Il salvataggio delle banche e i diritti dei cittadini
di
Umberto Berardo
Sappiamo
tutti che la possibile crisi delle banche è in genere determinata da una
gestione allegra, superficiale e perfino immorale dei capitali che in qualche
modo vi confluiscono o ne escono.
Tale
causa è stata alla base di quanto accaduto in istituti di credito italiani
quali Banca dell’Etruria, Banca
Marche, le Casse di Risparmio di Ferrara e di Chieti e Montepaschi; infatti
l'origine dei loro guai finanziari è in particolar modo da ricercare nei
cosiddetti crediti deteriorati, ovvero prestiti mai rientrati.
Sia pure per fuga di notizie perché non vi è
stata mai una pubblicazione ufficiale, letti i nomi dei creditori inadempienti
sui media, la prima domanda che il cittadino anche sprovveduto di cultura
economica si pone è la seguente: " Ma per tali prestiti così consistenti
possibile che le banche non abbiano garanzie per la restituzione e dunque non
siano in grado di recuperare i capitali e la magistratura non deve accertare
immediatamente le responsabilità dei diversi attori e punire eventuali reati?
"
Non
possiamo dimenticare che il paventato crac di qualche istituto ha portato
purtroppo ad un suicidio a
Civitavecchia, ma ha anche penalizzato fortemente non solo i possessori di obbligazioni
subordinate, ma anche quelli che avevano i loro risparmi sul conto corrente o
in altre forme d'investimento non certo speculative e che hanno dovuto spostare i loro capitali nel
timore di un fallimento in atto.
Qui
non vogliamo più soffermarci tanto sulle modalità con cui l'Unione Europea e
l'Italia nella fattispecie sono intervenute nel salvataggio delle banche e non
torneremo sul bail in o sulle bad bank che riteniamo, in un'economia non
speculativa, sistemi incomprensibili messi in piedi appunto dalle oligarchie per
penalizzare i cittadini onesti e coprire i faccendieri.
Che
le banche andassero salvate per diverse ragioni è fuori discussione, ma il
governo italiano lo ha fatto in ritardo, con soldi pubblici e quindi dei
contribuenti e soprattutto ancora una volta con grossi favori gratuiti a
capitalisti che a nostro avviso poco hanno a cuore le sorti del Paese visto che
i loro capitali sono collocati ormai prevalentemente in fondi speculativi o al più in servizi piuttosto
che in investimenti produttivi in grado di creare lavoro.
Si
è scritto che l'intervento in favore delle banche era necessario nell'interesse
dei territori in cui esse sono allocate, dei dipendenti e dei risparmiatori.
Tutto
comprensibile in termini generali se non fosse che le regole sul rapporto tra istituti
di credito e correntisti non sono cambiate affatto e continuano a penalizzare i
secondi.
Gli
articoli 42 e 47 della Costituzione Italiana tutelano la proprietà pubblica e
privata ed il risparmio, ma nella loro funzione sociale, precisando che la
Repubblica deve "disciplinare, coordinare e controllare l'esercizio del
credito ".
Il
risparmio pertanto dev'essere tutelato in ragione delle finalità che gli
vengono date.
Intanto
è inconcepibile attribuire gli stessi tassi d'interesse a forme di
accumulazione egoistica nelle rendite ed a quelle preveggenti concepite per gli
investimenti e dunque appunto con funzione sociale come prevede la nostra
Costituzione.
Tutelare
il risparmio indirizzato agli investimenti e finalizzato al miglioramento
dell'insieme dei "complessi
produttivi del Paese", come sembra chiaramente prefigurare il secondo
comma dell'art. 47 della stessa Costituzione, allora, significa garantire la
certezza del capitale indirizzato alla creazione di posti di lavoro ed
agevolarlo sul piano fiscale rispetto a quello ispirato dall'avidità di accumulo.
La
crisi economica che ormai viviamo da anni ha bloccato il risparmio di una
popolazione come quella italiana che era in proposito ai primi posti nel mondo.
Per
stimolarlo nuovamente la prima soluzione che intravvediamo è quella di una
suddivisione chiara delle banche tra istituti d'investimento e quelli di
risparmio con una separazione chiara tra credito e trading finanziario, da
poter fare anche all'interno dello stesso istituto, che preveda una netta
differenziazione delle condizioni d'interessi attivi e passivi tra i due tipi
di clientela.
L'ipotesi,
affacciata sin dal 2012 in ambito europeo, non ha avuto più seguito per gli
ostacoli frapposti soprattutto dal mondo finanziario tedesco e francese.
Noi
ci auguriamo al contrario che la governance politica europea porti avanti un
simile progetto quantomeno per le banche mutualistiche.
Un
altro problema da risolvere è quello delle condizioni economiche nel rapporto
tra istituti finanziari e clientela.
I
costi dei conti correnti ad esempio sono diventati molto elevati e le banche
ormai sui depositi negli stessi non danno più interessi attivi almeno ai
piccoli correntisti.
L'imposta
di bollo sul deposito titoli e sui conti correnti al di sopra dei 5.000 euro,
poi, è in effetti una patrimoniale aggiuntiva e proporzionale, ma non certo
progressiva come stabilito dall'art. 53 della Costituzione Italiana, la cui
attuazione viene così chiaramente elusa.
C'è
infine l'esigenza di rendere assolutamente trasparenti e legate a principi di
giustizia le regole concernenti le intermediazioni borsistiche i cui rischi non
sono legati tanto alla situazione economica delle aziende quanto a speculazioni
eticamente inaccettabili.
D'altronde
in un'economia in cui la finanza diventa più importante degli investimenti
industriali non possiamo meravigliarci se appare difficile uscire da una crisi
economica che dura da anni.
Quello
economico, come si vede, è un mondo che ha davvero bisogno di essere umanizzato
e legato sempre più ai principi della Costituzione Italiana cui abbiamo fatto
riferimento.
Se
la politica riesce a liberarsi dalla soggezione al mondo finanziario, forse
qualcosa si potrà muovere in questa direzione.
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