L’editoriale di Luigi Caricato pubblicato sul n° 1/2012 “Teatro Naturale” e la lettera di Pasquale Di Lena uscita sul secondo numero del settimanale on line.
Allarme Italia, si vuole affossare il comparto olio di oliva
Gravi danni, e non solo d’immagine, per le aziende olearie nostrane. All’estero perfino la Cina mette in dubbio la nostra credibilità. Il silenzio delle Istituzioni nell’imbarazzo generale. Lo scorso 23 dicembre il quotidiano “la Repubblica” ha inferto un duro colpo al buon nome del made in Italy, con la complicità di chi rema contro
Siamo proprio un popolo di matti. Per uno che costruisce, ce n’è pronto un altro che si impegna a distruggere il lavoro di chi ha costruito. E’ forse questo il genio italico? Speriamo proprio di no. Fatto sta che lo scorso 23 dicembre anziché goderci con serenità il Natale, vivendolo intimamente nel suo senso religioso, ci siamo imbattuti in un giovane laureato in filosofia dalla penna facile, tale Paolo Berizzi, che anziché scrivere romanzi d’invenzione, ha deciso di sfruttare il filone scandalistico e scrivere per il quotidiano "la Repubblica" una lunga inchiesta dal titolo "Il business dei furbetti dell'olio così l'extravergine taroccato arriva sulle nostre tavole", senza farci intuire bene a vantaggio di chi e di che cosa? Una bella domanda.
Per chi non ha avuto voglia di leggere l’inchiesta, bastano già solo i titoli e i sommarietti per mettere subito le cose in chiaro. I toni utilizzati non lasciano spazio a equivoci. L’impressione è che ci sia un mondo criminale dietro all’olio italiano. Riguardo ai produttori si legge: “Sono una decina e hanno formato un cartello: un blocco di imprese alleate nel nome della speculazione fondata sulla frode”.
Le parole – sappiamo – hanno un significato, ed ecco perciò spuntare, per dar manforte all’inchiesta, espressioni a effetto, piuttosto esplicite nelle intenzioni: tanto che bastano solo solo i richiami sparsi sapientemente qua e là nelle pagine per capire che si ha a che fare con i “maneggioni degli ulivi”, i quali poi diventano i “ras dei raggiri” lungo “le rotte dell’olio alterato”.
Insomma, mica si scherza in Italia: è un Paese di criminali, e in ogni goccia d’olio ci sono di conseguenza i “signori dell’olio”, i quali non spremono più le olive, ma “manipolano” e “se la tirano”. Sì, hanno il tempo anche di tirarsela. Il linguaggio di Berizzi colpisce e rende bene l’idea. E’ un linguaggio da fiction. “Chi sono i nuovi ras delle olive taroccate?”. Leggo il suo articolo e subito penso ai grandi inviati di guerra, coloro che rischiano la propria pelle pur di trasmettere a noi lettori le notizie. Lo immagino, il signor Berizzi mentre indossa il giubbotto antiproiettile, muovendosi in incognita nei territori della mafia. Indaga come un grande maestro di giornalismo, e già lo immagino, coraggioso e sprezzante del pericolo, mentre è in contatto telefonico con Ezio Mauro, il direttore di “Repubblica”, annunciandogli le grandi verità di cui è entrato in possesso. Mi batte forte il cuore solo a pensarci. Io non ho la stessa intraprendenza di Paolo Berizzi. Non sono così tenerario. E non ho nemmeno un Ezio Mauro che preoccupato mi dica: “stai attento, indaga, ma salvati la pelle”.
L’articolo ha una forte impronta fantastica, e seppure non si tratti di letteratura, colpisce il folclore delle immagini utilizzate. Ci sono “le idrovore che mungono olio dai tir”, e ovviamente si tratta di “extra vergine italiano taroccato” che come per magia “atterra sugli scaffali dei supermercati”. Berizzi sostiene che dietro la sua inchiesta ci sia un’indagine ancora in corso, condotta in collaborazione con Coldiretti dall’Agenzia delle Dogane, dai dectective del settore frodi del Corpo Forestale dello Stato e della Guardia di Finanza. La filiera dell’olio “mascherato” viene così passata al setaccio sotto la lente d’ingradimento. Berizzi è bravo, tant’è che parla perfino di una “Seconda Repubblica dell’olio” in cui avviene un po’ di tutto e di più. Per forza di cose i giornalisti esteri hanno giustamente ripreso la notizia dandone grande risalto. In fondo si tratta di un giornale autorevole, continuamente ispirato alla verità. Come fare a non cascarci?
