QUANDO LARINO....
Quando Larino aveva molte cose importanti da insegnare agli altri traeva la sua ispirazione dal suo territorio e dalla sua agricoltura. Alla fine dell’’800 era una capitale dell’agroalimentare italiano, con i suoi “Premiati Mulini e Pastificio S.Rocco, di Ernesto Colagiovanni; i suoi quasi trenta frantoi, con quello di Iapoce appiccicato alla parete de “il Monte” che raccoglieva medaglie, soprattutto con il suo olio al limone; la nascita della elettricità con i Battista che arrivano fra i primi in Italia a offrire la nuova energia, quella elettrica, e a determinare una svolta nel campo delle attività industriale. Un territorio che metteva a disposizione, insieme all’acqua, la statale n° 87, una dorsale che oggi offre agli escursionisti la possibilità di ammirare paesaggi mozzafiato, entrare nel cuore verde del Molise e godere la natura in ogni stagione; la ferrovia che, ancora, affianca la 87 e la attraversa in più punti. Un’agricoltura che offriva il suo olio “Gentile di Larino”, fatto con le olive della varietà omonima ma anche con un piccola aggiunta di “salegna o saligna di Larino” e di “Oliva San Pardo”, l’altra varietà che serviva, in quanto olivo, a mettere a disposizione il ramoscello per il carro della grande festa di maggio; in quanto oliva, anche per essere messa in salamoia e per essere usata, insieme alla oliva di “Gentile” ben matura ( a ueliva capate), a tavola. Ed anche un granaio, le piane di Larino, che era la premessa indispensabile dell’investimento di Ernesto Colagiovanni e dei risultati prestigiosi e vincenti sul mercato per la assoluta qualità dei suoi prodotti, dalla farina alla pasta. Un esempio che porterà i Battista ad elevare il proprio molino un po’ più sopra e dall’altro lato della ferrovia.
Attività della agricoltura, sostenute da un fiorente commercio, testimoniato da una sequenza quasi mensile di Fiere e da quella che aveva una risonanza nazionale, la grande, mitica Fiera di Ottobre che, secondo il nostro amico poeta dialettale, non ha data, proprio perché la sua funzione di luogo di incontro e mercato delle popolazioni transumanti si perde nella notte dei tempi, al pari dei tratturi tracciati dai primi pastori che, poi, sono i primi viaggiatori, quelli che legano insieme tre Regioni: l’Abruzzo, il Molise e la Puglia o le Puglie.
Un quadro non completo nel momento in cui ci siamo dimenticati di riportare la nascita di una banca, la Banca di Larino, che riporta soprattutto ai Bucci e ai De Gennaro.
Un percorso entusiasmante, che porta Larino a diventare importante centro di cultura fino agli anni ’50, subito dopo il conflitto mondiale, quando il processo di ammodernamento dell’Italia, mette in crisi l’agricoltura e il meridione con il boom della emigrazione nei paesi del Nord Italia, in particolare le Regioni del triangolo industriale; di quelli del Nord Europa, soprattutto Belgio e Francia, con i braccianti che diventano minatori, Svizzera, Germania e poi nelle Americhe, in primo luogo in Canada.
Gli anni in cui tutti partivano, quasi sempre, durante il periodo invernale, quando i mattini sono ancora bui della notte che tarda a svestirsi per il freddo troppo pungente. Era difficile distinguere, nelle strade strette del centro storico, se l’urlo era quello del maiale, steso sulla scala e pronto per essere sgozzato, o quello degli emigranti e dei famigliari che non si volevano staccare da quello che per molti è stato, ed è rimasto, l’ultimo abbraccio. Una pena enorme che, per chi era bambino o ragazzo, si prolungava nel momento in cui si andava a scuola e si entrava in classe con uno o più banchi lasciati vuoti da chi era già lontano, sul treno per Milano o Torino o sulla corriera in viaggio per il porto di Napoli.
E’ sempre il nostro amico poeta dialettale a portarci, con i suoi ricordi, a quei tempi lontani, alle canzoni più in voga di allora, come “mamma….non ti lascerò mai più”, “e partene i bastemente pe terre assaie luntane..”, “mia cara madre sta pe venì Natale..” per sottolineare che è ancora più amaro stare lontano, ed altre ancora.
Uno stravolgimento, una rivoluzione che segna in profondità la realtà molisana con l’avvio di un nuovo tipo di sviluppo che abbandona l’agricoltura e sceglie l’industria, nel momento in cui prende corpo il nucleo industriale di Termoli, e Larino volutamente ne resta fuori, tagliando di netto il suo passato nel momento in cui non ha avuto la capacità o la forza di indicare percorsi alternativi.
