Così stanno uccidendo l'Italia agricola
quei 600 mila ettari rubati dal
cemento
Una superficie artificializzata grande quanto il Friuli Venezia Giulia. Nonostante la stabilità demografica in 50 anni c'è stato un forte incremento del territorio urbanizzato: 8.500 ettari all'anno. Un aumento del 500% dal Dopoguerra ai primi anni Duemila. Siamo i primi produttori di cemento in Europa e il business alimenta anche la diffusione delle cave di calcare sui fianchi di colline e montagne
Cinquecento
per cento. Di tanto è aumentata la superficie impermeabilizzata dal cemento o
dall’asfalto in Italia tra il 1956 e il 2001. Questo crescente consumo di suolo
è avvenuto a prescindere dallo sviluppo economico o demografico. Il caso del
Molise, la cui popolazione ha una consistenza numerica pressoché costante dal
1861, è significativo: la superficie urbanizzata è passata dai circa 2.316
ettari del 1956 ai 12.030 del
2002, con una variazione positiva quindi di circa 9.700 ettari, pari a un consumo giornaliero di circa mezzo ettaro. Lo stesso si può dire però per tutta l’Italia dove la stabilità demografica contraddistingue gli ultimi decenni, ma dove, tra il 1991 e il 2001, l’Agenzia Ambientale Europea rileva un incremento di quasi 8.500 ettari l’anno di territorio urbanizzato (il doppio della media europea) e l’Istat ben tre milioni di ettari di territorio, un terzo dei quali agricolo, perso tra il 1990 e il 2005. Gli ultimi anni non sono serviti affatto a invertire questa tendenza.
L’allarme, lanciato da Fai e Wwf nel recente dossier “Terra Rubata”, arriva in un momento in cui a livello globale si riscontra la stessa tendenza. La Cina, ad esempio, cerca di accaparrarsi terreni agricoli in Africa per sopperire alle proprie necessità di produzione alimentare. È il suicidio dell’Italia agricola, giardino d’Europa, che ha rinnegato le proprie origini per inseguire l’industrializzazione e che ora, nell’epoca postindustriale, continua a disseminare il territorio di capannoni, invece di recuperare le aree dismesse ed evitare nuovo consumo di suolo.
In Italia è praticamente impossibile tracciare un cerchio di 10 chilometri di diametro senza incontrare un nucleo urbano, con tutto ciò che ne consegue, sia per l’isolamento dei francobolli di natura rimasti che, guardando le cose dal punto di vista opposto, quanto a difficoltà di individuazione di siti idonei per impianti come le discariche che dovrebbero sorgere lontano da un centro abitato.
La nostra economia incentrata sul Pil ha visto nel settore delle costruzioni un suo punto di forza e l’ultimo decennio non ha fatto eccezione, anzi: il 2007 è stato il nono anno consecutivo di sviluppo del settore in Italia, qualificandosi come l’anno in cui i volumi produttivi hanno raggiunto i livelli più alti dal 1970 ad oggi.
Felici di coprire l’Italia di cemento quindi e pazienza se quel suolo è perso per sempre, non potrà più tornare ad essere suolo agricolo. In un’epoca in cui non si prevede crescita demografica e in cui il paesaggio è forse una delle risorse più importanti del Paese, una scelta poco sensata. Anche l’IMU, introdotta dal federalismo fiscale, si conferma come un introito per i Comuni ancora proporzionale in larga parte alla quantità di edifici senza, almeno per ora, vincoli particolari di utilizzazione e quindi del tutto analoga all’ICI negli effetti nefasti sulla trasformazione del suolo.
In uno studio che ha riguardato circa la metà del territorio italiano, si è visto che l’area urbana si è mediamente moltiplicata di quasi 3 volte e mezza dal Dopoguerra ai primi anni 2000, con un aumento di quasi 600.000 ettari in circa 50 anni, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia.
Il business del cemento, del quale siamo i primi produttori in Europa, alimenta anche la diffusione delle cave di calcare per cementifici che infliggono pesanti ferite al paesaggio, visto che sorgono sui fianchi di colline e montagne, e risultano visibili a chilometri di distanza, assumendo il tipico aspetto di enormi cicatrici color bianco abbagliante. Eccezionale la situazione nel Casertano, con cave spesso fuorilegge a ridosso di centri abitati, come denuncia il dossier “Terra rubata”, che segnala come questo tipo di cave sia spesso in mano all’ecomafia.
