n. 69 - San Parde e San Premeiane
SAN PARDE ESAN PREMEIANE
E’ passate l’une de nòttea campane sóne e s’devalluneSan Parde à già saletate San Premeianeprime che n’abbracce e pu che na s’trettede mane.Ze so ditte duie paróleveloce velocen’eccòne p’u callen’eccòne p’a s’tanchezzen’eccòne p’u suonnema maggiormènte pe nu delòrenu delòre de spalle pe nu colpe d’areiedurant’a precessiòne.
“A seletudene-à ditte San Premeiane- èna brutt’a bes’tie che nen te fa dermìp’i tropp'a penziere che tì”
“Duorme Nanù - ha respuos’te San Parde- cademane è fes’teè na iernate tos’te se ce s’tà u sòle,comunque te pu recreià pe cuant’a gènte te vé e demes’tràu bbéne,a deveziòne”
“Pe me ?”“Pe te Nanù”“Buonanòtte Pardù.”Encòre n'i capiteca se tu te facive i fatte tiieé te ne s’tive nu paèse tiiea cattédràle mó ze chiàmavea chiése de San Premeiane,a precessione ma facève da suleinvéce de campà nu campesantecóme nu cane sènza nesciune.”
Ci è caduto nelle mani il foglietto che riportava questa poesia in dialetto che, per noi che veniamo dall’Africa, non è stato facile interpretare.Se abbiamo capito bene il poeta, nel suo dialetto larinese, riporta un dialogo tra il patrono del paese, forestiero arrivato da lontano e subito venerato, al punto di essere trasformato in oro ed argento, e Primiano, localmente detto Nanuccio quale diminutivo di Primianuccio. Un larinese che, con i suoi due fratelli, aveva sposato il cristianesimo e, con la fede nel cuore e la palma in mano, non si era fermato di fronte al potere di allora, fatto di uomini sguaiati, dissoluti, amorali, affamati di denaro; figuri che usavano le divinità solo per giustificare la loro avidità e la loro sfrenata lussuria. Come tali in difficoltà di fronte a persone umili, forti della parola del Signore e orgogliosi di aver sposato i valori della giustizia, della solidarietà, dell’uguaglianza, del perdono, dell’umiltà, della fratellanza e del rispetto per il proprio simile. Tutt’altro che il potere di allora, che aveva ridotto a schiavitù e chiuso in un carcere l’uomo, il carceriere ancor più del carcerato. Uno squallore, che aveva portato Primiano, Casto e Fimiano a scegliere la strada opposta, quella delle emozioni lasciate dalla parola, dalla natura, dall’amico, dall’amore in senso lato.Qui una parentesi necessaria, perché non si è mai capito come la Chiesa parla di questi tre fratelli, tutt’e tre santi quali primi martiri, e poi uno solo viene ricordato a Larino, con gli altri due dimenticati, addirittura senza volto e come tali esclusi dalla processione della festa del patrono. Chiusa parentesi, con la speranza che qualcuno abbia voglia di riaprirla quanto prima, torniamo al poeta dialettale ed alla poesia dedicata a San Pardo e San Primiano, che racconta il dialogo tra i due nobili personaggi, entrambi venerati a Larino, avvenuto il 25 maggio del 2000, subito dopo la conclusione della processione. Si sente l’aria del padrone che mostra magnanimità e comprensione e di chi, invece, non riesce a tacere la sua amarezza e, perché no, anche un risentimento, minimo ma presente, nei confronti di chi è stato la causa di quell’ isolamento che vive e sopporta con animo cristiano. Ma la sua amarezza vera è nei confronti dei suoi paesani, non tutti per la verità e per fortuna, che hanno mostrato di preferire a lui ed ai suoi fratelli, martiri cristiani, il forestiero venuto da lontano.Tutto qui. La storia, poi, che fosse sua, più che la frase, la imprecazione “gent’a pèsseme de Larine” è stata solo una delle tante infamie, diffusa da abili banditori al servizio di chi lo voleva screditare e metterlo in cattiva luce nei confronti della gente di cui si sentiva parte e amava, Solo una infamia che, però, ha avuto il potere di una vera e propria maledizione, nel momento in cui è passata tra la sua gente, dalla quale aveva ricevuto il dono dei valori, nel momento in cui il potere li calpestava, dando in pasto ai leoni i poveri cristiani.
