CARTOLINA DEL MOLISE
Ecco la mia "Cartolina" di presentazione del Molise che Adriano Del Fabro ha inserito nel libro "Abbecedario dei vini d'Italia" appena uscito per le Edizioni Del Baldo di Verona e non Del Balbo com'è stato riportato nelle precedente comunicazione.
Molise - Cartolina enoica di Pasquale Di Lena
Un tempo non lontano e per millenni di anni il Molise, quale terra di transumanza e di tratturi e, come tale, di passaggio e di scambi culturali e mercantili, ha svolto un ruolo di snodo tra l’Italia del centro e del nord e quella del sud. Ora è solo terra di transito con l’effetto tunnel che crea un’autostrada, nel caso considerato quella che costeggia l’Adriatica e collega l’Abruzzo con la Puglia. Qualche decina di chilometri il tratto segnato da dolci colline che, dal Trigno al Saccione, scivolano lentamente per tuffarsi nel mare di quel minuto golfo che collega Vasto con il Gargano. Al centro l’antico Borgo di Termoli, incantevole faro e le isole Tramiti, le splendide Diomedee. Ed è lungo questo tratto che si sviluppa la vitivinicoltura molisana, quella nata negli anni ’60 con le due Cantine cooperative Valbiferno e Nuova Cliternia e la prima delle moderne cantine private, la Di Majo Norante, che continua, non più da sola, a rappresentare l’immagine dei grandi vini molisani.
Oggi sono più di 25 le cantine del Molise (quattro a carattere cooperativo), la gran parte delle quali nate in questi primi anni del terzo millennio, tutte nelle mani di giovani viticoltori, con le donne vere protagoniste di quello che noi consideriamo un vero e proprio Rinascimento del vino molisano. Un’esplosione d’iniziative stimolata anche dal recupero del suo vitigno autoctono, la Tintilia e il riconoscimento Doc dato al suo vino che, insieme al Moscato di Montagano, è parte della memoria e dell’immaginazione dei molisani. In particolare di quelli del centro e alto Molise che, soprattutto per ragioni climatiche, hanno adottato questo vitigno dalla buccia rossa, resistente al freddo, alle muffe, alle avversità e, soprattutto, tinto, cioè rosso, in un’area da sempre segnata da piccoli fazzoletti di vigne ricamate di grappoli d'uva a bacca bianca.
Un’adozione avvenuta poco più di due secoli fa, alla fine del ‘700, al tempo del Regno di Napoli nelle mani dei Borboni e il Molise rappresentava, con i suoi 24 mila ettari, la provincia più vitata.
Un vino, la Tintilia, che la moderna viticoltura degli anni ‘60 stava per cancellare. Poi, per fortuna recuperato e portato a diventare il testimone di un territorio, segnato ovunque da viti e olivi, da boschi e campi coltivati con un colore dominante, proprio del Molise, il verde, che qui è particolare. Il “verde molise” che, con gli altri colori dell’arcobaleno, colora la Farfalla Molise, un piccolo ma prezioso tassello del mosaico Italia, incastonato tra l’Adriatico a est e il Lazio a ovest, la Campania a sud ovest; l’Abruzzo a nord e la Puglia a sud est.
La vitivinicoltura del Molise, pur rappresentando, con i suoi 5,5 mila ettari di vigneto, poco meno dell’1% della vitivinicoltura nazionale, comincia, grazie ai successi nei vari e più importanti concorsi e alle segnalazioni di opinion leader, a stupire l’esperto e il consumatore, anche il più esigente. Insieme alla Tintilia, il suo Montepulciano, che rappresenta la base dei vini rossi e il suo Trebbiano, che è tanta parte dei vini bianchi, e, ancora, Falanghina, Aglianico, Chardonnay, Moscato, Malvasia, Cabernet, Greco, i Pinot e il Bombino, nobili vitigni tutti raccolti in quattro Doc (Biferno, Pentro o Pentro d’Isernia, Molise e la già citata Tintilia) e in due Igt (Rotae, in provincia di Isernia e Osco o Terre degli Osci, in provincia di Campobasso).
Risultati importanti non solo perché inseriscono il Molise del vino nel Gotha dell’enologia italiana, ma perché acquistano un particolare significato e valore, nel momento in cui riconoscono a questa piccola regione un ruolo nel campo della vitivinicoltura nazionale, con i riconoscimenti che esprimono l’eccellenza della qualità e del territorio che ne certifica l’origine.
Una magnifica occasione per l’immagine del Molise che pochi conoscono, nonostante l’attualità di questa piccola grande regione, quale fonte di storia e di cultura (i Sanniti, i Frentani; l’Homo Aeserniensis di 800 mila anni fa; Altilia, e le città d’arte come Larino, Agnone e Venafro); ricca di agricoltura e di ruralità; forte di ambienti e di paesaggi di straordinaria bellezza, di prodotti e di tradizioni, in particolare quelle culinarie.
I suoi piatti sono segnati dalle stagioni, dall’orto, dall’olio Gentile di Larino e Aurina di Venafro, dal tartufo bianco che la fa primeggiare in campo nazionale, dal maiale trasformato in “Ventricina” e “Pampanella”, dalle pecore e dagli agnelli, dal mare, che ha nel suo brodetto di pesce l’esaltazione della cucina marinara, il piatto più particolare, che ogni buongustaio dovrebbe assaggiare.
Un Molise da visitare per vedere le sue bellezze e degustare i suoi grandi vini abbinati ai sapori dei piatti di una cucina semplice, mai banale; incontrare i giovani produttori entusiasti di questo loro impegno e scendere con loro nelle cantine scavate nel tufo o nell’argilla; sentire l’eco del tempo che porta il passo delle mandrie e dei greggi nel loro andare (trac) e tornare (tur), il trat-turo della transumanza, alla ricerca di quella straordinaria e vitale fonte di energia che è il cibo.