La piaga dell’abusivismo edilizio nel Meridione amplifica a dismisura il fenomeno del consumo di suolo, sia in aree a forte vocazione agricola che in aree dove il buon senso (oltre che la legge Galasso) impedirebbe di costruire, come le pendici dei vulcani. Il Vesuvio è un caso emblematico anche perché a case e altri manufatti, si aggiunge la presenza di cave e discariche, a fronte di un territorio fertile in cui si coltivano diversi prodotti tipici.
2002, con una variazione positiva quindi di circa 9.700 ettari, pari a un consumo giornaliero di circa mezzo ettaro. Lo stesso si può dire però per tutta l’Italia dove la stabilità demografica contraddistingue gli ultimi decenni, ma dove, tra il 1991 e il 2001, l’Agenzia Ambientale Europea rileva un incremento di quasi 8.500 ettari l’anno di territorio urbanizzato (il doppio della media europea) e l’Istat ben tre milioni di ettari di territorio, un terzo dei quali agricolo, perso tra il 1990 e il 2005. Gli ultimi anni non sono serviti affatto a invertire questa tendenza.
L’allarme, lanciato da Fai e Wwf nel recente dossier “Terra Rubata”, arriva in un momento in cui a livello globale si riscontra la stessa tendenza. La Cina, ad esempio, cerca di accaparrarsi terreni agricoli in Africa per sopperire alle proprie necessità di produzione alimentare. È il suicidio dell’Italia agricola, giardino d’Europa, che ha rinnegato le proprie origini per inseguire l’industrializzazione e che ora, nell’epoca postindustriale, continua a disseminare il territorio di capannoni, invece di recuperare le aree dismesse ed evitare nuovo consumo di suolo.
In Italia è praticamente impossibile tracciare un cerchio di 10 chilometri di diametro senza incontrare un nucleo urbano, con tutto ciò che ne consegue, sia per l’isolamento dei francobolli di natura rimasti che, guardando le cose dal punto di vista opposto, quanto a difficoltà di individuazione di siti idonei per impianti come le discariche che dovrebbero sorgere lontano da un centro abitato.
La nostra economia incentrata sul Pil ha visto nel settore delle costruzioni un suo punto di forza e l’ultimo decennio non ha fatto eccezione, anzi: il 2007 è stato il nono anno consecutivo di sviluppo del settore in Italia, qualificandosi come l’anno in cui i volumi produttivi hanno raggiunto i livelli più alti dal 1970 ad oggi.
Felici di coprire l’Italia di cemento quindi e pazienza se quel suolo è perso per sempre, non potrà più tornare ad essere suolo agricolo. In un’epoca in cui non si prevede crescita demografica e in cui il paesaggio è forse una delle risorse più importanti del Paese, una scelta poco sensata. Anche l’IMU, introdotta dal federalismo fiscale, si conferma come un introito per i Comuni ancora proporzionale in larga parte alla quantità di edifici senza, almeno per ora, vincoli particolari di utilizzazione e quindi del tutto analoga all’ICI negli effetti nefasti sulla trasformazione del suolo.
In uno studio che ha riguardato circa la metà del territorio italiano, si è visto che l’area urbana si è mediamente moltiplicata di quasi 3 volte e mezza dal Dopoguerra ai primi anni 2000, con un aumento di quasi 600.000 ettari in circa 50 anni, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia.
Il business del cemento, del quale siamo i primi produttori in Europa, alimenta anche la diffusione delle cave di calcare per cementifici che infliggono pesanti ferite al paesaggio, visto che sorgono sui fianchi di colline e montagne, e risultano visibili a chilometri di distanza, assumendo il tipico aspetto di enormi cicatrici color bianco abbagliante. Eccezionale la situazione nel Casertano, con cave spesso fuorilegge a ridosso di centri abitati, come denuncia il dossier “Terra rubata”, che segnala come questo tipo di cave sia spesso in mano all’ecomafia.
La piaga dell’abusivismo edilizio nel Meridione amplifica a dismisura il fenomeno del consumo di suolo, sia in aree a forte vocazione agricola che in aree dove il buon senso (oltre che la legge Galasso) impedirebbe di costruire, come le pendici dei vulcani. Il Vesuvio è un caso emblematico anche perché a case e altri manufatti, si aggiunge la presenza di cave e discariche, a fronte di un territorio fertile in cui si coltivano diversi prodotti tipici.
17
agosto 2012
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