La sacralità degli olivi secolari
Raccontano il tempo e danno valore aggiunto al nostro territorio, il vero e solo patrimonio da salvaguardare e spendere se si vuole assicurare un domani alle nuove generazioni. A Portocannone, nel Molise, i “patriarchi” di oltre 700 anni nel racconto di Pasquale Di Lena
Anche una pianta verdeggiante è vita, come il pesce nell’acqua, l’uccello nell’aria o l’animale che vive nella steppa o nella foresta, o, come l’uomo che anima le campagne e le città. E lo è tanto più quando essa è in grado di accumulare anni e anni, per molte anche secoli e, per alcune, addirittura millenni.
Pensiamo alla maestosità di una quercia secolare o al fascino di un olivo che ha nel tronco i segni del tempo, come rughe che solcano il volto di un anziano e danno ai suoi occhi una luce particolare, quella che riesce a illuminare il passato e a raccontarlo con la saggezza acquisita dall’esperienza.
Basta andare in giro nel Molise per gli oliveti di Larino o di Colletorto, di Venafro o di Rotello per incontrare quelli che a noi piace chiamare “i grandi vecchi”, ma per capire il miracolo del tempo e la forza della pianta sacra agli dei, simbolo di pace e di vita, bisogna andare, come ha fatto, anni fa, il Prof. Giuseppe Battista, che li ha salvati dalla stupidità degli uomini, e di recente, Pasquale Gianquitto, che li ha fotografati e posti alla nostra attenzione, a Portocannone.
Proprio mentre raccoglievamo le notizie, che ci davano i nostri amici sopra citati, e raccontavamo questi “grandi vecchi”, scrivendo articoli, riportati da Teatro Naturale, e il libro “Là dove la terra dona”, presentato a Trieste, in occasione della manifestazione fieristica “Olio capitale”, ci è giunta la notizia che nel Comune di Campomarino le ruspe stavano distruggendo decine di querce e olivi secolari.
Quando siamo giunti lo scempio era già stato perpetrato senza nessun grido di dolore o di vergogna da parte del sindaco di una “Città del Vino” e degli attuali amministratori.
Vogliamo credere che il sindaco, e, con lui, quanti hanno fatto passare lo scempio come un fatto normale, si sia reso conto della gravità di quanto accaduto e che la mancata risposta ad una lettera aperta, è da attribuire a un naturale, quanto mai sperato, senso di colpa che prova.
Perché sarebbe davvero strano che si sentisse anche offeso dal richiamo fatto.
Grazie al nostro articolo prima citato ed alla iniziativa di una associazione culturale, Larino viva, oggi, il “grande vecchio”, il padre degli olivi di Portocannone, l’olivo che ha oltre 700 anni, è diventato méta di visite da parte di scolaresche e di gente curiosa di vedere questo gigante della natura, che onora gli olivicoltori di Portocannone, di origine albanese come quelli di Campomarino.
Quando i loro progenitori, profughi, sono arrivati in questi luoghi, i “grandi vecchi” di cui parliamo già c’erano.
Li hanno trovati pieni di secoli e di saggezza, pronti a riceverli ed a assicurare loro il prodotto più caro agli uomini del Mediterraneo, l’olio, del quale conoscevano sicuramente la bontà e l’uso. Non solo alimento, ma luce, bellezza, rito e altro ancora, con la pianta sempreverde a rendere meno pesante la nostalgia e a dare un senso alla loro identità con il territorio appena trovato, speranza di continuare a vivere anche lontani dalla propria terra di origine dalla quale erano stati costretti a scappare.
Sta qui, nella passione di questa gente e nella loro riconoscenza, la ragione di trovare a Portocannone, non lontano dagli antichi tratturi, ancora olivi secolari.
Centinaia di anni che la cultura del consumismo e quella della cementificazione - ormai dentro ognuno di noi - l’altro giorno, a Campomarino, in un attimo, sono spariti decine di esemplari di olivi e querce secolari, travolti da una ruspa chiamata per uno sbancamento e la costruzione di nuovi palazzi.
