Quelli del "NO"
di
Umberto Berardo
Il governo Renzi, come i suoi predecessori, aveva davanti problemi grandi come le montagne relativi ad una globalizzazione troppo osannata e mai realmente governata, ad una crisi economica trascinata negli anni senza sbocchi e conseguentemente ad una disoccupazione, soprattutto giovanile, davvero al limite della sopportabilità sociale; a questo si è aggiunta una forbice sempre più elevata tra i pochi ricchi ed i molti indigenti che sono precipitati sempre più verso la povertà assoluta.
Il governo Renzi, come i suoi predecessori, aveva davanti problemi grandi come le montagne relativi ad una globalizzazione troppo osannata e mai realmente governata, ad una crisi economica trascinata negli anni senza sbocchi e conseguentemente ad una disoccupazione, soprattutto giovanile, davvero al limite della sopportabilità sociale; a questo si è aggiunta una forbice sempre più elevata tra i pochi ricchi ed i molti indigenti che sono precipitati sempre più verso la povertà assoluta.
C'era
una congiuntura sostanzialmente favorevole che avrebbe potuto aiutare la
ripresa se si fosse stati capaci di soluzioni adeguate.
Occorreva
anzitutto razionalizzare la spesa pubblica, strutturare un piano radicale di
recupero dell'evasione e dell'elusione fiscale, rendere la tassazione
proporzionale al reddito non abolendo ad esempio la tassazione sulle prime case
con alto valore catastale, incentivando con sgravi contributivi non le
assunzioni precarie ma quelle stabili ed infine avviare lo sviluppo delle
infrastrutture e di una seria programmazione economica.
La
strada seguita al contrario è stata quella dell'approvazione del Job Act, che
ha reso precario il lavoro rendendolo di scarsa professionalità e di breve
durata fino a collegarlo ai settanta milioni di voucher emessi nel primo
semestre del 2016, della distribuzione a pioggia per fini elettorali di ottanta
euro ai lavoratori dipendenti, un aumento davvero risibile delle pensioni basse
e poi un anno intero passato nell'elaborazione di quelle riforme che sarebbero
state una vera iattura per la Costituzione e le strutture democratiche del
Paese.
Si
è lasciato così incancrenire il problema delle banche sul quale non si è
intervenuti adeguatamente, né nella ricerca delle cause né tantomeno in quella
delle soluzioni, si è tollerata senza colpo ferire una spesa pubblica allegra
ed insostenibile e soprattutto si è fatto precipitare il welfare a livelli
inaccettabili soprattutto in settori fondamentali come quello della sanità.
Il
governo Renzi rispetto alle richieste dei poteri forti ha giocato, come
sostiene giustamente Marco Revelli, a stare "dentro e contro" e questa ambiguità è stata a nostro avviso,
insieme ad altre, la causa principale del tracollo subito nel referendum del 4
dicembre 2016.
Chi
ha votato No si è opposto a logiche istituzionali oligarchiche dettate dalla
grande finanza, ma anche ad una politica incapace di affrontare e risolvere i
problemi fondamentali della popolazione.
Ora
quegli italiani che si sono opposti all'esercizio di un decisionismo
inconcludente hanno davvero il dovere improcrastinabile di un lavoro politico
serio, razionale, certosino per togliere il Paese dalla palude in cui lo ha
portato la casta dei vecchi partiti politici ed il populismo inetto dei nuovi movimenti.
L'ultimo
rapporto Censis ci dice che solo l'1,6% della popolazione italiana nutre ancora
fiducia nella politica e questo, insieme all'alto numero delle astensioni
nell'esercizio del diritto di voto, esige un impegno per ricostruire una classe
dirigente che oggi appare sempre più improvvisata.
Un
tempo essa si formava nelle università, presso le sedi di partito e per opera
di Scuole di formazione politica nate presso le diocesi soprattutto ad opera
della Caritas.
Questo
lavoro di formazione è venuto meno, all'interno delle forze politiche c'è una
conflittualità davvero molto alta, manca la volontà di isolare la corruttela e
soprattutto si è incapaci di ridefinire l'impegno per la collettività come un
servizio a tempo, eticamente ispirato e capace di confronto leale finalizzato
alla ricerca di strategie di successo rispetto ai problemi esistenti.
Dopo
l'assemblea tenuta a Roma lo scorso 21 gennaio, fuori da logiche clientelari o
da disegni soggettivi nella ricerca del consenso e del prestigio, quelli del
"NO", anche rimanendo solamente un movimento in rete e pur nei
diversi campi di appartenenza ed in divergenti quadri ideologici, è bene che
cerchino aggregazioni programmatiche ed operative per nuovi orizzonti politici
capaci di far uscire l'Italia da una stagnazione economica che impedisce ai
giovani di lavorare, di sposarsi, di avere figli e di guardare al futuro con
ottimismo.
L'idea
di promuovere online e sui territori un'azione pubblica di pressione e dialogo con
il parlamento attraverso petizioni su
talune questioni politiche impellenti ci sembra utile ed interessante.
Per
ciò che riguarda in particolare la cosiddetta sinistra occorre che essa ritorni
ad essere un quadro di riferimento, di progettualità, di elaborazione di idee
per la costruzione di una società di garanzia dei diritti fondamentali per
tutti.
L'obiettivo
immediato è quello di indicare le linee di una legge elettorale che assicuri
contestualmente piena rappresentanza ed una governabilità che tuttavia non può
essere mai una dittatura della maggioranza.
La
finalità centrale poi dev'essere quella di programmare uno sviluppo economico
partendo dalle attività primarie ed incentivando con adeguate politiche fiscali
l'economia reale piuttosto che la speculazione finanziaria o il risparmio da
profitti unicamente finalizzati alla tutela di esigenze non essenziali ma
legate ad aspetti di un benessere superfluo ed eccessivo.
È
anche in tal modo probabilmente che riusciremo a togliere l'enorme massa di
denaro liquido da depositi ed investimenti speculativi per spostarla verso
quelli produttivi di lungo respiro che sono i soli a poter dare certezze di
vita ai nostri figli.
Forse
così anche nel nostro Molise smetteremo di cercare capitani coraggiosi
dall'esterno e riusciremo a creare una capace imprenditorialità autoctona.
Le
sinergie richieste da questo impegno sono davvero urgenti e spesso hanno
necessità di aperture mentali che talora mancano soprattutto in quanti si
chiudono nei ghetti delle verità esclusive ed assolute o addirittura nella
pochezza del proprio prestigio o tornaconto in un percorso personale di potere.
Sinergia
tuttavia non significa relazioni aggregative ad ogni costo, ma ricerca di
lavoro comune con capacità di discernimento nelle alleanze su progetti ed obiettivi
che necessariamente devono essere discriminanti rispetto a populismi,
velleitarismi e protagonismi di ogni sorta.
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