Molise, terra dell’olio Gentile

di Pasquale Di Lena

C'è un ricco patrimonio di biodiversità a qualificare l’olivicoltura della regione, ma la cultivar Gentile di Larino domina di gran lunga la scena. Non è per una questione affettiva, sostiene Pasquale Di Lena, ma di mercato

Là dove l’olivo non è stato ferito dalla grandine, le drupe di un bel verde chiaro, si presentano pregne di una premessa che darà olio di ottima qualità e, anche, abbondante, grazie alle piogge di questa prima decade di settembre.

Parliamo soprattutto della varietà “Gentile di Larino”, che rappresenta un terzo dell’olivicoltura molisana, e, come tale, interessa un territorio molto vasto, omogeneo, senza nulla togliere alle altre varietà autoctone che, da Venafro a Rotello, dal centro Molise a Montenero di Bisaccia e Colletorto, mettono a disposizione un ricco patrimonio di biodiversità, che qualifica l’olivicoltura molisana.

Il nostro riferimento alla “Gentile di Larino”, non è per una questione affettiva, di appartenenza, ma di mercato, perché, proprio per il fatto di fare massa e, non solo, anche per le sue peculiarità organolettiche segnate da bontà, è quella che, più di ogni altra, ha fatto e continua a fare l’immagine dell’olio molisano.

Se ci fosse tutta l’attenzione che merita, la storia dell’olivo e dell’olio italiano avrebbe la sua naturale concorrenza nella varietà “Aurina” di Venafro, quella che gli antichi romani conoscevano come “Licinia” in omaggio al grande condottiero Licinio che la introdusse, nel IV sec. a.C., in quel territorio unico che oggi è il “Parco storico dell’Olivo di Venafro”.

La “Gentile di Larino” è anche la varietà, che anticipa il periodo della raccolta di 10, 15 giorni di fronte a un recente e lontano passato. Si comincia i primi di ottobre, quando le olive cominciano ad invaiare colorandosi di rosso, permettendo all’olio di dotarsi di quei caratteri organolettici, i più pregevoli, che esprimono bontà e mettono nella bocca del consumatore una dose di benessere e salute. Una virtù che dura nel tempo e va oltre l’annata, lasciando all’olio quella intensità di fruttato e quell’armonia di amaro e di piccante (le vere e sole straordinarie virtù dell’olio extravergine di oliva, questo delizioso dono di Dio all’uomo), che si possono degustare subito, anche appena franto, inzuppando in un piatto di olio del buon pane di grano duro, come a sentire quella nota di pomodoro che la “Gentile” esprime insieme a tante altre note che compongono la musica di ogni grande olio.

Questa sua peculiarità è tutta ancora da sfruttare per una produttiva azione di marketing, che, con una serie di iniziative mirate, dovrebbe trasformarsi in un vero e proprio programma di promozione e comunicazione, facendo dell’olio il filo conduttore di una promozione e comunicazione anche delle altre nostre eccellenze. In particolare, vino (la vendemmia); tartufo bianco (la raccolta) e i prodotti caseari (caciocavallo, treccia e stracciata), che, insieme, possono portare i turisti a vivere il Molise, dagli inizi di ottobre, a partire da Larino con il primo olio raccolto, fino alle feste di Natale, passando per Campomarino e Monteroduni; Morrone, Macchiagodena e S. Pietro Avellana; Casacalenda e Agnone; S. Martino in Pensilis e Conca Casale o Pietracatella, per la “Pampanella”e i salumi, in modo da toccare, con il “Brodetto alla termolese di Tornola”, la “Zuppa alla Santè” e l’“Agnello Cac’é óve”, tutto il territorio regionale.

Un turismo riferito alle nostre produzioni tipiche, Dop e Igp, alla nostra cucina, che va di moda e rende in termini di presenze e di affari. Quest’estate il turismo enogastronomico ha prodotto ben 5 miliardi di euro, animando l’economia di molti territori italiani.

C’è bisogno che il Molise, patria delle Città dell’Olio, creda nel suo olio e negli altri suoi prodotti, per avere da queste sue peculiarità, non solo le risposte che altri settori dell’economia oggi non danno, ma, anche, la possibilità di salvaguardare e tutelare il proprio territorio da quelle invasioni barbariche che rischiano di togliergli l’anima.

Il Molise è una straordinaria terra dell’olivo e dell’olio e, come tale, memoria, tempo, luogo di incontro e di ospitalità, dialogo, cibo, cucina, dialetto, carattere, colori.

Ho parlato della “Gentile di Larino”, ma non posso dimenticare le altre 17 varietà autoctone, tra le quali la più nota, l’“Aurina” di Venafro, di cui ho già parlato; le più diffuse, l’“Oliva Nera” e la “Rumignana” di Colletorto, la “Rosciola” e la “Cellina” di Rotello, la “Cerasa” e l’“Olivastro” di Montenero di Bisaccia; la varietà che copre la più larga fascia di territorio, quella che dal Trigno arriva al Fortore, la “Sperone di Gallo” o “Oliva torta”, che ha il merito di resistere al freddo.

Diciotto olivi molisani, con storie e dialetti diversi, che sono lì ad aspettare il visitatore per un saluto, pronti per accompagnarlo, lungo gli antichi tratturi bagnati dalla pioggia dell’autunno che sempre accompagna la raccolta, quando i giorni sono tutti uguali, ma i profumi dei borghi e dei piccoli centri sono particolari.

02 Ottobre 2010 Teatro Naturale n. 34 Anno 8

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