Molise - Cartolina enoica di Pasquale Di Lena
Un tempo non lontano e per millenni di anni il Molise, quale terra di transumanza e di tratturi e, come tale, di passaggio e di scambi culturali e mercantili, ha svolto un ruolo di snodo tra l’Italia del centro e del nord e quella del sud. Ora è solo terra di transito con l’effetto tunnel che crea un’autostrada, nel caso considerato quella che costeggia l’Adriatica e collega l’Abruzzo con la Puglia. Qualche decina di chilometri il tratto segnato da dolci colline che, dal Trigno al Saccione, scivolano lentamente per tuffarsi nel mare di quel minuto golfo che collega Vasto con il Gargano. Al centro l’antico Borgo di Termoli, incantevole faro e le isole Tramiti, le splendide Diomedee. Ed è lungo questo tratto che si sviluppa la vitivinicoltura molisana, quella nata negli anni ’60 con le due Cantine cooperative Valbiferno e Nuova Cliternia e la prima delle moderne cantine private, la Di Majo Norante, che continua, non più da sola, a rappresentare l’immagine dei grandi vini molisani.
Oggi sono più di 25 le cantine del Molise (quattro a carattere cooperativo), la gran parte delle quali nate in questi primi anni del terzo millennio, tutte nelle mani di giovani viticoltori, con le donne vere protagoniste di quello che noi consideriamo un vero e proprio Rinascimento del vino molisano. Un’esplosione d’iniziative stimolata anche dal recupero del suo vitigno autoctono, la Tintilia e il riconoscimento Doc dato al suo vino che, insieme al Moscato di Montagano, è parte della memoria e dell’immaginazione dei molisani. In particolare di quelli del centro e alto Molise che, soprattutto per ragioni climatiche, hanno adottato questo vitigno dalla buccia rossa, resistente al freddo, alle muffe, alle avversità e, soprattutto, tinto, cioè rosso, in un’area da sempre segnata da piccoli fazzoletti di vigne ricamate di grappoli d'uva a bacca bianca.
Un’adozione avvenuta poco più di due secoli fa, alla fine del ‘700, al tempo del Regno di Napoli nelle mani dei Borboni e il Molise rappresentava, con i suoi 24 mila ettari, la provincia più vitata.
Un vino, la Tintilia, che la moderna viticoltura degli anni ‘60 stava per cancellare. Poi, per fortuna recuperato e portato a diventare il testimone di un territorio, segnato ovunque da viti e olivi, da boschi e campi coltivati con un colore dominante, proprio del Molise, il verde, che qui è particolare. Il “verde molise” che, con gli altri colori dell’arcobaleno, colora la Farfalla Molise, un piccolo ma prezioso tassello del mosaico Italia, incastonato tra l’Adriatico a est e il Lazio a ovest, la Campania a sud ovest; l’Abruzzo a nord e la Puglia a sud est.
La vitivinicoltura del Molise, pur rappresentando, con i suoi 5,5 mila ettari di vigneto, poco meno dell’1% della vitivinicoltura nazionale, comincia, grazie ai successi nei vari e più importanti concorsi e alle segnalazioni di opinion leader, a stupire l’esperto e il consumatore, anche il più esigente. Insieme alla Tintilia, il suo Montepulciano, che rappresenta la base dei vini rossi e il suo Trebbiano, che è tanta parte dei vini bianchi, e, ancora, Falanghina, Aglianico, Chardonnay, Moscato, Malvasia, Cabernet, Greco, i Pinot e il Bombino, nobili vitigni tutti raccolti in quattro Doc (Biferno, Pentro o Pentro d’Isernia, Molise e la già citata Tintilia) e in due Igt (Rotae, in provincia di Isernia e Osco o Terre degli Osci, in provincia di Campobasso).
Risultati importanti non solo perché inseriscono il Molise del vino nel Gotha dell’enologia italiana, ma perché acquistano un particolare significato e valore, nel momento in cui riconoscono a questa piccola regione un ruolo nel campo della vitivinicoltura nazionale, con i riconoscimenti che esprimono l’eccellenza della qualità e del territorio che ne certifica l’origine.
Una magnifica occasione per l’immagine del Molise che pochi conoscono, nonostante l’attualità di questa piccola grande regione, quale fonte di storia e di cultura (i Sanniti, i Frentani; l’Homo Aeserniensis di 800 mila anni fa; Altilia, e le città d’arte come Larino, Agnone e Venafro); ricca di agricoltura e di ruralità; forte di ambienti e di paesaggi di straordinaria bellezza, di prodotti e di tradizioni, in particolare quelle culinarie.
I suoi piatti sono segnati dalle stagioni, dall’orto, dall’olio Gentile di Larino e Aurina di Venafro, dal tartufo bianco che la fa primeggiare in campo nazionale, dal maiale trasformato in “Ventricina” e “Pampanella”, dalle pecore e dagli agnelli, dal mare, che ha nel suo brodetto di pesce l’esaltazione della cucina marinara, il piatto più particolare, che ogni buongustaio dovrebbe assaggiare.
Un Molise da visitare per vedere le sue bellezze e degustare i suoi grandi vini abbinati ai sapori dei piatti di una cucina semplice, mai banale; incontrare i giovani produttori entusiasti di questo loro impegno e scendere con loro nelle cantine scavate nel tufo o nell’argilla; sentire l’eco del tempo che porta il passo delle mandrie e dei greggi nel loro andare (trac) e tornare (tur), il trat-turo della transumanza, alla ricerca di quella straordinaria e vitale fonte di energia che è il cibo.
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