LA CASA DEL VENTO, RACCOLTA 2013
Flora ed io, una settimana prima, sveglia con la luce del
mattino, pronti ad andare a controllare lo stato di maturazione delle olive,
importante, dopo essersi accertati dell’apertura del frantoio della
“cooperativa olearia larinese”, di cui la Casa del Vento è socia, per decidere
quando iniziare la raccolta. Il periodo giusto, per avere la migliore qualità di
olio dalle olive frante, è per noi quello dell’invaiatura, cioè quando le olive
sono tinte di rosso per un buon 50% con il resto ancora verdi o nere.
Larino apre la campagna olearia e prima degli altri paesi
mette a disposizione l’olio nuovo.
Un momento magico è stato quello di raggiungere e fermarsi
sul punto più alto (504 m. s.l.m.) del colle e da lì puntare lo sguardo sulle
cime delle Mainarde lontane, per poi saltare su quelle di Capracotta e Agnone,
Il Monte Mauro con sotto il Lago del Liscione e, più in là, la Maiella e il
Gran Sasso. E ancora, sempre continuando verso destra, San Felice del Molise,
Mafalda, Palata, Montecilfone, con Vasto e il mare lontano, Guglionesi, le
isole Tremiti, il Gargano, il Tavoliere delle Puglie e le dolci colline che da
San Martino in Pensilis portano a Ururi e poi girano per salire verso Montorio
nei Frentani, Casacalenda e ancora più su verso Morrone del Sannio. Dolci
colline infestate dalla miseria culturale, prima ancora che dalla mancanza di
sensibilità, di chi ha sfregiato con le pale eoliche un paesaggio incantevole
che, pur se ferito, per fortuna, ancora appare.
Il rosso trasparente, che copre la campagna e rimbalza dalle
foglie pregne di olive, assorbe il sonno residuo e lascia il posto a quella
serenità che solo la bellezza ti può dare. Flora, puntando il suo nuovo
telefonino, raccoglie, in un giro a 360°, questi orizzonti lontani, fonti di
emozioni, da raccontare, poi, ai suoi amici padovani.
Arriva il giorno dell’inizio del raccolto, con la minuta
valle, quella che separa il Monte dal Monte Arone e Monte Arcano, coperta con
un manto di nebbia che l’alba farà svanire coprendola di colori.
Davanti alla baracca,
il tutto preparato la sera prima, troviamo le reti, i cestelli, i rastrelli,
che usiamo solo in caso di necessità, le cassette, che ci dividiamo per andare
a mungere le prime olive dagli alberi ancora sofferenti della gelata di due
inverni fa.
La tecnica è quell’antica della mano che scivola lungo il
ramoscello e stacca le drupe, nella gran parte invaiate e, come si diceva, dal
colore rossastro. Intanto, il sole uscito da dietro il Gargano, sale e comincia
a far sentire il bisogno di spogliarsi di qualche panno per il caldo e poi di
acqua per dissetarsi.
Io e Flora siamo molto concentrati in questa attività e le
parole che ci scambiamo sono dirette a indicare un albero o un ramoscello dove
sono rimaste ancora olive attaccate per nostra distrazione.
Torna alla memoria la raccolta di un tempo con gli olivi
grandi come querce; le lunghe scale e i grandi teli ricavati dal mettere
insieme sacchi di iuta, quasi tutti rattoppati, stesi sotto gli alberi rallegrati
dal canto con le voci di quelli che erano sulle scale e quelli sotto. Donne e
uomini a cantare i loro racconti, e, soprattutto le donne, a stuzzicare gli
uomini con il canto all’amore che, qui a Larino, la patria dell’olivo
“Gentile”, della Salegna o Saligna e della San Pardo, si ripete con “A fronne
da uelive”, cioè “il ramoscello di olivo che - dice il canto - dà l’olio, tu
cerca di sposarti perché io non ti voglio...”.
Un canto bello che, da qualche tempo, soffocato dai rumori
dei pettini e nuovi strumenti per la raccolta, non lascia ascoltare l’eco che
arrivava dalla campagna olivetata che veste di verde intenso la mia antica
città, capitale dei frentani secoli fa e culla, nel 1994, dell’Associazione
Nazionale delle Città dell’Olio.