Il fatto è che queste due pagine hanno scosso il mondo dell’olio italiano, infangandone il nome soprattutto all’estero. C’è poco da scherzare. Un conto è dare notizia di un’indagine portata a conclusione, ammesso che le indagini portino a un quadro chiaro e certo, altro conto è insinuare qualcosa di non ancora definitivo e concluso. E’ sufficiente fare un minimo di rassegna stampa per scoprire che la presunta notizia riportata da “Repubblica” si è diffusa in ogni angolo di mondo, con gravi danni, e non solo d’immagine, per le aziende olearie nostrane. All’estero, perfino la Cina ha messo in dubbio la nostra credibilità. Nulla di nuovo sotto il sole, perché “Repubblica” in fondo non fa altro che riprendere e dare risalto, con un po’ di colore, a un grigio comunicato stampa di qualche settimana fa in cui si riferiva di uno studio Unaprol, Coldiretti e Symbola in cui si legge – come riferisce pedissequamente Berizzi che “quattro chili d’olio su dieci in vendita nei supermercati sanno di muffa”.
Che desolazione. Che scenario terribile. Oggi il giornalismo funziona così. Berizzi non va tanto per il sottile e nel suo articolo scrive di un “inganno subdolo del consumatore”, di “una speculazione fondata su una raffinata frode commerciale”. E pazienza per le conseguenze che ne sono derivate. Pazienza che qualcuno costruisca con fatica e dedizione e altri provvedano invece a distruggere e infangare in un niente il buon nome dell’Italia dell’olio? Resta solo da chiedersi a chi giovi tutto ciò. I toni scandalistici non aiutano a fare chiarezza e giustizia, là dove è necessario farla. Non è un caso che nei giorni successivi all’articolo abbia ricevuto diverse telefonate di protesta, ma ho notato anche il silenzio generale, soprattutto l’imbarazzo delle Istituzioni. Perché per esempio il ministro catania non è intervenuto? Il suo silenzio è stato solo un motivo di prudenza per non amplificare la notizia e danneggiare ulteriormente il settore? E perché continua a tacere? Dopo aver ascoltato i vari soggetti della filiera, alcuni hanno deciso di non intervenire, pur riservandosi di farlo attraverso le vie legali, altri hanno scritto al ministro dele Politiche agricole, e pur scrivendo al quotidiano “la Repubblica” non hanno avuto alcuna soddisfazione, segno evidente che sull’olio si possa fare liberamente terrorismo mediatico senza nemmeno dar voce ai diretti protagonisti. E’ questa il quadro dell’Italia oggi, purtroppo. E’ uno scenario squallido, in cui chi lavora onestamente viene infangato da accuse generiche e perfino deliranti. Come quella di sostenere prezzi di acquisto di oli dalla Tunisia a 20-25 centesimi di euro! Siamo nella fantascienza. Soprattutto quando Berizzi scrive che per produrre un chilo di olio in Tunisia bastano solo 10 centesimi.
Non finirà qui. La prossima settimana proseguiremo nel far luce in questa indagine maldestra, dando voce ai diretti protagonisti e riportando alcuni stralci di articoli pubblicati su giornali stranieri. Per ora limitiamoci a constatare come si possano determinare gravi conseguenze per il settore in mancanza di una semplice dose di buon senso.
Le divisioni interne? Rendono debole il mondo dell’olio
La concorrenza degli altri grassi non è stata neanche scalfita da scandali. Eppure sono i veri padroni del mercato globale, ma di questi nessuno parla. Nessuno racconta ai produttori che sono questi signori, supportati dal vuoto culturale e politico, ad aver messo ai margini l’agricoltura
Caro Luigi, ho letto il tuo articolo come sempre puntuale e giustamente incazzato per questa genialità tutta italiana. Anch’io ho fatto le tue stesse considerazioni dopo aver letto le due pagine dedicate da “Repubblica” ai nostri grandi trasformatori di olio trattati come criminali.
Non sono voluto intervenire e dire la mia perché, mi sono reso conto, che la migliore risposta a quelli che pensano di poter dire tutto, solo perché convinti di avere la verità in tasca, è non dar loro spago e farli, così, godere.
Rischiano di diventare famosi, come insegnano molti programmi della nostra formidabile televisione, solo perché abili diffamatori, in questo caso di un mondo complesso, qual è quello dell’olio, che viene da lontano con tutte le sue luci e le sue ombre.
