Pampanella di San Martino in Pensilis, Dop o Igp, la più grande fabbrica del Molise.
Non è la prima volta che racconto una delle mie tante genuine
autorevoli passioni, la Pampanella di
San Martino in Pensilis, che già da una ventina di anni fa ho dichiarato la più grande fabbrica del Molise. Ne
ero convinto allora, ne sono ancor più convinto oggi, e il perché l’ho spiegato
nell’ultimo articolo pubblicato sul numero di una settimana fa del settimanale
online Teatro Naturale, che mi vede
da sempre suo fedele collaboratore.
È così che sono venuto a sapere di una “Pampanelleria” a Perugia, che può presto diventare una catena di
negozi particolari dove, insieme alla Pampanella, si consuma il meglio del
territorio molisano se, però, si ha chiaro il processo di difesa e tutela di un
prodotto che esprime la sua qualità grazie all’origine, cioè al legame con il
territorio. Se non c’è chiarezza e si continua a perdere tempo dietro a esperti
che non sanno e, perciò, tali non sono,
si può essere certi che questo processo andrà avanti e tutto a spese del Molise
e della sua San Martino in Pensilis.
Non c’è dubbio che il territorio elettivo della “Pampanella”
è quello della bella cittadina di San Leo e della carrese, ma esso, nel
momento in cui non viene difeso attraverso un riconoscimento come Indicazione
geografica – che non è la De.Co – può
trovare con il nome “Pampanella” una sua diffusione e, così, rischiare la
banalizzazione e la perdita stessa dell’immagine così fortemente legata al suo
territorio di origine da sempre, cioè San
Martino in Pensilis.
Lamentarsi che ci sono altri nel Molise che fanno la “Pampanella”
non serve, anzi pone in cattiva luce quello che
uno ritiene orgoglio di appartenenza, perché tutti possono preparare
questo prodotto e se, per ora, accade solo nel Molise (però abbiamo visto che
non è più così) è da ritenere una buona opportunità
per operatori molisani bravi, soprattutto quando si avvalgono degli allevatori di
maiali del luogo. Un’opportunità per rilanciare la zootecnia e la stessa
agricoltura, una grande occasione per chi vuole diventare imprenditore e per
chi ha bisogno di lavorare e in più diversi campi, soprattutto quello turistico
sapendo la forza del richiamo che un prodotto esprime nel momento in cui
diventa il testimone del luogo.
C’è da lamentarsi, invece, del perché quanti avrebbero il
compito di trasformare la Pampanella di
San Martino in Pensilis in una Indicazione geografica allargata - riconosciuta
dall’attuale regolamento comunitario (510/2006) che ha modificato il 2081 del
1992 - a tutto il territorio molisano (la più grande fabbrica del Molise),
continua a perdere tempo e, con esso, occasioni.
Parlo dei
produttori/allevatori/trasformatori e delle loro associazioni e organizzazioni
professionali che, con il sostegno e la collaborazione, certo, del Comune di San Martino in Pensilis e, anche, degli
altri comuni, istituzioni e enti interessati a livello regionale, hanno il
compito di pensare a un progetto per il
riconoscimento di questo delizioso prodotto alimentare, oltretutto unico e,
come tale, davvero prezioso.
Un vero e proprio progetto che dovrebbe essere parte di quella
programmazione che non c’è, e, comunque, di un tipo di sviluppo che, trovando
la forza nel territorio molisano, sia in grado di spendere nel migliore dei
modi le risorse e i valori che esso esprime. E lo fa partendo dalla definizione
di un disciplinare di produzione, Dop
o Igp, che riporti il nome Pampanella
di San Martino in Pensilis; la descrizione del prodotto, a partire dalla sua
storia e il suo legame con la tradizione; la zona di produzione (Molise), ben
descritta e delimitata; le modalità di
produzione e trasformazione; le caratteristiche e, soprattutto, i caratteri
organolettici del prodotto.
Un riconoscimento Dop
o Igp, sapendo che entrambi rappresentano
un’importante e valida garanzia per il consumatore, ma anche una tutela
fondamentale per i produttori/trasformatori nei confronti d eventuali imitazioni
e concorrenza sleale.
E’ attraverso il disciplinare di produzione Dop o Igp e il suo riconoscimento, dopo la presentazione della domanda e
l’indicazione dell’ente terzo di certificazione, che viene salvaguardato e
tutelato il nome e, non certo, attraverso la sola pretesa o l’orgoglio di
appartenenza. Altrimenti, ripeto, il rischio è che la “Pampanella” diventi,
oggi più che mai, una denominazione generica, un nome comune e, come tale,
banale. Cioè, non più all’altezza di indicare un prodotto alimentare e di far
pensare ai sapori ed ai saperi che esso esprime, grazie al territorio, alla
capacità e alla cura degli allevatori e alle mani sapienti dei trasformatori,
per lo più donne.
C’è bisogno prioritariamente della volontà dei
produttori/trasformatori interessati alla protezione del prodotto, identificabile
in relazione al’origine geografica, per esprimere una domanda di riconoscimento
e ottenere l’ottenimento dei relativi diritti, una volta che essa viene
riconosciuta e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Europea.
Tutto qui!
pasqualedilena@gmail.com
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