UN ESEMPIO
I ricordi sono pensieri che non fanno rumore, come le persone che danno un senso alla vita con i fatti e non con le parole. Tornano tutte le volte che vivi un dolore, un’emozione, come può essere il distacco, la morte.
È quanto mi è successo, qualche settimana fa, quando ho saputo della morte di Carfagnini, il caro amico Peppino. È quello che pensavo, ieri, quando ho salutato, per l’ultima volta, Angelo Pastorini, per tutti Angiolino, ed ho abbracciato il dolore della moglie Carmelina, dei figli, dei nipoti e delle nuore.
Lo trovavo uguale a mio zio Tonino che era maestro muratore e lui maestro imbianchino. Aveva la stessa struttura, lo stesso passo, identica determinazione di riscatto attraverso la famiglia, i figli.
Un signore che - io ragazzo lui giovane - ricordo con la tuta macchiata di schizzi di calce, alle prese con due scale, un secchio ed un pennello, sempre a passo svelto e sempre puntuale per un sorriso ed un saluto. Quel sorriso e quel saluto che ho ritrovato uguali l’ultima volta, qualche settimana fa, quando l’ho incontrato nei pressi della sua casa in via S. Chiara.
Quel saluto e quel sorriso che, nell’epoca del consumismo, nessuno più dà e, quando lo dà, si nota più la fatica che la spontaneità. Il saluto è diventato merce preziosa che costa cara come qualsiasi merce rara, non solo in città, ma anche nei paesi.
Un padre, è questo l’altro ricordo, che trovavi per via Cluenzio, quando era vestito a festa, alle prese con i figli piccoli, uno sempre traballante perché da poco aveva cominciato a camminare.
Cinque maschi in fila, l’orgoglio di Angiolino e di sua moglie Carmelina da Trivento, l’antico avamposto frentano quando Larino era la capitale di un popolo fiero e generoso.
Non è un caso che dalle ghiande nascono le querce così come dalle olive gli olivi. Una necessità che serve per far esprimere a ogni essere vivente le peculiarità, che per l’uomo vogliono dire valori.
Un uomo, Angiolino, che a questi valori ha sempre fermamente creduto e che si possono ritrovare nei figli e nei nipoti, soprattutto nella più piccolina che, con una carezza e per l’’ultima volta, ha salutato prima di essere ricoverato.
Un esempio che merita di essere ricordato per dare continuità e non interrompere il percorso dei valori che hanno segnato le civiltà del passato e la nostra comunità, tanto più ora che sembrano spariti, divorati dal consumismo che ha come unico dio il denaro.
Valori come il lavoro, la sobrietà, la stretta di mano, il rispetto, la solidarietà, la cultura, la giustizia, l’onestà, che Angiolino aveva avuto ed ha ridato, al pari di tanti altri (la maggioranza) che muoiono nell’anonimato.
Ricordi e riflessioni che mi hanno permesso di salutare Angiolino con l’affetto che meritava e di ringraziarlo sapendo che il filo, spesso e forte, dei valori non è stato spezzato. Così riprendere a credere che oltre le nebbie basse e fitte, che ci accompagnano da tempo, c’è ancora il sole.
È quanto mi è successo, qualche settimana fa, quando ho saputo della morte di Carfagnini, il caro amico Peppino. È quello che pensavo, ieri, quando ho salutato, per l’ultima volta, Angelo Pastorini, per tutti Angiolino, ed ho abbracciato il dolore della moglie Carmelina, dei figli, dei nipoti e delle nuore.
Lo trovavo uguale a mio zio Tonino che era maestro muratore e lui maestro imbianchino. Aveva la stessa struttura, lo stesso passo, identica determinazione di riscatto attraverso la famiglia, i figli.
Un signore che - io ragazzo lui giovane - ricordo con la tuta macchiata di schizzi di calce, alle prese con due scale, un secchio ed un pennello, sempre a passo svelto e sempre puntuale per un sorriso ed un saluto. Quel sorriso e quel saluto che ho ritrovato uguali l’ultima volta, qualche settimana fa, quando l’ho incontrato nei pressi della sua casa in via S. Chiara.
Quel saluto e quel sorriso che, nell’epoca del consumismo, nessuno più dà e, quando lo dà, si nota più la fatica che la spontaneità. Il saluto è diventato merce preziosa che costa cara come qualsiasi merce rara, non solo in città, ma anche nei paesi.
Un padre, è questo l’altro ricordo, che trovavi per via Cluenzio, quando era vestito a festa, alle prese con i figli piccoli, uno sempre traballante perché da poco aveva cominciato a camminare.
Cinque maschi in fila, l’orgoglio di Angiolino e di sua moglie Carmelina da Trivento, l’antico avamposto frentano quando Larino era la capitale di un popolo fiero e generoso.
Non è un caso che dalle ghiande nascono le querce così come dalle olive gli olivi. Una necessità che serve per far esprimere a ogni essere vivente le peculiarità, che per l’uomo vogliono dire valori.
Un uomo, Angiolino, che a questi valori ha sempre fermamente creduto e che si possono ritrovare nei figli e nei nipoti, soprattutto nella più piccolina che, con una carezza e per l’’ultima volta, ha salutato prima di essere ricoverato.
Un esempio che merita di essere ricordato per dare continuità e non interrompere il percorso dei valori che hanno segnato le civiltà del passato e la nostra comunità, tanto più ora che sembrano spariti, divorati dal consumismo che ha come unico dio il denaro.
Valori come il lavoro, la sobrietà, la stretta di mano, il rispetto, la solidarietà, la cultura, la giustizia, l’onestà, che Angiolino aveva avuto ed ha ridato, al pari di tanti altri (la maggioranza) che muoiono nell’anonimato.
Ricordi e riflessioni che mi hanno permesso di salutare Angiolino con l’affetto che meritava e di ringraziarlo sapendo che il filo, spesso e forte, dei valori non è stato spezzato. Così riprendere a credere che oltre le nebbie basse e fitte, che ci accompagnano da tempo, c’è ancora il sole.
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