giustizia sociale declinata anzitutto con il paradigma della condivisione del lavoro seguendo i principi fondamentali
della Costituzione Italiana.
Abbiamo
sostenuto con forza che la sinistra non può in modo masochistico auto asfaltarsi
seguendo logiche di mediazione e talora di commistione con il mondo finanziario
e con soggetti decotti, ma deve, selezionando adeguatamente e rinnovando
completamente le sue classi dirigenti, recuperare il rapporto con il mondo
degli oppressi impoveriti dal neoliberismo.
È
un progetto che non è stato possibile realizzare per ragioni che concernono
difficoltà di natura concettuale, pragmatica ed interpersonale, perché la
voglia di invertire rotta e di mettersi al servizio dei cittadini per la
sinistra tarda a farsi strada.
Il
quadro attuale è francamente disarmante!
Siamo
tuttavia convinti pienamente che un rinnovamento della politica, delle classi
dirigenti e delle forze politiche passa unicamente da formazioni originate da
soggetti provenienti dal mondo professionale e da quello associativo del
volontariato che hanno freschezza etica e competenze capaci di non presentare
più il lavoro come qualcosa solo da avere, ma da creare.
È
una delle poche vie per togliere la politica nelle mani di chi pensa sia un
mestiere con retribuzioni da bingo per renderla un servizio momentaneo e
limitato nei mandati in grado di ridare il potere decisionale ai cittadini
attraverso una democrazia partecipata fuori dall'involuzione che sta vivendo.
È
l'impegno che dobbiamo assumere se vogliamo respirare aria fresca.
Commenti
Posta un commento