U faùneie
E’ passate l’une de nòttea campane sóne e s’devalluneSan Parde à già saletate San Premeianeprime che n’abbracce e pu che na s’trettede mane.Ze so ditte duie paróleveloce velocen’eccòne p’u callen’eccòne p’a s’tanchezzen’eccòne p’u suonnema maggiormènte pe nu delòrenu delòre de spalle pe nu colpe d’areiedurant’a precessiòne.
“A seletudene-à ditte San Premeiane- èna brutt’a bes’tie che nen te fa dermìp’i tropp'a penziere che tì”
“Duorme Nanù - ha respuos’te San Parde- cademane è fes’teè na iernate tos’te se ce s’tà u sòle,comunque te pu recreià pe cuant’a gènte te vé e demes’tràu bbéne,a deveziòne”
“Pe me ?”“Pe te Nanù”“Buonanòtte Pardù.”Encòre n'i capiteca se tu te facive i fatte tiieé te ne s’tive nu paèse tiiea cattédràle mó ze chiàmavea chiése de San Premeiane,a precessione ma facève da suleinvéce de campà nu campesantecóme nu cane sènza nesciune.”
Ci è caduto nelle mani il foglietto che riportava questa poesia in dialetto che, per noi che veniamo dall’Africa, non è stato facile interpretare.Se abbiamo capito bene il poeta, nel suo dialetto larinese, riporta un dialogo tra il patrono del paese, forestiero arrivato da lontano e subito venerato, al punto di essere trasformato in oro ed argento, e Primiano, localmente detto Nanuccio quale diminutivo di Primianuccio. Un larinese che, con i suoi due fratelli, aveva sposato il cristianesimo e, con la fede nel cuore e la palma in mano, non si era fermato di fronte al potere di allora, fatto di uomini sguaiati, dissoluti, amorali, affamati di denaro; figuri che usavano le divinità solo per giustificare la loro avidità e la loro sfrenata lussuria. Come tali in difficoltà di fronte a persone umili, forti della parola del Signore e orgogliosi di aver sposato i valori della giustizia, della solidarietà, dell’uguaglianza, del perdono, dell’umiltà, della fratellanza e del rispetto per il proprio simile. Tutt’altro che il potere di allora, che aveva ridotto a schiavitù e chiuso in un carcere l’uomo, il carceriere ancor più del carcerato. Uno squallore, che aveva portato Primiano, Casto e Fimiano a scegliere la strada opposta, quella delle emozioni lasciate dalla parola, dalla natura, dall’amico, dall’amore in senso lato.Qui una parentesi necessaria, perché non si è mai capito come la Chiesa parla di questi tre fratelli, tutt’e tre santi quali primi martiri, e poi uno solo viene ricordato a Larino, con gli altri due dimenticati, addirittura senza volto e come tali esclusi dalla processione della festa del patrono. Chiusa parentesi, con la speranza che qualcuno abbia voglia di riaprirla quanto prima, torniamo al poeta dialettale ed alla poesia dedicata a San Pardo e San Primiano, che racconta il dialogo tra i due nobili personaggi, entrambi venerati a Larino, avvenuto il 25 maggio del 2000, subito dopo la conclusione della processione. Si sente l’aria del padrone che mostra magnanimità e comprensione e di chi, invece, non riesce a tacere la sua amarezza e, perché no, anche un risentimento, minimo ma presente, nei confronti di chi è stato la causa di quell’ isolamento che vive e sopporta con animo cristiano. Ma la sua amarezza vera è nei confronti dei suoi paesani, non tutti per la verità e per fortuna, che hanno mostrato di preferire a lui ed ai suoi fratelli, martiri cristiani, il forestiero venuto da lontano.Tutto qui. La storia, poi, che fosse sua, più che la frase, la imprecazione “gent’a pèsseme de Larine” è stata solo una delle tante infamie, diffusa da abili banditori al servizio di chi lo voleva screditare e metterlo in cattiva luce nei confronti della gente di cui si sentiva parte e amava, Solo una infamia che, però, ha avuto il potere di una vera e propria maledizione, nel momento in cui è passata tra la sua gente, dalla quale aveva ricevuto il dono dei valori, nel momento in cui il potere li calpestava, dando in pasto ai leoni i poveri cristiani.
U faùneie
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