PERCHE' NO
Leggo su Greenreport un articolo, come sempre puntuale, di
Luca Aterini, “L’Italia è un paese di frane”, che riporta e commenta numeri dell’Annuario
dei dati ambientali elaborato dall’Istituto Superiore per la Protezione e la
Ricerca Ambientale (ISPRA). Cerco di sintetizzare per dare ancor più il senso
della drammaticità della situazione con la speranza che serva a far ragionare
quanti parlano pro o contro come sono soliti fare i tifosi di calcio al Bar
dello Sport. Ebbene:
1. Nel
2012 sono state 487.000 le frane e hanno interessato un’area pari al 6,9% del
territorio italiano coinvolgendo circa 700.000 persone
2. Un
italiano su dieci, cioè oltre 6 milioni di cittadini, è esposto a rischi di
alluvione
3. Ogni
cinque mesi viene cementificato una superficie di territorio pari a quella del
Comune di Napoli e ogni anno pari a quelle di Milano e Firenze insieme. C’è da
dire che nella seconda metà del secolo scorso il consumo di suolo è proceduto a
un ritmo di 7 m², mentre oggi è pari a 8 m², e tutto a scapito della natura e
del cibo
Come non capire che se non si ferma questo processo chi
rischia è il futuro del Paese e del Mondo, delle nuove generazioni. Basterebbe
riflettere su questo solo dato per dire no a una stalla che ha bisogno di 100
ettari, cioè di un milione di metri quadrati di terreno coltivato, per allevare
in un solo posto, così come vuole la Granarolo, 12.000 manze fino a quando non
vengono ingravidate.
Come non capire la pazzia che provoca il profitto!
C’è anche un dato a prima vista positivo, bello, che è
quello ch riguarda l’aumento della superficie boschiva (36% il coefficiente di
boscosità, ben più alto del 28,8% del 1985). Un paese, si pensa subito, più
verde e questo sarebbe confortante se la superficie il bosco non l’avesse presa da montagne
abbandonate e deserte e dalle aree marginali, quelle “dell’osso” come diceva un
grande meridionalista.
Poi c’è anche il dato uscito dall’incontro di Vilnius
(Lituania) dei ministri dell’Ambiente dei Paesi Ue che parla di un’erosione
della biodiversità (cioè della nostra vita) e della urgenza di correre ai
ripari con “investimenti nel capitale naturale e nelle infrastrutture verdi”
che non credo facciano riferimento a una stalla che trasforma un milione di
metri quadri di terreno fertile e per di più irrigato in cemento.
mais transgenico della Monsanto |
In pratica un ritorno al passato che, così, ruba il futuro
alle nuove generazioni con un territorio profondamente ferito da scelte
profondamente sbagliate e dalla totale mancanza di programmazione, che i dati
mostrano con tutta la loro freddezza. Un vuoto che riguarda, certo, la politica
e i governi che hanno animato o contestato, ma non solo, la stessa classe
dirigente e questo ai vari livelli.
Pasquale Di Lena
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