In 40 anni persi 5 milioni di ettari. Il 20% dei consumi nazionali coperto da importazioni. Fai e Wwf applaudono: «Iniziative concrete per frenare l’edificazione nei territori agricoli»
[ 24 luglio 2012 ] da greenreprot
Non penso, naturalmente, a un ritorno a un paese agreste, ma immagino uno Stato che rispetti il proprio territorio e che salvaguardia le proprie potenzialità. Noi usciremo vincenti da questa crisi se lo faremo con un nuovo modello di crescita che passa necessariamente attraverso questi temi. Sono spesso, infatti, proprio questi passaggi difficili quelli utili a dare una svolta».
Al convegno, Catania ha presentato un disegno di legge sul tema ed ha spiegato che «nel corso della storia si sono alternate epoche in cui la campagna ha vissuto dei momenti di splendore e dei momenti di abbandono. Ma erano fasi fisiologiche, determinate dal progresso. In epoca recente, in questa alternanza, si è inserito un fattore che ha reso il consumo del suolo un processo irreversibile: la cementificazione. È un fenomeno che ha un impatto fortissimo sulle aree agricole del nostro Paese, ma diventa ancora di più preoccupante quando lo vediamo concentrato in quelle zone altamente produttive, ad esempio sulle pianure. È qualcosa di devastante sia per l'ambiente sia per l'impresa agricola, con effetti negativi sul volume della produzione.
La sottrazione di superfici alle coltivazioni abbatte la produzione agricola, ha un effetto nefasto sul paesaggio e, di conseguenza, sul turismo. Tutto ciò avviene in un Paese come il nostro dove il livello di approvvigionamento è molto basso, dato che almeno il 20% dei consumi nazionali è coperto dalle importazioni. Qual è il nostro compito? Dobbiamo aggredire le cause di questo processo, serve una nuova visione economica, un diverso modello di sviluppo. Bisogna anche contrastare l'aggressività di alcuni poteri forti, l'assenza di regole, dobbiamo modificare una certa cecità della politica, introducendo un cambiamento normativo nel meccanismo di spesa degli oneri di urbanizzazione che vanno nelle casse dei Comuni. Purtroppo, su questo aspetto, ancora manca una visione complessiva da parte di molti. Questa battaglia - è invece talmente importante che non la si vince con la singola iniziativa isolata, ma lavorando insieme, attraverso suggerimenti e il dialogo».
Entusiasta il commento di Fai e Wwf: «Il Ministro Catania oggi ha avuto il merito di illustrare prime iniziative concrete per frenare l'edificazione nei territori agricoli. A questo punto non possiamo che auspicare una convergenza di tutto il Governo su politiche coordinate che frenino il consumo del suolo e producano una grande stagione di riqualificazione delle nostre città e del nostro territorio. Nel merito dei contenuti del provvedimento illustrati oggi dal ministro Catania, Fai e Wwf ritengono che ci siano tre i punti di forza che fanno dire alle due associazioni che si è sulla buona strada: 1. la norma che stabilisce che venga determinato un tetto alla "estensione massima di superficie agricola edificabile"; 2. l'abrogazione della disposizione che consente ai Comuni di coprire le spese correnti con gli introiti derivanti dal pagamento degli oneri di urbanizzazione; 3. il vincolo decennale di destinazione d'uso peri terreni agricoli, che abbiano ricevuto aiuti comunitari e statali". Quella del ministro Catania sembra finalmente una prima iniziativa per arrestare quel processo irreversibile che dal Dopoguerra ad oggi ha caratterizzato lo "sviluppo" dell'Italia. Ci auguriamo che sia il primo segnale concreto che porti a considerare il patrimonio naturale, paesaggistico, culturale e territoriale come parte integrante della ricchezza della nazione ed elemento fondamentale per il benessere della collettività».
Intervenendo al convegno, il fondatore di "Slow Food", Carlo Petrini, ha spiegato: «Dobbiamo riuscire a cogliere il senso di questa proposta, che non deve essere solo riconducibile alla dimensione di un Ministero, ma deve porsi come un'indicazione sul modello di sviluppo che riguarda l'intero sistema-paese, che dovrebbe essere sensibile a una riflessione di questo tipo. L'Italia è sotto lo schiaffo di una situazione speculativa di proporzioni inimmaginabili, c'è bisogno che tutti avvertano la necessità di cambiare l'attuale paradigma produttivo. Noi paghiamo poco gli agricoltori, ma quando perderemo i veri presidi da loro costituiti, e ce ne renderemo conto, sarà troppo tardi. Nel nostro Paese non c'è la responsabilità di sapere cosa fa un agricoltore, mentre tutti dovrebbero sapere che non coltiva solo i frutti della terra, ma preserva l'ecosistema, la tutela del paesaggio, la memoria storica. L'agricoltura va al di là della semplice produzione di cibo».
E' intervenuto anche il giornalista del Corriere della Sera Sergio Rizzo, che ha sottolineato: «I Padri costituenti avevano già capito tutto, tanto è vero che in uno degli articoli fondamentali della Carta avevano introdotto la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Il nostro Paese non ha riserve di gas, non ha giacimenti di petrolio, non ha miniere di diamanti, ma ha un paesaggio unico. E invece che far leva su questo spesso si pensa a cementificare il territorio. Ci sono aree dell'Italia dove a una bassa crescita demografica si associa un alto tasso di cementificazione. C'è qualcuno che ha detto che "dai campi di sterminio siamo passati allo sterminio dei campi". Dobbiamo rendercene conto e capire che si può ripartire dalla terra. Un governo che abbia un senso di quello che, da questo punto di vista, può dare il Paese deve proporre un piano straordinario di rivalutazione
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