OBLIVION Ovvero la parafrasi della emigrazione
di Franco Cianci
Organetto anni '20 di Nicola Mammarella
tre volte emigrato a New York
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La struggente bellezza della musica di un vecchio
organetto a bottoni, bando neon, di cui, disperando nel successo, vorrei tanto
riprodurre il suono, come sperava anche
Saramago dal suo rifugio di Lanzarote (Canarie), costruito dai prodigiosi, come
sempre, artigiani germanici per le ardite cattedrali gotiche della Germania,
esportato dagli emigranti nelle Americhe e in particolare in Argentina,
attecchì potentemente in quelle società e divenne subito il simbolo e
l’elemento rapsodico di tutte le emigrazioni europee transatlantiche.
Questo strumento, dai suoni effettivamente
umani, il più delle volte strazianti, trovò un cantore formidabile in Astor Piazzolla;
un genio della musica contemporanea tra i più grandi in Europa, anch’egli di origini
italiane (di Barletta il padre, toscana la madre), che approdò nei sobborghi di
Buenos Aires.
Astor nasceva nel 1921, esattamente negli
anni in cui la emigrazione verso l’Argentina degli emigranti italiani fu la più
intensa.
La emigrazione era una cosa
durissima a quell’epoca: contadini strappati dalle loro terre che abbandonavano
i manici sudati e logori dei vecchi bivomeri che lasciarono le loro terre per
sempre, perché allora partire, significava davvero un pò morire, secondo la
leggendaria definizione di Shakespeare; le zolle
delle loro campagne le ritrovavano nei lastrici, duri e bollenti, delle città
sudamericane e nordamericane.
Tutto veniva, allora, esportato: mafia, ribellismo, cosche, “Cosa
Nostra”, e le piccole, sane abitudini dei loro paesi.
Comunque, contribuirono alla crescita dei
paesi le forti braccia dei molisani, degli abruzzesi, dei pugliesi, dei
calabresi, dei siciliani e dei napoletani, che lavoravano, e febbrilmente,
nella fabbriche, nei campi.
Le produzioni crebbero di molto: mecenati straordinari, come, ad es,
un vastese, poco noto, come Carlo Della Penna, crearono scuole, istituti,
collegi e persino i religiosi, che pure presero parte alla grande emigrazione,
crearono monasteri, fondazioni caritatevoli, accoglienze varie, della gente
bisognosa; cosi nacquero, ad es, i
monasteri in California e la denominazione della più grande città
californiana “San Francisco”.
Poi ci fu quel periodo, terribile e doloroso,
dei desaparecidos, delle madri di Plaza
de Mayo che gridavano con i capelli disordinati sul volto, contro i governi,
crudeli e assassini, che avevano divorato e buttato nel nulla migliaia di
cittadini argentini.
Astor, cantò in quelle monumentali canzoni
che rappresentano la storia contemporanea, tutte queste situazioni, ed Oblivion
ne è il grido supremo.
Quelle musiche, che si insinuavano nei
sobborghi di Buenos Aires, laddove Papa Bergoglio, più giovane di 15 anni di Piazzolla
si aggirava, erano in prevalenza malinconiche, struggenti, strazianti.
La più bella, a mio parere, come detto, fu
Oblivion la musica che compose quella notte in cui vegliò la salma del padre
emigrante.
Gli immemori giullari del secolo odierno, che
vorrebbero respingere a mare migliaia di profughi, di rifugiati, di senza tetto
e di disperati, dovrebbero ricordare questo esodo, tumultuoso e terribile, che
ebbe luogo nell’Europa dei secoli trascorsi e in particolare del diciannovesimo
e del ventesimo secolo : i bastimenti
a vapore, i moli pieni di gente con i fazzoletti sventolanti, il pianto a dirotto
delle persone, sono le immagini
fotografiche che rappresentano quel mondo.
Tanto per rompere la drammaticità dei ricordi,
mi piace ricordare, e mi scuso profondamente con i lettori, anche qualche
episodio particolarmente ilare, di quel mondo in tumulto, non so se leggenda o
fu, invece, un fatto vero, fatto sta che si racconta che la donna di un paese
del versante del Fortore (molisano) si presentò un giorno alla dogana del porto
napoletano, il grande porto da cui partivano la maggior parte dei nostri
emigranti, con un gran cesto di fichi :
freschi , gonfi, bianchi.
I doganieri trasecolarono e le chiesero dove
mai volesse portare quella merce e questa, cavando dal petto un foglio
consunto, fece leggere loro una lettera della sorella, scrittale da New York in
cui si diceva : “cara sorella mia, che fai in quello sperduto paesello, vieni qua
perché con la “fi…” qui si fanno miliardi”.
E allora la poveretta diceva candidamente ai
doganieri che se con una “fi..” si facessero miliardi, figuriamo cosa potesse farsi
con un cesto di fichi di quella bellezza.
Altrettanto belle furono Libertango, Maria di
Buenos Aires, Soledad, Adios Nonino, Milonga del Angel e tante altre.
Fu un uomo prodigioso, Astor, per quantità e
bellezza delle sue opere, mori’ abbastanza giovane, nemmeno 70 enne a Buenos Aires,
dove i cittadini gli dedicarono in una delle piazze una statua importante.
Visse tutto il mondo di Peron, di Evita, dei desaparecidos, insomma di tutta l’Argentina
fatta di steppe, di grandi pascoli, delle pampas, dove anche chi scrive ha dei
ricordi struggenti, per avere il padre suo cavalcato quelle contrade, in cui la miseria, comunque, trionfava sovrana.
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