La vita mi ha insegnato a diffidare molto dei fondamentalismi e degli uomini che credono di avere la verità in tasca; dicono e non dicono (perché alludere, non fare nomi o citare il nome di una sola azienda?) o parlano senza rendersi conto di quello che dicono e non sanno dei danni che riescono a provocare. Quasi sempre sono personaggi alla ricerca di un posto al sole se non nascondono altre verità e interessi.
Voglio credere di sbagliarmi nel caso di chi ha steso l’articolo, anche perché non lo conosco e gli unici elementi di giudizio che ho sono le due fitte pagine firmate e pubblicate da “Repubblica” che, come tu dici, non hanno fatto bene all’olio italiano, al pari di altre informazioni diffuse di recente.
Ma come si fa a spiegargli - lo dice uno che ha speso la sua vita a difendere i viticoltori e gli olivicoltori – che non è vero che i buoni sono tutti da una parte e i cattivi tutti dall’altra, e che non serve distruggere nel momento in cui c’è da costruire, tutt’ insieme, percorsi virtuosi sia per gli uni che per gli altri. Ora, proprio ora, che c’è da conquistare un mercato globale che ha bisogno degli uni e degli altri e, soprattutto, di qualità.
Qualità e diversità da trovare all’interno di quella filiera che non c’è e di cui, però, si sente la necessità, proprio perché utile a far conquistare all’olio di oliva (lo chiamo così per significare il prodotto che si ricava direttamente e solamente dal frutto di un albero che ha segnato nei secoli e continua a segnare il Mediterraneo) i mercati che non ha, per una serie di errori (anche quello di una classificazione che punisce e non premia l’olio di oliva) di chi ha governato e continua a governare questo comparto così importante della agricoltura nostra e degli altri paesi del Mediterraneo.
Errori degli uni e degli altri che non hanno portato al mondo dell’olio i risultati che poteva ottenere con l’umiltà, il dialogo, la collaborazione, l’utilizzo delle tante risorse - che pure sono state messe a sua disposizione - per dare all’olio di oliva quello spazio che oggi non ha e ciò per una dose eccesiva di negligenza e arroganza, che ha portato a piccole distruttive battaglie interne invece che a cogliere la forza dell’unità, dando vita alla filiera e, con essa, a una comunicazione che, di fatto, non c’è come non c’è mai stata.
Penso alle distrazioni, da venti anni a questa parte e, purtroppo, sempre nel campo della comunicazione, che non hanno permesso al consumatore di capire il valore e il significato delle nostre eccellenze Dop e Igp, che - come sono riusciti a capire, ma solo in questi ultimi giorni, organismi importanti a livello europeo - sono una formidabile guida per il consumatore e che il mondo dei produttori - non solo italiani- non ha saputo ancora utilizzare, nonostante il prezioso contributo che questo mondo dato per farle.
Non è un caso che la concorrenza degli altri grassi, sia animali che vegetali, non è stata neanche scalfita e che sono essi i veri padroni del mercato globale nelle mani di multinazionali potenti e della finanza, che - perché non chiederselo – trovano nell’olivo, non una pianta sacra per quello che ha dato, con il suo olio, alla nascita e crescita di civiltà ed al benessere dell’uomo, ma un ostacolo da eliminare e, così, impoverire interi territori e, nel tempo, desertificarli con l’abbandono.
Ma di questi padroni nessuno parla. Nessuno racconta ai produttori che sono questi padroni, supportati dal vuoto culturale e politico che ha messo ai margini l’agricoltura, quelli che stanno cacciando dalle loro aziende i titolari e naturali proprietari non solo di una casa o di una stalla, della terra, ma di valori.
Questi non sanno che stanno pagando a caro prezzo le divisioni all’interno del loro mondo, che sono sempre vive anche ora che non ci sono più ispirazioni ideologiche. Divisioni che rendono deboli il mondo che si rappresenta e forti chi vuole questo mondo senza voce, incapace di costruire un futuro con la messa a disposizione di progetti e programmi, e, soprattutto, con il dialogo con chi dev’essere coinvolto e convinto che è anche suo interesse fare percorsi virtuosi insieme.
Non sono voluto intervenire e dire la mia perché, mi sono reso conto, che la migliore risposta a quelli che pensano di poter dire tutto, solo perché convinti di avere la verità in tasca, è non dar loro spago e farli, così, godere.