Per bloccare l’eliminazione dei rimanenti “patriarchi” a Campomarino, come a Portocannone, nel Molise, non possiamo fare altro che rinnovare, perché lo scempio non si ripeta, il nostro appello alle autorità predisposte alla salvaguardia di un patrimonio storico-culturale, paesaggistico-ambientale; informare i cittadini; coinvolgere le Città dell’Olio e le associazioni ambientali e culturali.
Servono, però, nel Molise, come in tutte le regioni olivicole del nostro Paese, iniziative mirate alla salvaguardia di questo patrimonio ed alla sua promozione, ben sapendo che, da esso e dal territorio, dipende il domani stesso della nostra olivicoltura e dell’agricoltura più in generale, dei territori più vocati alla qualità dell’olio e dell’ambiente ed alla bellezza paesaggistica.
Territori che, giorno dopo giorno, sempre più, si stanno regalando, qui nel Molise e in tutto il Sud, a speculatori di turbogas, pale eoliche, campi solari, biomasse e centrali nucleari, senza ricevere nulla in cambio.
Bisogna non lasciare spazio a questi speculatori, capaci solo di rubare il vero e unico patrimonio che abbiamo, il territorio, per ricevere in cambio cemento, offese all’ambiente, al paesaggio ed alla nostra identità.
Torna alla memoria il tempo, non lontano, in cui hanno portato via i nostri padri ed hanno utilizzato le loro braccia e la loro intelligenza a sostegno dello sviluppo delle Regioni del triangolo industriale e dei paesi del nord Europa e delle Americhe.
Oggi, i nuovi padroni, con la schiera dei servi al seguito, vengono con i soldi, regalati dal pubblico, per portarsi via anche, con i nostri giovani, la terra, il solo bene che ci resta, e lo fanno con la complicità di una classe dirigente troppo interessata, con amministratori che, quasi sempre, hanno gli occhi chiusi per non vedere e le orecchie tappate per non sentire.
di Pasquale Di Lena
29 Maggio 2010 Teatro Naturale n. 21 Anno 8
Anche una pianta verdeggiante è vita, come il pesce nell’acqua, l’uccello nell’aria o l’animale che vive nella steppa o nella foresta, o, come l’uomo che anima le campagne e le città. E lo è tanto più quando essa è in grado di accumulare anni e anni, per molte anche secoli e, per alcune, addirittura millenni.
Pensiamo alla maestosità di una quercia secolare o al fascino di un olivo che ha nel tronco i segni del tempo, come rughe che solcano il volto di un anziano e danno ai suoi occhi una luce particolare, quella che riesce a illuminare il passato e a raccontarlo con la saggezza acquisita dall’esperienza.
Basta andare in giro nel Molise per gli oliveti di Larino o di Colletorto, di Venafro o di Rotello per incontrare quelli che a noi piace chiamare “i grandi vecchi”, ma per capire il miracolo del tempo e la forza della pianta sacra agli dei, simbolo di pace e di vita, bisogna andare, come ha fatto, anni fa, il Prof. Giuseppe Battista, che li ha salvati dalla stupidità degli uomini, e di recente, Pasquale Gianquitto, che li ha fotografati e posti alla nostra attenzione, a Portocannone.
Proprio mentre raccoglievamo le notizie, che ci davano i nostri amici sopra citati, e raccontavamo questi “grandi vecchi”, scrivendo articoli, riportati da Teatro Naturale, e il libro “Là dove la terra dona”, presentato a Trieste, in occasione della manifestazione fieristica “Olio capitale”, ci è giunta la notizia che nel Comune di Campomarino le ruspe stavano distruggendo decine di querce e olivi secolari.
Quando siamo giunti lo scempio era già stato perpetrato senza nessun grido di dolore o di vergogna da parte del sindaco di una “Città del Vino” e degli attuali amministratori.
