L’ADRIATICO, il mio piccolo grande mare
Le strade uniscono i luoghi per diventare incontro di genti e di culture che i territori esprimono, come le vie del mare, piatte in tempo di bonaccia o increspate dai venti di libeccio o di maestrale, bora o grecale.
Luoghi dove si stringono le mani, si intrecciano i sorrisi, si raccontano avventure, si sogna l’amore e si vivono le passioni, le speranze.
Luoghi dove si scambiano le merci, gli odori, i sapori e si canta alla luna, alle stelle, al sole mentre vola un aquilone.
Luoghi dove tutto cambia, tutto rimane, come le orme dei passi che portano lontano, sponde da dove salpare e sponde sulle quali approdare.
Da qui riprendere fiato, ringraziare il dio o il fato e poi ripartire dissodando il campo dove lasciar cadere il seme di grano, piantare un olivo, una vite ed aspettare di sentire il profumo del pane ancora caldo, dell’olio appena franto e del vino tranquillo, dopo il tumulto della fermentazione.
Ascoltare il suono della parola sconosciuta e provare a comunicare con le mani, lo sguardo, il segno, il rito.
La casa, la tavola, il camino, il cibo, il gusto, la tradizione di una cucina.
Il campanile, la cupola, il minareto, la sinagoga, il santuario, il tempio, il cammino, la folla dei fedeli, dei pellegrini, l’incontro.
Il dialetto, la lingua, la musica, il ballo, il canto.
La nascita, il matrimonio, il culto dei morti.
La piazza, le strade, le viuzze, la festa, il folclore, la bottega, il negozio, la fiera.
I sentieri, i tratturi; i giorni, i mesi, le stagioni con i colori del bosco, dei campi arati e dei raccolti, degli olivi e delle vigne, dell’orto.
Il piccolo grande mare che, da Nord scende verso Sud, lungo le sue sponde che si guardano da vicino, a segnare una regione omogenea di particolari, diversità, contrasti di voci e di colori.
Un mare all’apparenza tranquillo che i venti agitano, il sole riscalda e la luna, di notte, illumina con la sua lunga scia che, per secoli, ha indicato la rotta ai migranti.
Pasquale Di Lena
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