Di tanto in tanto il silenzio è interrotto dallo scarico
delle olive dal cestello, che portiamo a tracolla, alla cassetta e da Lina e
Andrea, i nostri cani, che giocano sotto l’albero a fianco a quello dove noi
siamo concentrati a raccogliere. Poi la sosta salutare, soprattutto per chi non
è abituato a fare sforzi inusuali e vive la giornata seduto a scrivere o a
parlare.
Non manca la visita all’amico Antonio che, ben attrezzato,
sta raccogliendo con tutta la famiglia in un oliveto poco lontano, quello da
dove sono arrivati gli olivi secolari trapiantati davanti casa. Reti grandi; pettini
che s’incrociano in cima a un bastone alimentato con la batteria, che staccano dolcemente
gli olivi e le lasciano cadere sulle reti ben stese; cassoni capaci di
contenere tre quintali di olive e non, come noi, cassette da venti chili; mani
per prendere le reti e riportare al centro tutte le olive raccolte, da
scaricare, poi, nel cassone.
Anche qui grande concentrazione con il pensiero prevalente al
mercato che non ancora decide il prezzo delle olive. Esso è un elemento decisivo,
importante per capire il risultato di un’annata di cure e di amore per questa
pianta generosa e, con il suo olio, ricca di significati. Un olio che, per
colpa della mancanza di organizzazione dei produttori e del vuoto di programmazione da parte delle istituzioni, non
è premiato dal mercato con un prezzo adeguato alla sua qualità, che oggi,
diversamente dal passato, è diffusa e non, come fino a qualche decennio fa, riservata
solo a pochi.
A questi limiti di una realtà basata sul baratto, è da
aggiungere quello espresso dalla grande, purtroppo ancora maggioranza dei consumatori,
che dell’olio sa poco o niente, tanto da scartare il migliore perché “piccante
e amaro”; preferire quello di semi, soprattutto per la frittura e alcune
elaborazioni; non dare importanza a una sana e corretta alimentazione che, è
bene tenerlo presente, è tale se moderata e sostenuta da prodotti di qualità,
in primo luogo l’olio, non solo per i suoi caratteri salutari ma, anche, per
essere il filo conduttore del buon mangiare per eccellenza, la Dieta
mediterranea.
La sera, dopo il carico delle cassette e il trasporto delle
stesse al frantoio, ci ha trovato stanchi ma felici per la degustazione
dell’olio nuovo, rigorosamente baciato prima di essere assaggiato. Poco profumo
perché ancora chiuso dal trauma della frangitura, ma già ricco di sapori come
il sedano, il carciofo, il pomodoro, l’aglio e altro ancora.
Un rito che si è ripetuto per tre giorni, tutt’e tre pieni
di sole e di speranze riposte in questo prodotto prezioso che ti sazia con una
fetta di pane, con o senza pomodoro; uno spaghetto con solo aglio e prezzemolo;
un pezzo di caciottina o mozzarellina, stracciata o caciocavallo fresco dei
nostri maestri casari e del latte dei nostri bravi allevatori; riso in bianco
con prezzemolo; insalata di pomodoro con peperone fresco, sedano, basilico e
cipolla; pasta con le verdure o, meglio, con le patate; linguine con frutti d
mare e olio a crudo o, immenso, pesce crudo di cui io vado pazzo.
Tre giorni di amore per la natura circostante, l’ambiente e
il paesaggio dagli spazi ampi, il silenzio interrotto di tanto in tanto dal
volo della gazza ladra offesa dalla nostra presenza, per loro invasione di
campo, o dai discorsi di coppie di uccelli che si sentono arrivare come un
cicalio lontano.
L'aria della sera
dondola i rami degli ulivi e noi soddisfatti come siamo della raccolta e grati alle
nostre mani delicate. Risplende il tramonto che attende la notte stellata.
Anche questo è amore... amore per una vita sana e sobria, che solo la campagna,
con i suoi silenzi, può donare.
pasqualedilena@gmail.com
grazie per questo quadro profumato e sonoro
RispondiEliminaGino Celletti