Io c’ero
Io c’ero a Firenze quel 4 Novembre di cinquant’anni fa a
vivere la terribile alluvione. Dal mattino alle sette quando dal quartiere di
Santa Croce mi sono portato verso Borgo Ognissanti dai Colucci, i miei amici.
Ricordo il silenzio di un mattino bagnato da tre giorni di
pioggia intensa, ininterrotta, il vuoto di via della Vigna Vecchia, piazza
Indipendenza con la tribuna in legno preparata per i festeggiamenti della giornata, via della Vigna
Nuova sbarrata e la scelta di via Palazzuolo, l’incontro con piazza Fininguerra
già allagata. Non ancora mi rendevo conto di cosa stava accadendo.
La scelta, io che ho paura dell’acqua, di entrare in quella
piccola piazza ormai lago e la necessità di tornare indietro quando mi son reso
conto che in via Borgo Ognissanti non ci sarei mai arrivato. La strettoia di
via degli Alberi e il ritorno nella casa in via della Scala che mi aveva
ospitato fino a due giorni prima e dove avevo ancora i vestiti.
Il cambio dei vestiti bagnati con quelli asciutti, la corsa
alla stazione per trovare qualche panino e l’acqua, il ritorno in acqua per
aiutare una persona come paralizzata all’angolo di via degli Alberi e poi una
mano a chi era rimasto fermo in mezzo alla strada con l’acqua che era già
arrivata e scorreva sempre più violenta e sempre più alta. La paura di non
farcela a rientrare in quella casa dov’era arrivato Pasqualino, il mio amico di
Cosenza grande come un armadio.
L’acqua gelida, sporca di petrolio e di terra, mi aveva come
paralizzato. Il caffè caldo offertomi dalla mia ex padrona di casa, che aveva
il marito paralizzato e le ore dietro i vetri del balcone che dava su via della
Scala, sempre più un fiume pieno di roba di ogni genere svuotata dai negozi incontrati,
macchine che scendevano sbattendo da una parte all’altra della strada.
Lo sguardo fisso alla tabella di divieto di accesso con l’acqua
che saliva fino a toccarla. La paura - se toccava il rettangolo bianco dentro il cerchio
rosso - di avere la casa, al primo piano, allagata.
Il respiro di sollievo nel vedere scendere il livello dell’acqua
sempre incattivita, infuriata.
Il crollo e un sonno immediato, profondo con il vociare in
strada che mi ha svegliato. Era una giornata piena di luce, calda, con un sole stupendo,
e, quando sono sceso in strada ho trovato tanta gente che spalava il fango.
Nessun pianto ma solo speranza che cresceva ad ogni spalata.
E’ da quel momento che ho sentito mia una città che fino
allora avevo trovato ostile. La mia Firenze , la mia bella, stupenda Firenze
che non ho mai abbandonato. Un giorno, è vero, sono partito ma, in verità non
me ne sono mai andato.
e c'ero anche io, anche oggi quando piove forte forte ricordo tutto, tutto e: Gesù, Gesù di mamma!
RispondiEliminaCiao Iuri
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