È questo tipo di sviluppo che, ora, di fronte al suo fallimento, vuole rifarsi su Larino e il suo circondario, togliendo a Larino ciò che (non per grazia ricevuta), ha sempre avuto, vedi ospedale; vuole togliere anche il respiro ai piccoli centri delle aree interne; cancellare la loro identità, le ragioni stesse per sopravvivere e dare al Molise, con i valori intatti del suo territorio una ragione in più per puntare, senza titubanze e senza riserve, su questi valori che sono risorse di grande modernità ed attualità.
Ecco che torna Larino con il suo passato impresso di ruralità e di importanti attività legate alla sua risorsa fondamentale l’agroalimentare, che, oggi, vuol dire turismo, cioè un modo serio per pensare ai nostri tesori di storia, arte, cultura e, soprattutto, al ricco patrimonio archeologico.
Ruralità e agroalimentare; cultura, storia, archeologia e turismo, pochi ma essenziali binomi che i giovani devono fare propri, arricchirli di creatività e progettualità per definire subito il proprio futuro e non dover scappare.
U faùneie
Attività della agricoltura, sostenute da un fiorente commercio, testimoniato da una sequenza quasi mensile di Fiere e da quella che aveva una risonanza nazionale, la grande, mitica Fiera di Ottobre che, secondo il nostro amico poeta dialettale, non ha data, proprio perché la sua funzione di luogo di incontro e mercato delle popolazioni transumanti si perde nella notte dei tempi, al pari dei tratturi tracciati dai primi pastori che, poi, sono i primi viaggiatori, quelli che legano insieme tre Regioni: l’Abruzzo, il Molise e la Puglia o le Puglie.
Un quadro non completo nel momento in cui ci siamo dimenticati di riportare la nascita di una banca, la Banca di Larino, che riporta soprattutto ai Bucci e ai De Gennaro.
Un percorso entusiasmante, che porta Larino a diventare importante centro di cultura fino agli anni ’50, subito dopo il conflitto mondiale, quando il processo di ammodernamento dell’Italia, mette in crisi l’agricoltura e il meridione con il boom della emigrazione nei paesi del Nord Italia, in particolare le Regioni del triangolo industriale; di quelli del Nord Europa, soprattutto Belgio e Francia, con i braccianti che diventano minatori, Svizzera, Germania e poi nelle Americhe, in primo luogo in Canada.
Gli anni in cui tutti partivano, quasi sempre, durante il periodo invernale, quando i mattini sono ancora bui della notte che tarda a svestirsi per il freddo troppo pungente. Era difficile distinguere, nelle strade strette del centro storico, se l’urlo era quello del maiale, steso sulla scala e pronto per essere sgozzato, o quello degli emigranti e dei famigliari che non si volevano staccare da quello che per molti è stato, ed è rimasto, l’ultimo abbraccio. Una pena enorme che, per chi era bambino o ragazzo, si prolungava nel momento in cui si andava a scuola e si entrava in classe con uno o più banchi lasciati vuoti da chi era già lontano, sul treno per Milano o Torino o sulla corriera in viaggio per il porto di Napoli.
E’ sempre il nostro amico poeta dialettale a portarci, con i suoi ricordi, a quei tempi lontani, alle canzoni più in voga di allora, come “mamma….non ti lascerò mai più”, “e partene i bastemente pe terre assaie luntane..”, “mia cara madre sta pe venì Natale..” per sottolineare che è ancora più amaro stare lontano, ed altre ancora.
Uno stravolgimento, una rivoluzione che segna in profondità la realtà molisana con l’avvio di un nuovo tipo di sviluppo che abbandona l’agricoltura e sceglie l’industria, nel momento in cui prende corpo il nucleo industriale di Termoli, e Larino volutamente ne resta fuori, tagliando di netto il suo passato nel momento in cui non ha avuto la capacità o la forza di indicare percorsi alternativi.
È questo tipo di sviluppo che, ora, di fronte al suo fallimento, vuole rifarsi su Larino e il suo circondario, togliendo a Larino ciò che (non per grazia ricevuta), ha sempre avuto, vedi ospedale; vuole togliere anche il respiro ai piccoli centri delle aree interne; cancellare la loro identità, le ragioni stesse per sopravvivere e dare al Molise, con i valori intatti del suo territorio una ragione in più per puntare, senza titubanze e senza riserve, su questi valori che sono risorse di grande modernità ed attualità.
Ecco che torna Larino con il suo passato impresso di ruralità e di importanti attività legate alla sua risorsa fondamentale l’agroalimentare, che, oggi, vuol dire turismo, cioè un modo serio per pensare ai nostri tesori di storia, arte, cultura e, soprattutto, al ricco patrimonio archeologico.
Ruralità e agroalimentare; cultura, storia, archeologia e turismo, pochi ma essenziali binomi che i giovani devono fare propri, arricchirli di creatività e progettualità per definire subito il proprio futuro e non dover scappare.
U faùneie
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