Vogliamo credere che il sindaco, e, con lui, quanti hanno fatto passare lo scempio come un fatto normale, si sia reso conto della gravità di quanto accaduto e che la mancata risposta ad una lettera aperta, è da attribuire a un naturale, quanto mai sperato, senso di colpa che prova.
Perché sarebbe davvero strano che si sentisse anche offeso dal richiamo fatto.
Grazie al nostro articolo prima citato ed alla iniziativa di una associazione culturale, Larino viva, oggi, il “grande vecchio”, il padre degli olivi di Portocannone, l’olivo che ha oltre 700 anni, è diventato méta di visite da parte di scolaresche e di gente curiosa di vedere questo gigante della natura, che onora gli olivicoltori di Portocannone, di origine albanese come quelli di Campomarino.
Quando i loro progenitori, profughi, sono arrivati in questi luoghi, i “grandi vecchi” di cui parliamo già c’erano.
Li hanno trovati pieni di secoli e di saggezza, pronti a riceverli ed a assicurare loro il prodotto più caro agli uomini del Mediterraneo, l’olio, del quale conoscevano sicuramente la bontà e l’uso. Non solo alimento, ma luce, bellezza, rito e altro ancora, con la pianta sempreverde a rendere meno pesante la nostalgia e a dare un senso alla loro identità con il territorio appena trovato, speranza di continuare a vivere anche lontani dalla propria terra di origine dalla quale erano stati costretti a scappare.
Sta qui, nella passione di questa gente e nella loro riconoscenza, la ragione di trovare a Portocannone, non lontano dagli antichi tratturi, ancora olivi secolari.
Centinaia di anni che la cultura del consumismo e quella della cementificazione - ormai dentro ognuno di noi - l’altro giorno, a Campomarino, in un attimo, sono spariti decine di esemplari di olivi e querce secolari, travolti da una ruspa chiamata per uno sbancamento e la costruzione di nuovi palazzi.
Per bloccare l’eliminazione dei rimanenti “patriarchi” a Campomarino, come a Portocannone, nel Molise, non possiamo fare altro che rinnovare, perché lo scempio non si ripeta, il nostro appello alle autorità predisposte alla salvaguardia di un patrimonio storico-culturale, paesaggistico-ambientale; informare i cittadini; coinvolgere le Città dell’Olio e le associazioni ambientali e culturali.
Servono, però, nel Molise, come in tutte le regioni olivicole del nostro Paese, iniziative mirate alla salvaguardia di questo patrimonio ed alla sua promozione, ben sapendo che, da esso e dal territorio, dipende il domani stesso della nostra olivicoltura e dell’agricoltura più in generale, dei territori più vocati alla qualità dell’olio e dell’ambiente ed alla bellezza paesaggistica.
Territori che, giorno dopo giorno, sempre più, si stanno regalando, qui nel Molise e in tutto il Sud, a speculatori di turbogas, pale eoliche, campi solari, biomasse e centrali nucleari, senza ricevere nulla in cambio.
Bisogna non lasciare spazio a questi speculatori, capaci solo di rubare il vero e unico patrimonio che abbiamo, il territorio, per ricevere in cambio cemento, offese all’ambiente, al paesaggio ed alla nostra identità.
Torna alla memoria il tempo, non lontano, in cui hanno portato via i nostri padri ed hanno utilizzato le loro braccia e la loro intelligenza a sostegno dello sviluppo delle Regioni del triangolo industriale e dei paesi del nord Europa e delle Americhe.
Oggi, i nuovi padroni, con la schiera dei servi al seguito, vengono con i soldi, regalati dal pubblico, per portarsi via anche, con i nostri giovani, la terra, il solo bene che ci resta, e lo fanno con la complicità di una classe dirigente troppo interessata, con amministratori che, quasi sempre, hanno gli occhi chiusi per non vedere e le orecchie tappate per non sentire.
di Pasquale Di Lena
29 Maggio 2010 Teatro Naturale n. 21 Anno 8
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