Rischiano di diventare famosi, come insegnano molti programmi della nostra formidabile televisione, solo perché abili diffamatori, in questo caso di un mondo complesso, qual è quello dell’olio, che viene da lontano con tutte le sue luci e le sue ombre.
La vita mi ha insegnato a diffidare molto dei fondamentalismi e degli uomini che credono di avere la verità in tasca; dicono e non dicono (perché alludere, non fare nomi o citare il nome di una sola azienda?) o parlano senza rendersi conto di quello che dicono e non sanno dei danni che riescono a provocare. Quasi sempre sono personaggi alla ricerca di un posto al sole se non nascondono altre verità e interessi.
Voglio credere di sbagliarmi nel caso di chi ha steso l’articolo, anche perché non lo conosco e gli unici elementi di giudizio che ho sono le due fitte pagine firmate e pubblicate da “Repubblica” che, come tu dici, non hanno fatto bene all’olio italiano, al pari di altre informazioni diffuse di recente.
Ma come si fa a spiegargli - lo dice uno che ha speso la sua vita a difendere i viticoltori e gli olivicoltori – che non è vero che i buoni sono tutti da una parte e i cattivi tutti dall’altra, e che non serve distruggere nel momento in cui c’è da costruire, tutt’ insieme, percorsi virtuosi sia per gli uni che per gli altri. Ora, proprio ora, che c’è da conquistare un mercato globale che ha bisogno degli uni e degli altri e, soprattutto, di qualità.
Qualità e diversità da trovare all’interno di quella filiera che non c’è e di cui, però, si sente la necessità, proprio perché utile a far conquistare all’olio di oliva (lo chiamo così per significare il prodotto che si ricava direttamente e solamente dal frutto di un albero che ha segnato nei secoli e continua a segnare il Mediterraneo) i mercati che non ha, per una serie di errori (anche quello di una classificazione che punisce e non premia l’olio di oliva) di chi ha governato e continua a governare questo comparto così importante della agricoltura nostra e degli altri paesi del Mediterraneo.
Errori degli uni e degli altri che non hanno portato al mondo dell’olio i risultati che poteva ottenere con l’umiltà, il dialogo, la collaborazione, l’utilizzo delle tante risorse - che pure sono state messe a sua disposizione - per dare all’olio di oliva quello spazio che oggi non ha e ciò per una dose eccesiva di negligenza e arroganza, che ha portato a piccole distruttive battaglie interne invece che a cogliere la forza dell’unità, dando vita alla filiera e, con essa, a una comunicazione che, di fatto, non c’è come non c’è mai stata.
Penso alle distrazioni, da venti anni a questa parte e, purtroppo, sempre nel campo della comunicazione, che non hanno permesso al consumatore di capire il valore e il significato delle nostre eccellenze Dop e Igp, che - come sono riusciti a capire, ma solo in questi ultimi giorni, organismi importanti a livello europeo - sono una formidabile guida per il consumatore e che il mondo dei produttori - non solo italiani- non ha saputo ancora utilizzare, nonostante il prezioso contributo che questo mondo dato per farle.
Non è un caso che la concorrenza degli altri grassi, sia animali che vegetali, non è stata neanche scalfita e che sono essi i veri padroni del mercato globale nelle mani di multinazionali potenti e della finanza, che - perché non chiederselo – trovano nell’olivo, non una pianta sacra per quello che ha dato, con il suo olio, alla nascita e crescita di civiltà ed al benessere dell’uomo, ma un ostacolo da eliminare e, così, impoverire interi territori e, nel tempo, desertificarli con l’abbandono.
Ma di questi padroni nessuno parla. Nessuno racconta ai produttori che sono questi padroni, supportati dal vuoto culturale e politico che ha messo ai margini l’agricoltura, quelli che stanno cacciando dalle loro aziende i titolari e naturali proprietari non solo di una casa o di una stalla, della terra, ma di valori.
Questi non sanno che stanno pagando a caro prezzo le divisioni all’interno del loro mondo, che sono sempre vive anche ora che non ci sono più ispirazioni ideologiche. Divisioni che rendono deboli il mondo che si rappresenta e forti chi vuole questo mondo senza voce, incapace di costruire un futuro con la messa a disposizione di progetti e programmi, e, soprattutto, con il dialogo con chi dev’essere coinvolto e convinto che è anche suo interesse fare percorsi virtuosi insieme.
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