Ripartire dai legumi per vivere la sobrietà, il domani
Se avessi la possibilità, non dico di prendere decisioni, ma
anche solo di dare dei consigli a chi ne ha il compito, appunto quello di
decidere sulle cose che sarebbero da fare per contrastare la crisi di un
sistema fallito, direi di giocare prima di tutto sulla corretta informazione e
educazione del cittadino, soprattutto dei giovani e giovanissimi, quelli più a
rischio di una vera e propria deriva.
Suggerirei subito di sviluppare il tema del territorio –
questo bene comune che appartiene a
ognuno di noi e dal quale dipende il domani di tutti, che il sistema considera
sempre più un patrimonio privato, al pari della nostra salute – per sottolineare la sua centralità, dopo aver
ben spiegato il significato ed il valore che esso sempre più ha.
In pratica, arrivare a creare la consapevolezza che il
territorio è, oggi, ancor più prezioso di sempre, nel momento in cui viene
distrutto e fatto oggetto di scempio da vere e proprie azioni criminali, come
il furto di terreni fertili, paesaggi, siti archeologici, documenti,
tradizioni, lingue e dialetti, usanze, mestieri, piccole ma fondamentali
attività che servono a dare forza a una comunità e a mantenere in vita un
centro abitato, tanto più se storico.
Un bene comune che esprime la nostra identità ed è il solo sul
quale possiamo contare se vogliamo davvero programmare il domani. In pratica, la grande
risorsa da salvaguardare per poterla così rendere eredità da lasciare alle
nuove generazioni.
Una certezza, ancor più che una speranza, visto che esso non
solo è contenitore di storia, cultura, tradizioni, ma anche l’origine della
qualità del cibo, che l’agricoltura e la zootecnia mettono a nostra
disposizione, oltre che espressione della bellezza degli ambienti e dei
paesaggi.
Per tutto questo, il territorio è il patrimonio di una
comunità, un paese, un popolo, una nazione, nelle mani di un “proprietario” (com’è scritto nella
nostra Carta costituzionale) ma solo
per una sua gestione temporanea, con il compito di averne cura e premura
proprio per preservarlo e non distruggerlo.
In verità siamo di fronte a un vero e proprio spreco di
questo bene fondamentale, oltretutto finito, e ciò mostra che è proprio lo
spreco, che tocca, non solo il territorio, ma l’insieme di valori e risorse, il
male da curare.
L’antidoto più efficace allo spreco è la sobrietà
(moderazione, misura), che è alla base di uno stile di vita che ci appartiene
da sempre, la Dieta Maditerranea.
Oggi, grazie anche al suo riconoscimento di bene culturale dell’umanità, sta
trovando sempre più attenzioni e consensi in ogni angolo del Pianeta.
Uno stile di vita che ha nell’alimentazione la sua
espressione più manifesta, con il cibo – la primaria energia del regno animale –
nel ruolo di attore principale.
Potrebbe prendere in considerazione l’olio da oliva, quale
filo conduttore della Dieta Mediterranea,
come argomento nuovo da sviluppare, ma – non chiedetemi la ragione – suggerirei
di parlare dei legumi.
I legumi, non
importa se fagioli o lenticchie, ceci o cicerchie, piselli
o fave (un piatto con almeno quattro nel
mio Molise viene denominato “a pezzente”,
cioè la povertà, la miseria), come a esprimere un significato alto che essi
hanno sempre avuto, quello della solidarietà con chi aveva fame e bisogno di
proteine, cioè di mattoni.
Un piatto che permette, anche, di spiegare il valore delle
piante di leguminose nella rotazione e avvicendamento delle coltivazioni
agricole, quale significato e attualità dell’agricoltura contadina che ha sempre
pensato di dover dare alla terra per avere il raccolto migliore e non solo di prendere,
come accade con l’agricoltura super
intensiva o industriale. Un prendere senza dare che, nel tempo, porta il
terreno a diventare prima povero e, poi, addirittura sterile.
I legumi nel loro
significato di “carne dei poveri”, cioè di fonte importante di proteine, non a caso
dette nobili, che hanno nutrito l’umanità. La “carne dei poveri” in contrapposizione con la “carne dei ricchi”, quella proveniente dagli allevamenti di animali,
che, con la crescita del suo consumo, è diventata fonte di discussioni, anche
accese, riferite a più aspetti: lo stato di salute, nel caso degli allevamenti
industriali, degli animali e i pesanti maltrattamenti; la salute delle persone
che esagerano con il consumo di carne, fino a farne un vero e proprio abuso alimentare;
l’incidenza sul clima, con l’emissione di quantitativi enormi di anidride
carbonica. Non solo, direi di continuare a svolgere il tema affrontando la grande questione della deforestazione a
causa degli allevamenti industriali e, cioè, la distruzione di enormi superfici
di foreste, con una perdita netta di biodiversità vegetale e animale, uomo
compreso, per fare posto alle monocolture di mais e di soia. E infine, parlare
di acqua, la vitale risorsa che le leguminose usano con grande parsimonia e, anche,
di quella potabile che è sempre meno. Senza dimenticare gli inquinamenti dei
fiumi e dei mari.
Per dare un po’ di leggerezza al tema, posso suggerire al
mio interlocutore di parlare della pignata
e raccontare il perché “solo la cucchiaia
sa i guai e le gioie” di questo contenitore proprio dei legumi, di terracotta e, come tale, resistente al fuoco, o delle
tradizioni nate intorno a una batteria di pignate
di legumi sulla soglia del focolare, e penso alla devozione a San Giuseppe,
alla vigilia dell’entrata della primavera, che vive dalle mie parti.
E, ancora, lo stretto rapporto che i legumi, al pari dei
cereali e della frutta e verdure, hanno con l’olio extravergine di oliva e,
così, entrare in quel mondo speciale dell’olivo e dell’olio e, soprattutto, dei
territori che li esprimono, abbinati a paesaggi e ambienti stupendi, storie,
culture e tradizioni, che sono parti di una civiltà che è nata e si è
sviluppata con la sobrietà e che lo spreco di questi ultimi decenni sta
distruggendo.
pasqualedilena@gmail.com
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